Maurizio Trombini: “Ero la voce di Lucignolo, a 15 anni lavoravo in fabbrica. Rifiutai il ruolo di Alfio Gherardi in Vivere”

Un volto ma soprattutto una voce, capace di evocare suggestioni. Perché a Maurizio Trombini basta aprire bocca per spalancare le porte ai nostri ricordi. Era infatti lui lo speaker di Lucignolo, storico programma di Italia 1, così come era lui il narratore delle vicissitudini del signor Rezzonico nella parodia della tv svizzera portata in scena a Mai dire gol da Aldo, Giovanni e Giacomo. Attore anche in numerose serie e soap di successo, ne mancò una da protagonista, visto che declinò il ruolo di Alfio Gherardi in Vivere. A Fanpage.it si racconta in questa intervista.
Classe 1954, quello di Trombini è stato un lungo ed articolato percorso, iniziato per puro caso. “A quindici anni venni bocciato a scuola e me ne andai a lavorare in fabbrica”, confida a Fanpage.it, “da quel momento studiai sempre di sera, fino a quando non mi iscrissi a Lettere". La prima svolta ebbe le sembianze di Radio Reporter 93, emittente privata tornese dove Trombini conobbe un regista che realizzava commedie radiofoniche: “Mi invitò al Teatro Nuovo, a Torino. Avevo una piccola battutina, niente di che, ma riscossi un discreto successo e venni richiamato per altre tre-quattro commedie. A quel punto approdai al Teatro Stabile con Carlo Campanini e, parallelamente, cominciai a frequentare una scuola di dizione e recitazione”.
Il passo successivo fu quello di recarsi dal numero uno del settore: Giorgio Strehler. “Mi dissi: ‘Se voglio fare davvero questo lavoro, devo andare dal regista più bravo’. Scoprii che stava provando al Lirico di Milano, ma quando arrivai all’ingresso non mi fecero passare. Allora sfondai una porta e mi nascosi in un bagno sotterraneo, dove dopo qualche minuto apparve proprio Strehler”.
Era venuto a fare pipì.
Sì. Mi presentai e riuscii ad impietosirlo, tanto che mi fece un provino davanti a tutti gli altri attori della compagnia. ‘Sei acerbo, ti faremo sapere’, fu il suo giudizio. Ma appena rientrato a casa scoprii da mia madre che mi avevano preso, grazie ad un ruolo che era rimasto scoperto. Nacque tutto così. Fui fortunato e al contempo sfrontato. D’altronde la vita si dipana in questo modo. Al Piccolo Teatro ci rimasi per undici anni.
Lavorò anche con Vittorio Gassmann, Dario Fo e Franca Rame.
Con Gassmann feci alcune cose alla Vides di Roma. Nel caso di Dario e Franca, invece, ebbi modo di constatare lo stile totalmente diverso da quello di Strehler. Fo era audace. La sua cialtronaggine simpatica si contrapponeva alla perfezione di Giorgio. Con lui una battuta la dicevi dopo un mese, al contrario Dario ti dava tre fogli in mano e te li faceva leggere. Senza aver mai provato, salivi sul palco e improvvisavi delle cose con lui. Fo era straordinario, quando vinse il Premio Nobel devolvette l’intera cifra, assai notevole, a sostegno delle famiglie in difficoltà. Toccai con mano delle situazioni che non venivano pubblicizzate all’esterno.
Come arrivò al doppiaggio?
Il teatro è sempre stato molto presente nel mio lavoro, ma quando mi sposai ed ebbi la mia prima figlia avevo la necessità di guadagnare. Un amico, Alarico Salaroli, un giorno mi portò in sala di doppiaggio e mi insegnarono il mestiere. Successivamente arrivò pure la radiofonia e il lavoro decollò, addirittura con l’ingaggio nella pubblicità. Ne ho fatta tantissima.

In tal senso, mi torna in mente uno spot della Dixan assieme a Ferruccio Amendola.
Una persona dolcissima e bravissima. Da tutti ho riscontrato la disponibilità umana. Mi hanno lasciato l’affetto. Lavorare con gente preparata, molto più brava di me, è stato fondamentale.
Ha dato la voce a persone reali, cartoni animati e personaggi di videogiochi. Immagino che gli approcci siano completamente diversi.
Nei cartoni è determinante il timbro che si sceglie, così come nei videogiochi, dove tutto è più enfatizzato. Ad esempio, nel 2020 ho partecipato a Folco Files, un podcast sul mestiere del medico. Lì non c’era recitazione, parlavo in maniera normale. Inoltre, più vai avanti con l’età e più vai ad asciugare, a togliere. Eviti gli orpelli ridondanti, i virtuosismi. Il doppiaggio non deve essere un esercizio stilistico, sennò diventa una mer*a e non più un’urgenza emotiva. Sono convinto che essere troppo bravi sia un errore.
In che senso?
Nel senso che bisogna essere a servizio del personaggio. Una ricchezza timbrica o tonale non fa altro che scollarti da lui. A me le belle voci stanno sui coglioni. Dobbiamo stare attenti a non prevaricare. Il doppiaggio è un lavoro da compiere nel rispetto di coloro che hanno girato realmente quelle scene.
In quarant’anni di attività ha curato la sua voce in maniera particolare?
La mia voce mi ha dato l’opportunità di lavorare e far crescere in serenità in miei tre figli, tuttavia nel corso degli anni è inevitabilmente cambiata, è inutile che faccia il figo. Però non ho mai pensato di curarla e, per fortuna, non mi sono mai ammalato. In ogni caso, bisognerebbe stare attenti alla salute. Ho fumato fino a due anni fa, poi il medico mi ha imposto di smettere.
Arriviamo ad Aldo, Giovanni e Giacomo. Come nacque il sodalizio?
Il merito fu della mia frequentazione degli studi Mediaset. È probabile che abbiano chiesto una voce fuori campo a Laura Legnani (responsabile di alcuni programmi Mediaset, ndr) e che lei li abbia condotti a me. Intervenivo sulle scene già girate e mi limitavo a leggere un testo, da parte mia non ci fu un contributo autoriale. Più effettuavo intonazioni di maniera e maggiore era l’efficacia. Gli sketch della Tv Svizzera erano una chiara presa in giro di ‘Ultimo Minuto’, trasmissione che in quel periodo spopolava su Rai 3. Aldo, Giovanni e Giacomo sono belle persone, assolutamente squisite, così come quelli della Gialappa’s, con cui lavorai pure in ‘Tutti gli uomini del deficiente’. Provo sincero affetto per loro, poi purtroppo la vita ci ha portato altrove e non abbiamo avuto più l’occasione di incontrarci.
Nel 2003, invece, arrivò “Lucignolo”. Da settimanale di approfondimento e attualità, si trasformò rapidamente in un contenitore di gossip.
Esattamente. Ci fu una svolta in corso d’opera. Andavano molto il gossip, i culi e le tette. Erano tre ore di diretta, un impegno faticoso. Anche qui leggevo semplicemente i testi, che venivano scritti da Mario Giordano e dai suoi collaboratori, tra cui spiccava Giovanni Toti. Ma una volta ci misi del mio.
Racconti.
Mi chiesero di salutare una nonnina che in quel giorno compiva 92 anni. Le feci gli auguri e aggiunsi: ‘Spero di essere arrivato in tempo’ (ride, ndr). Giordano entrò in studio arrabbiatissimo, urlandomi di tutto.
Suppongo che non condividesse a pieno la linea editoriale.
Non ero sempre d’accordo. Ma se firmi un contratto devi fare le cose al meglio. Con Giordano non ho mai avuto attriti. Anche quando decisero di sostituirmi alla conduzione non dissi niente.
Si riferisce all’innesto di Enrico Ruggeri e Marco Berry del 2013?
Sì. Partimmo al 4-5% di share e optarono per un cambio radicale. Dalla puntata successiva misero Ruggeri e Berry al mio posto, ma gli ascolti non migliorarono.
“Ehi ragazzi, sono io, Lucignolo”. La frase diventò un assoluto tormentone.
Fu scritta da Giordano. I tormentoni erano suoi, lui ha questa caratteristica innata. Solo ‘cristallizzatevi’ era farina del mio sacco.
Quanto le pesa essere identificato soprattutto come la voce di “Lucignolo”?
Non è un problema, figurati. So di aver fatto tante belle cose in carriera, soprattutto a teatro. Sono stato a Los Angeles, a New York, ho girato i Paesi dell’est prima che cadesse il Muro. Esperienze e riconoscimenti che nessuno mi toglierà mai.
Nel luglio del 2006, dopo una puntata in diretta da San Benedetto del Tronto, il produttore del programma, Sergio Semino, morì improvvisamente nella sua camera d’albergo. Aveva appena 35 anni.
Era giovanissimo e lo conoscevo bene. Quella tragedia mi è rimasta addosso, mi colpì particolarmente. Sergio era un bravissimo ragazzo, a modo e mai fuori dalle righe. Ci sono persone che se la tirano una volta raggiunto il minimo potere, lui non apparteneva a questa categoria.
La settimana seguente andò in onda con la voce strozzata.
Fu la puntata più difficile, non riuscivo proprio a parlare. Qualcuno si arrabbiò, mi dissero che non era il caso di mostrarmi così, ma non ce la facevo a riprendermi. La dimostrazione, forse, che non sono adatto per certe cose.

Nel 2007 comparve per qualche episodio a “Centovetrine”. Un ruolo marginale.
Mi chiesero di interpretare un personaggio secondario e accettai. Conoscevo bene la produzione, che anni prima mi aveva contattato per l’altra soap di Canale 5, Vivere. Mi fu offerta la parte da protagonista e un discreto compenso, ma avendo aperto da poco una società di doppiaggio non me la sentii di mollare tutto.
Quale ruolo le avevano proposto?
Quello di Alfio Gherardi, poi finito a Fabio Mazzari, che indicai io. Mi ricontattarono diverse volte e, appena ebbi del tempo a disposizione, mi prestai. Sono rimasto molto legato a quel gruppo di lavoro, a partire dal povero Pietro Genuardi, recentemente scomparso. Poco prima che se ne andasse ci eravamo sentiti al telefono, era ricoverato in ospedale. È stata una grave perdita che mi addolora.

Dal teatro alle soap. Un salto da molti visto con estrema diffidenza.
Per quel che mi riguarda, non ho mai percepito snobismo. Ho sempre dato importanza ai testi. Non nego che spesso mi sono adeguato, dovevo portare a casa la pagnotta e assicurare alla mia famiglia una vita al meglio delle possibilità.
Tra le collaborazioni illustri, impossibile dimenticare quelle con Vianello e Mondaini.
Recitai in alcuni episodi di Casa e Cascina Vianello. Raimondo e Sandra erano due elementi meravigliosi. Mi porto nel cuore gesti di grande solidarietà. Fu davvero piacevole affiancarli. Stesso discorso per Gino Bramieri, col quale lavorai in Nonno Felice. Erano esperienze alle quali mi prestavo volentieri.
Per aver doppiato Anthony Bourdain ricevette nel 2018 il premio speciale “KitchenArts” al Festival “Voci nell'Ombra”.
Aveva una trasmissione sulla cucina di strada che andava in onda su Discovery. Era uno chef ironico e preparatissimo che affrontava la vita in modo diretto, andando in profondità.
Oggi di cosa si occupa?
La mia voce si sente meno, essendo direttore di doppiaggio evito di rubare il lavoro agli altri. Contemporaneamente, insegno all’Università Statale Walter Tobagi ‘dizione e fonetica’ e ‘comunicazione verbale e non’, mentre al Centro Teatro Attivo curo un corso di speakeraggio. Mi ritengo fortunatissimo, nella mia vita ho fatto tredici. Se ripenso che a 15 anni stavo in fabbrica….