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Pierluigi Pardo: “Cerco telecronache oltre la liturgia. L’imitazione di Max Giusti? Mio figlio lo ha scambiato per me”

La voce di Pierluigi Pardo è stata sottofondo del secondo scudetto del Napoli di Conte, che per lui è senza se e senza ma “un capolavoro”. Le sue intro sono diventate marchi di fabbrica. In questa intervista a Fanpage spiega: “La Serie A è bellissima, ma certe cose puoi farle solo con partite speciali come questa, i derby e la Nazionale, che resta un sogno”. Sulla finale di Champions dell’Inter: “Invidia per Caressa? Fabio è un amico, come me qualsiasi collega vorrebbe raccontare quella partita”.
A cura di Andrea Parrella
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La voce di Pierluigi Pardo è stata il riverbero sonoro dei due scudetti napoletani. Non la sola, ma certamente quella che ha lasciato il segno a livello televisivo. Il telecronista di punta di DAZN ha raccontato i due scudetti partenopei, da quello di Spalletti a quello di Antonio Conte, mettendo su questi due momenti sportivamente epocali il suo timbro, quelle intro in cui ha parlato di tutto, seguendo la lezione di quel tale che sentenziò: chi sa solo di calcio, non sa niente di calcio. Qui Pardo racconta a Fanpage il trionfo azzurro, le sensazioni di quei minuti e dei giorni che li hanno preceduti, come sceglie le parole giuste e il suo momento attuale di carriera, le parodie (compresa quella di Max Giusti ai suoi "danni") e le aspirazioni.

Sei reduce da un fine settimana epocale e partiamo da Napoli. Per questo scudetto si è scomodata la parola “miracolo”, usata in più accezioni. Sotto il profilo sportivo sei di quelli che crede lo sia stato?

Il Napoli ha fatto un capolavoro. Un grandissimo campionato, vinto a punteggio basso un campionato senza una una squadra dominatrice. È evidente che che l'Inter ha avuto qualche frenata legata ai tanti impegni, alla voglia di competere su tutti i fronti, però insomma in questo equilibrio la squadra di Conte è stata bravissima e ha meritato di di vincerlo. È stato quasi sempre in testa, non è stata una sorpresa.

Se per il Napoli non si può parlare di miracolo, non lo si può fare nemmeno per Napoli come città.

Penso che la città stia crescendo tanto da mille punti di vista, è in una fase sicuramente molto vivace dal punto di vista ECONOMICO e culturale, e i successi della squadra rientrano in questa onda lunga di cose belle e positive che stanno succedendo. L'atteggiamento di Napoli è perfetto: molto maturo, passionale, ma di chi si sta abituando giustamente a viverla non dico come abitudine, ma come qualcosa che può e deve succedere. Napoli è una metropoli europea e mediterranea con una cultura ricchissima, quindi merita di stare lassù. La crescita della città, a ben vedere, mi sembra una bellissima notizia per tutto il Paese.

In due anni hai vissuto questi due momenti sportivamente incredibili. Che differenza hai percepito tu che li hai dovuti rielaborare in parole?

Beh nel primo caso c'era un'attesa di 33 anni, nell'intro alla partita dello scudetto usai la parola "pippiando" (la cottura lenta del sugo per il ragù, ndr), un fuoco lento. La vittoria era cosa fatta, bisognava soltanto capire il momento, fu un festeggiamento che cominciò da fine gennaio. Quello di quest'anno invece è stato uno scudetto da batticuore, fino alla penultima giornata il Napoli ha rischiato.

In entrambi i casi, hai voluto lasciare il segno sul tuo racconto con l'introduzione alla partita. Come è nata quella di quest'anno?

Nasce da una cosa vera, dal fatto che mio figlio è nella fase delle domande, dei continui perché e la mattina gli stavo spiegando che sarei andato a Napoli a raccontare, forse, lo scudetto, ma sarei tornato di notte. Mentre ero in macchina, ho ripensato a questa cosa qui. Come gliela spieghi una roba del genere? Come si spiega il tifo? Una cosa talmente irrazionale, figurarsi in una città come Napoli dove il livello di passione e il legame identitario diventano qualcosa di completamente diverso dalla norma. L'ho scritta un'ora prima, dell'inizio, nel dirigibile in cima al Maradona, vicino a dove poi avrebbe visto la partita Antonio Conte, contagiato dalla passione e l'attesa che si respirava in città.

Approccio estemporaneo.

Assolutamente sì, perché altrimenti le cose perderebbero di verità. E poi io cambio idea ogni cinque minuti (ride, ndr).
Non facendo la Champions League o il commento di una Nazionale, che resta un sogno, sono poche le partite nelle quali si possono provare cose di questo tipo.

La Serie A non basta?

La Serie A è stupenda. Sono felicissimo di quello che faccio, sono tutte le partite più importanti del campionato, però diciamo che le intro richiedono una certa solennità, le puoi fare soltanto di fronte a delle grandi imprese, penso alle finali di Champions, Europa League e  Conference, o di fronte a partite speciali del campionato, come i derby di Roma, di Milano, di Torino. Questo senso epico ovviamente per una partita di metà classifica alla 15ª giornata sarebbe meno credibile.

Dalla citazioni di Sorrentino, a Iodice, Tropico e Liberato, Riccardo Dalisi e la caffettiera, la sedia del cece, Banksy. In queste introduzioni inserisci un po' di tutto. 

Amo le contaminazioni. Mi sembra un dovere andare oltre la liturgia del pallone e Napoli da questo punto di vista sicuramente offre spunti infiniti. Mi ha scritto la fondazione Dalisi che ha condiviso quel momento pubblicamente, mi hanno inoltrato un bellissimo messaggio di Liberato, con Sorrentino e Petrella ci scriviamo ogni tanto.

Manca solo Banksy…

Ah, lui non si è fatto vivo (ride, ndr). Del vetro in plexiglass della Madonna con la pistola di Banksy mi commuove. Lo vedo come un un segno di amore di Napoli nei confronti di un'opera d'arte, l'espressione di un paradosso, nel senso che la street art, per sua filosofia e per sua natura non dovrebbe mai avere protezione. Accetta le intemperie, il degrado, il vandalismo, l'imperfezione. I napoletani, invece, hanno protetto quest'opera riconoscendone un valore che evidentemente per loro è tangibile. Mi sembra un evidente atto d'amore.

Il lavoro di telecronista fino a qualche anno fa aveva un ruolo di servizio, raccontava quello che non si vedeva. Ma con le riprese di oggi si vede tutto. Questa condizione stimola il ricamo, il tentativo di innalzare la telecronaca a letteratura?

Io penso che il telecronista innanzitutto debba raccontare la partita, il play by play come si dice in gergo. Poi c'è l'estetica della voce e il carattere personale, devi sempre essere coerente con te stesso. Io sono uno che pensa che il calcio debba soprattutto emozionare e divertire. Mi piacciono gli imprevisti e le improvvisazioni. Una volta durante un Juve-Chelsea inquadrarono Ezio Greggio e io dissi "è lui o non è lui? Certo che è lui".

Qualcuno direbbe che momenti come quello dell'altra sera a Napoli siano quelli per i quali vale la pena fare fare il lavoro che fai. 

La telecronaca è la cosa più bella per me che esista. Non voglio dire che ho sacrificato altre cose per continuare a farne, però nella mia carriera ci sono stati degli snodi o dei momenti in cui se fossi stato meno legato alla telecronaca del calcio forse avrei fatto altre scelte.

Dimmi uno dei no che hai detto.

Niente di clamoroso, cose legate al mondo dello spettacolo, programmi generalisti, ma alla fine in tutte le mie scelte ha sempre prevalso la la telecronaca, perché è il momento nel quale mi diverto di più, questo è indiscutibile.

Da "SuperTele" al quiz in Rai "Ti sembra normale?" hai sempre mostrato una certa scioltezza davanti alla camera. Ti manca andare in video?

Mi manca, ma il giusto. Super Tele è stato un'avventura bella, aveva una collocazione complessa di lunedì sera, su DAZN che non è una generalista, Abbiamo avuto tantissimi momenti cult: Mourinho che duettava con Verdone, Pioli con Pupi Avati, Sorrentino che è rimasto con noi un'ora e sarebbe rimasto anche di più per parlare dello scudetto del Napoli. A TikiTaka alla seconda puntata andai col telefonino a intervistare Domenico Quirico, reporter di guerra de La Stampa che mi raccontò che durante i 5 mesi di rapimento in Siria gli mancarono tante cose, tra cui il Milan, la sua squadra del cuore. Il calcio è questa magia, è infanzia e appartenenza. E la telecronaca, se si priva ad andare oltre quello che già si vede, un fallo laterale, un calcio d'angolo, un rigore rivisto al Var, offre enormi possibilità di costruire un valore simbolico ed emotivo.

Quando non sei tu a commentare e assisti a eventi sportivi riesci ad emozionarti o ti senti fuori luogo?

Me lo godo perché mi piace il calcio e mi piace vedere le partite, però non c'è dubbio che mi diverta soprattutto quando commento.

Insomma, sabato sera invidierai Fabio Caressa che sarà a Monaco per Psg-Inter, insomma…

Fabio è bravissimo ed è un amico. Credo che non ci sia nessuno tra i miei colleghi che non vorrebbe essere lì a raccontare una partita che farà storia, proprio come quella dell'altra sera al Maradona. La finale di Champions è una grande partita che si preannuncia equilibrata e spettacolare. Ci sarà un'onda di amore, di emozione dei tifosi nerazzurri veramente incredibile.

Le intro alle partite stanno diventando anche oggetto di cultosui social. La colpa non può che essere tua. 

Mi hanno inviato diversi video, montati con immagini di festeggiamenti, musiche, momenti privati. Addirittura un ragazzo ha fatto l'analisi critica della intro a scuola, in una classe, spingendo gli studenti a inventarne altre. Mi ha fatto molto piacere.

A proposito di parodia e di Napoli, a De Laurentis ti lega l'imitazione di Max Giusti. Che ne pensi?

Con Max ci incontrammo casualmente a Napoli per una convention e lui mi disse che stava preparando la mia imitazione. Qualche anno fa l'aveva già fatta a Quelli che il calcio ma questa mi piace ancora di più. Si vede che che ci conosciamo e lui ha fotografato alcuni aspetti veri. E quando ho fatto vedere il video di Max che mi imitava a mio figlio Diego che non ha ancora tre anni ha detto subito: "È Papà". Indubbiamente sembrava il papà.

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