
Nell'arco di pochissimo tempo nella vita di una persona può accadere di tutto. E Karla Sofía Gascón ne sa qualcosa. Giusto qualche giorno fa, nel nostro articolo in cui commentavamo le nomination agli Oscar 2025 soffermandoci in particolar modo su quanto ottenuto da Emilia Pérez, notavamo come l'aver votato il film in quanto avente diritto a concorrere in ben tredici categorie sembrasse una sorta di risposta da parte dei circa diecimila giurati dell'Academy alla rielezione e al reinsediamento di Donald Trump come Presidente degli Stati Uniti d'America.
Quello che non potevamo prevedere, anche se prima della cancellazione del profilo X incriminato effettivamente era qualcosa di accessibile a tutti, è tutto quello che stava per accadere per colpa di alcuni vecchi tweet della protagonista, la prima donna transgender nominata come Miglior attrice agli Oscar, Karla Sofía Gascón.
I tweet incriminati e l'attacco a Selena Gomez
Perché se fino a qualche anno fa ad essere “per sempre” erano solo i diamanti, oggi dobbiamo aggiungere alla lista “quello che scriviamo su internet”. Che si tratti di un social o di un servizio di messaggistica istantanea poco cambia. Bisogna avere sempre la consapevolezza che vengono sempre lasciate delle tracce. E che c'è sempre qualcuno pronto a ripercorrere i nostri passi grazie alle orme digitali che ci siamo lasciati alle spalle. E ad archiviare qualsiasi scivolone.
Con un plot twist degno dello Shyamalan dei tempi d'oro, Karla Sofía Gascón è stata estromessa da Netflix dalla campagna For Your Consideration dell'opera di Audiard per una serie di post razzisti su musulmani, l'uccisione di George Floyd e la gestione della diversità da parte dell'Academy che sono riemersi sull'ex Twitter.
Uscite che, fra l'altro, hanno fatto pendant con quella in cui, mesi e mesi fa, definiva colei che sarebbe poi diventata sua co-star in Emilia Perez, Selena Gomez, come “una lercia arricchita che fa la parte della poveraccia ogni volta che può e non smetterà mai di infastidire il suo ex ragazzo (Justin Bieber) e sua moglie”. Un “pasticciaccio brutto” riaffacciatosi dal passato sulle pagine di People Magazine e che l'attrice si è affrettata a smentire nel corso di un'intervista con la CNN in cui sosteneva che si trattava di un tweet fake e durante la quale si è lasciata andare a un generale mea culpa. Che è parso più come un materializzarsi del celeberrimo detto la toppa è peggio del buco.
Vale la pena notare come Netflix si sia affrettata a specificare che la suddetta intervista è stata organizzata dal team di Karla Sofía Gascón e non dal dipartimento PR della multinazionale. Eppure, restando in tema di mea culpa, proprio Netflix è caduta vittima di un'ingenuità che potrebbe costarle molto cara ora che Emilia Perez è diventata una patata bollentissima.
Chi avrà il coraggio di votare Emilia Perez agli Oscar adesso?
Ci prendiamo due righe per spiegarvi, per sommi capi, come funzionano gli Oscar. Come per l'elezione dei film in gara, anche per le varie nomination i vincitori effettivi vengono stabiliti in base al numero di voti che ciascuna pellicola riceve dai giurati dell'Academy. Giurati che, spesso e volentieri, non hanno visto tutte le opere in gara. Per farvi un esempio pratico: se per anni e anni sono sempre stati i cartoni animati Disney e Pixar ad aggiudicarsi la statuetta a Miglior film animato è perché i membri dell'Academy li votavano a scatola chiusa fidandosi del “marchio di fabbrica”. Quindi può benissimo succedere che un film trionfi perché, per una ragione o per l'altra, è divenuto “quello da votare”. A prescindere.
Ecco, allo stato attuale delle cose Emilia Perez è diventato un appestato con cui anche un monatto avrebbe paura a entrare in contatto tanto che pure nelle previsioni fatte da una testata così ben radicata a Hollywood come Variety, è completamente uscito dai radar dei papabili trionfatori. E tutte le altre persone in corsa per una statuetta per quella produzione sono automaticamente diventate delle vittime collaterali di quanto accaduto.

Non a caso Zoe Saldaña, che per il lungometraggio di Audiard ha ricevuto la sua prima nomination agli Oscar, come attrice non protagonista, ha ammesso in un'intervista con Variety di essere ancora in fase di elaborazione di quanto accaduto, ma di voler concedersi la gioia di essere stata presa in considerazione per un'ambita statuetta dorata. Che non vincerà, molto probabilmente. Ha anche voluto precisare che il lato di sé che Gascón ha esternato via social è diametralmente opposto a quello che lei ha visto sul set di Emilia Perez. Aggiungendo però che "Non posso testimoniare su ciò che le persone fanno nel loro tempo privato con i loro account personali".
Il passo falso di Netflix che potrebbe costare molto caro alla compagnia
Netflix cerca di trionfare agli Oscar nella categoria più importante, Miglior film, fin dal 2019 con Roma, il film semi autobiografico di Alfonso Cuaron. E, pur avendo conquistato svariate statuette in tutti questi anni, lo stesso Roma vinse in tre categorie, Miglior regia, Fotografia e Film internazionale, quella di Miglior film resta ancora un miraggio. Nonostante decine e decine di milioni di dollari spesi ogni anno per promuovere le sue produzioni durante la campagna For Your Consideration della stagione dei premi. C'è di più. Nel 2022, il colosso dello streaming ha anche subito la beffa di essere stato battuto da un competitor, Apple, che con CODA è ufficialmente diventato il primo streamer a ottenere l'Oscar come miglior film.
Proprio per questo, la leggerezza con cui Netflix ha gestito l'intera vicenda appare spiazzante. Una compagnia pronta a spendere milioni di dollari per spingere agli Oscar Emilia Perez, si è dimenticata di dedicare una manciata di migliaia di dollari per la verifica dello storico social di Karla Sofía Gascón. Parliamo di una spesa che poteva variare fra i 5000 ai 20000 dollari. Certo, per noi comuni mortali “sossoldi”, come direbbe il Mariottide di Maccio Capatonda, ma nelle metriche dei budget di multinazionali come quelle di Hollywood e dintorni, sono l'equivalente di una moneta da un centesimo. Eppure.
James Gunn e Kevin Hart: altre illustri “leggerezze" costate caro
Nella sua relativa tragicità, la questione fa sorridere perché di precedenti illustri che ne stanno parecchi. Restando in area Oscar, nelle settimane che hanno preceduto l'edizione del 2019, lo sceneggiatore e produttore di The Green Book Nick Vallelonga era stato protagonista di un caso analogo. Era finito sulla graticola per via di alcuni vecchi tweet postati sul suo profilo, prontamente cancellato, in cui sposava la narrativa secondo la quale la comunità musulmana americana aveva festeggiato dopo l'attentato dell'undici settembre.
Arrivarono le scuse pubbliche e Green Book si aggiudicò ben 3 statuette tra cui due, Miglior film e Miglior sceneggiatura originale, finite anche nelle mani dello stesso Vallelonga. Ma quello di Green Book era un caso differente: il film raccontava uno spaccato che aveva direttamente a che fare con la storia americana recente e le varie tensioni razziali e, soprattutto, era un progetto benedetto e pubblicamente supportato da una leggenda di Hollywood la cui parola è verbo: Steven Spielberg.
Curiosamente, proprio l'edizione del 2019 vide lo scivolone di un'altra star del cinema, Kevin Hart. L'attore e comedian era stato ingaggiato come conduttore della serata ma, nel dicembre del 2018, si dimise. Alcuni suoi vecchi tweet denigratori contro la comunità gay erano tornati a galla scatenando l'inevitabile polverone di polemiche.

Fuori dal discorso Oscar, è impossibile non ricordare quando, nell'estate del 2018, James Gunn venne licenziato dalla Disney che lo estromise dalla regia di Guardiani della Galassia Vol. 3. La ragione? Sempre quella: il passato social che tornava a galla. Nel caso del regista e sceneggiatore a finire sul banco degli imputati furono dei tweet, con date che spaziavano dal 2008 al 2011, in cui ironizzava su temi come l'Olocausto, la pedofilia e lo stupro.

In quel caso, nonostante James Gunn abbia senza ombra di dubbio vissuto dei “pessimi cinque minuti”, tutto si ritorse contro la stessa Disney. Nessuno, a parte i dirigenti della major, aveva preso davvero sul serio quelle che erano battute, magari di cattivo gusto, ma solo battute. Tutto il cast di Guardiani della Galassia si strinse intorno a James Gunn, online s'inseguivano voci di pesanti contrasti fra gli alti papaveri della casa di Topolino e il boss dei Marvel Studios, Kevin Feige, contrario all'estromissione del regista. Che, difatti, non rimase a lungo disoccupato: nell'arco di poco tempo venne ingaggiato dalla rivale Warner Bros per la produzione di un altro cinecomic, The Suicide Squad, e poi la stessa Disney fu costretta a fare marcia indietro e riaffidargli la guida creativa del terzo Guardiani della Galassia.
Sarah Hagi e le teorie del complotto
Il tema di quello che una qualunque persona, celebre o meno che sia, può o non può scrivere sui social è stato, è e resterà un ambito di accese discussioni. Che, lo abbiamo rivisto di recente proprio con la genuflessione dei grandi delle Big Tech di fronte a Donald Trump, ha anche ripercussioni politiche non indifferenti. E vale anche la pena sottolineare come, a volte, le tempistiche di certe riemersioni di vecchi tweet o post destino più di un dubbio sul fatto che si tratti di operazioni disinteressate, senza secondi fini.
D’altronde, proprio col recente caso di quanto accaduto con il film Netlix e intorno a esso, proprio colei che ha riportato a galla i vecchi tweet di Gascón, Sarah Hagi, giornalista freelance che opera in Canada dove è anche co-conduttrice del podcast “Scamfluencers”, è stata accusata di essere al soldo di qualche studio rivale.

Accusa che, intervistata da Variety, ha rigettato spiegando che si tratta d’insinuazioni assurde verso una persona normalissima che, peraltro, neanche ha TikTok e che ha deciso d’indagare solo dopo aver letto, in un tweet dell’attriuce, l’impiego del termine “islamista”. Una scelta lessicale che le è parsa un po’ troppo “intensa”. Proprio alla luce di queste osservazioni, la leggerezza con cui Netflix e il team della stessa Karla Sofía Gascón non hanno previsto l'arrivo di questa crisi di PR assume i famigerati contorni della tragicommedia.