Giovanni Minoli: “Fabio Fazio mi avvertì della morte di mia madre dall’autostrada, così la Tv ha invaso il mio privato”

Giovanni Minoli conosce la televisione. Ha saputo prevederla, immaginarla e costruirla, oggi dimostra di saperla leggere con grandissima lucidità. L'occasione di quest'intervista con lui è la partecipazione a Benetton Formula, documentario disponibile su Sky dal 28 novembre, dedicato all'epopea della squadra di Formula 1 con cui la famiglia Benetton trionfò alcuni decenni fa, grazie all'intuito e al coraggio di sapere osservare le cose da un punto di vista differente. Minoli è tra le voci che partecipano alla costruzione del racconto, ma l'incontro con lui si trasforma inevitabilmente in una possibilità di riflessione sul presente, il passato e il futuro, non solo della televisione, ma semmai di tutto quello che la televisione, simbolicamente, può ancora rappresentare. Dal trionfo di Scotti al disorientamento del servizio pubblico, il successo di Sandokan come simbolo di una televisione che fa ancora quello che nessun mezzo è in grado di fare, i suoi faccia a faccia con Netanyahu e Pippo Baudo, riemersi negli ultimi mesi per ovvio ragioni. Ma siccome chi fa Tv è come se da essa non potesse prescindere, Minoli racconta come quel mondo sia entrato nel suo privato in molti casi, involontariamente, anche per le notizie più drammatiche.
Minoli, partiamo da questo documentario sulla storia della Benetton in Formula1, che va anche oltre se stesso e simbolicamente racchiude certamente un pezzo della storia d'Italia che oggi sembra lontanissimo. È d'accordo?
Questo documentario rischiava di fare i santini e invece ha fatto un monumento alla fantasia al potere. Il vero messaggio è stato quello: "Siate realisti, chiedete l'impossibile". Il vero mantra dell'ispirazione Benetton.
Il documentario parla soprattutto di uno sport che era espressione di quel tempo e che per altro non sembra più essere. È perché correndo non si rischia come un tempo?
No, è legato al fatto che i simboli della modernità cambiano, che i simboli dell'evoluzione cambiano, che i simboli della fantasia al potere cambiano. Mi è dispiaciuta una sola cosa, che c'era una una sintesi finale che racchiudeva tutto ed è stata eliminata. Un giorno l'avvocato Agnelli, disperato perché le Ferrari, come adesso, perdevano sempre contro le Benetton, chiama un giorno Flavio Briatore e gli dice "Ma che cosa posso fare io?" E Flavio, uno degli interpreti della fantasia al potere di Benetton, dice ad Agnelli: "Ma avvocato è semplicissimo, dipingiamo di blu la Ferrari e di rosso la Benetton.
Quando la fantasia è al potere…
Fantasia allo stato puro e poi una presa per il culo gigantesca. Come dire che la fantasia al potere batte tutti i vostri miliardi investiti in ingegneri inutili.
D'altronde il coraggio della presa in giro dei potenti è la chiave del successo di Benetton.
Esatto, ma quella strategica, non fine a se stessa. La presa per il culo strategia sottintende un'altra visione del mondo.

La vicenda Benetton mi fa venire anche in mente la sua vicenda professionale, la televisione che ha fatto nasce dal trionfo del pensiero laterale.
È stato sempre il mio mantra. Se tu guardi Mixer adesso, dici che questo è un programma che faranno fra 30 anni. Vedi un'inquadratura e dici "Mixer". Lo riconosci immediatamente, lo puoi rubare e riutilizzare, ma si individua subito. Quando lo provavamo al Teatro delle Vittorie, dove si facevano i varietà del sabato sera del grande Antonello Falqui, tecnici e cameraman si mettevano a gridare dicendo che non si poteva fare, che quella non era la televisione, che faceva schifo.
Come la risolse?
Dissi "scusate è il mio programma e decido io". Come fu possibile? Perché io non venivo né dal cinema, né dal teatro, né dal giornalismo, ma da una famiglia di avvocati, di professori di università, cioè avevo un pensiero laterale completamente libero che ha fecondato il progetto centrale, cioè la televisione. Così è stato praticamente in tutto. Quando ho fatto un Posto al Sole, a Napoli non ci credeva nessuno. Dopo tanti sforzi feci una riunione in Confindustria per chiedere aiuti e nessuno capiva. L'unico che ha capito è stato Necci, che allora era il commissario delle Ferrovie e disse: "Giovanni, io ti do un miliardo se dei protagonisti base della storia è un pendolare, a me basta. Non voglio che dica niente, non deve parlare, deve solo tutti i giorni prendere un treno pulito".
Restando in campo sportivo, il calcio è sempre stata una sua passione familiare ed è stato a un passo dalla carriera di calciatore. Lo segue ancora?
Amori così non ti abbandonano anche se vorresti lasciarli, lo seguo ma a fatica perché oggi è di una noia mortale. I campioni non vengono più coltivati, ce ne sono pochissimi. Se tu guardi una partita di Sinner è meglio di una finale della Coppa dei Campioni.
Gli ascolti del tennis di questi tempi, d'altronde, dicono molto.
Ma non è solo quello. Io ho visto mia moglie, che non sa neanche come è fatta una racchetta, appassionarsi lentamente. È un fenomeno mediatico, sociale, educativo. Di recente Sinner ha detto una cosa bellissima, che lui sciava e anche lì avrebbe potuto farcela, ma ha scelto il tennis perché una gara di sci dura 1 minuto e 40 in cui ti giochi tutto, mentre una gara di tennis è indefinita. C'è un tempo un tempo dell'attacco, un tempo del recupero, un tempo anche dell'errore, della crisi psicologica che può essere superata.
Tra il calcio che poteva essere la sua vita e il giornalismo che lo è stato qual è il filo conduttore?
Tra il calcio e il giornalismo non lo so, tra lo sport e il giornalismo sì: il gusto della sfida e dell'avventura, la partita si rigioca sempre.
Che si vinca o che si perda?
Io dico sempre che non si perde mai, perché o vinci o impari. Le eventuali sconfitte sono sempre state, per me, un corso accelerato di formazione.
Negli ultimi mesi è tornata virale la sua intervista faccia a faccia con Netanyahu di anni fa, un incontro che per molti è stato rivelatorio viste alcune sue dichiarazioni incredibili se rapportate all'oggi. La ricordava a memoria?
Ne ho fatte talmente tante che no, non la ricordavo. Incredibile che in quell'occasione parlasse di due stati. Ma tu sai quante ce ne sono che hanno un'attualità pazzesca? Penso a quella a Edoardo Agnelli, se uno uno riaprisse quel caso con la stessa precisione chirurgica con cui stiamo parlando di Garlasco, credo verrebbero fuori delle cose interessanti, visto che nella vicenda ci sono molti buchi.

Un altro Faccia a faccia riemerso di recente è quello con Baudo, dopo la sua morte. Parlavate del "teledivo" e lui diceva che ci sarebbe stato sempre, anche se la TV stava cambiando. Secondo lei ha avuto ragione?
Quelli di oggi li chiamerei teledivini, teledivetti, teledivucci. E infatti chi sono quelli veri? Quelli che c'erano già. Penso a Gerry Scotti, numero uno assoluto. Conta la gavetta, non è che tu prendi un concorrente del Grande Fratello e gli dai un programma e diventa un teledivo.
La parabola di Scotti è di quelle emblematiche. L'idea che uno possa riuscire a raggiungere un apice quasi sul tramonto della propria carriera è abbastanza insolito.
La dice lunga anche sull'importanza del format. Prendiamo l'esempio di Amadeus, un grandissimo professionista che aveva trasformato Affari Tuoi lentamente in un trattato di sociologia popolare, scavava lentamente nelle storie senza darlo a vedere, dalle personalità dei concorrenti veniva fuori un'Italia minore raccontata dagli stessi protagonisti. Ha fatto fare un salto di qualità al programma, anche di ascolti. Ora il programma si è trasformato in qualcosa che somiglia molto più a una festa e questo forse ha aperto uno spazio per Scotti.
Affari Tuoi secondo lei è troppo intrattenimento?
Ma sì, perché qual è l'oggetto del format? Aprire delle scatole e vedere se ti va bene, mentre La ruota della fortuna richiede un minimo impegno. C'è già una superiorità narrativa. Trasformare Affari Tuoi in un varietà ha funzionato perché De Martino ha un impatto forte sul pubblico, forse sul lungo periodo non ha pagato.
Mi pare di capire che da direttore non l'avresti approvato.
Non l'avrei fatto per una ragione molto più semplice, che tu oggi hai Affari tuoi contro La ruota della fortuna che arrivano praticamente alle 10. La gara fra la Rai e Mediaset è lo scontro fra due giochi? Vorrei sapere cos'è il servizio pubblico nella testa di chi comanda in Rai.
Si tratta peraltro di uno scontro tra programmi che hanno più entrambi più di 25 anni di vita.
Ma quello non è neanche il punto, perché per chi ci crede Gesù è lì da 2000 anni, il prodotto è forte e quando funziona è definitivo, come la gomma da masticare. Io voglio sapere che cos'è il servizio pubblico per chi gestisce la Rai oggi, perché se è solo De Martino contro Scotti…
La sensazione è che siano proprio i dirigenti a vivere un momento di confusione.
Totale. Tu prendi Sandokan, che ha fatto il 38% con la prima puntata, ma poteva fare 42-43 % se fosse andato in prima serata vera. Una volta la prima serata cominciava alle 20.40, al massimo alle 21, adesso prima delle 10 non se ne parla. La gente poi lavora, va a dormire, i bambini vanno a scuola. Puoi arrivare fino alle 10.30 per il piacere di avere un punto di share in più che è una soddisfazione solo per i conduttori?
Cosa intende?
Il prime time commerciale finisce alle 22.30, quello su cui si fanno gli investimenti pubblicitari degli spot finisce a quell'ora. Tutto il resto che arriva mezzanotte serve per me a dire che ti ho battuto.
Serve solo alla narrazione?
No, serve alla vanità. E all'incapacità di avere delle idee.
Non salva proprio nulla?
Sono tre anni che il consiglio d'amministrazione della Rai è in carica, vorrei sapere quali sono i programmi nuovi. Il solo a distinguersi è Splendida cornice, perché Geppi Cucciari è bravissima e il programma è pensato, non è un format trasformato come tutti gli altri.

Ed è il solo tra i pochi che in qualche modo si allinea all'identità perduta di Rai 3.
Esattamente, cioè ci sono delle logiche nelle cose, capito?
Sembra esserci questo effetto di dispersione ed è difficile immaginarsi un'inversione di tendenza.
Ma non è non è complicato, perché ricordati che la televisione vende onde hertziane, non devi fare dei palazzi, devi avere delle idee. Le idee sono la merce più rara che c'è e non se ne vedono molte all'orizzonte. Ma il punto principale è l'idea che si ha del palinsesto e se il palinsesto è basato sull'idea di programmi lunghi che costano meno per risparmiare, non va bene.
Il punto, mi pare di capire, è sapere dove si vuole indirizzare lo spettatore.
Guarda, una volta parlavo con Dan Rather, uno dei più grandi uomini di televisione americani, il quale mi diceva "Giovanni, vedi se noi non acquisiamo la coscienza dell'importanza civile della televisione, noi moriamo. Scopriremo che la televisione è più potente della bomba atomica, come danni che può provocare con effetti ritardati nel tempo, e creeremo generazioni di zombie ingovernabili. Cosa che sta evidentemente accadendo. Ci siamo.
Tra le ricerche su Google di domande associate al tuo nome c'è "che fine ha fatto?". Come ti rapporti alla possibilità per la quale ci siano persona che ti abbiano dimenticato e nuove generazioni che possano non conoscere un personaggio simbolo quale tu sei per la Tv?
Mi sembra del tutto normale. Se vai in una qualunque classe e chiedi chi è Giulio Cesare molti non lo sanno. Dante tantomeno.
Ed è un problema?
Sì, ma sai perché? Non per me che non me ne frega niente, ma perché c'è il rischio di non capire che un popolo che non ha memoria, non ha futuro, e che il ruolo della storia è quello che lega le generazioni e che fa la cultura di popolo.
In questo senso credo che la televisione abbia un ruolo molto più importante di quanto si pensi oggi nel ritenerla morta.
Un ruolo importantissimo. Ricordati che l'Italia, soprattutto l'Italia, è un Paese che invecchia, con il 70% delle persone che guardano la televisione generalista. Tutti parlano delle piattaforme, aggregatori di tante piccole nicchie. Ma aggregare nicchie non crea il fatto del giorno, gli oltre 6 milioni del debutto di Sandokan sono la rappresentazione di qualcosa, l'unità di tempo, luogo e concomitanza che determina il talk in the town per cui si parla di qualcosa il giorno dopo in ufficio.
La contemporaneità è l'elemento che può salvare la televisione?
Assolutamente sì e c'è un esempio di centralità della Tv al di là di tutto che, dal mio punto di vista, è clamoroso: Barack Obama. È stato il primo che ha fatto la campagna elettorale tutta col telefonino sempre in tasca, tutto new media. Diventa presidente e qual è la prima cosa che fa? Una conferenza stampa a reti unificate.
Aveva anche capito, in fondo, che i nuovi mondi in qualche modo non vogliono fare altro che sostituirsi ai precedenti
Ma non ci riescono quasi mai, soprattutto nella comunicazione. Le forme di comunicazione non si escludono, semmai si sommano. Il teatro messo in crisi del cinema ha riscoperto la sua funzione adattando il suo linguaggio. Il cinema quando è arrivata la televisione sembrava morto e poi ha cambiato il suo linguaggio, oggi non vai nelle sale ma lo guardi alla televisione. Così la televisione si è adattata al web. Ma mai qualcosa ha sostituito il precedente e se tu cerchi una relazione fra i follower e gli ascolti dei programmi, molto spesso non c'è.
Lei è considerato un decano della televisione, che come tutti i potenti ha attirato maldicenze. Mi dice qual è la più feroce di cui è venuto a conoscenza?
Direi che la maggior parte mi sono scivolate addosso. Quando dicevano che avevo fatto gli spot a Craxi per la campagna elettorale negli anni Ottanta, ad esempio, tutti gli altri lo facevano subdolamente coi loro programmi, io l'ho detto apertamente.
La rete si ciba principalmente di aneddotica. In un'intervista a Malcom Pagani accennava al fatto che Fabio Fazio le comunicò della morte di sua madre.
È andata proprio così. Il mio è un caso clamoroso, perché mio padre e mia madre sono morti nello stesso modo a distanza di 12 anni, tutti e due in un incidente stradale. Separatamente, individualmente. Quando lei ha avuto l'incidente Fazio passava di lì, sull'autostrada. Ha chiesto, s'è informato e dato che mia madre, da sfegatata juventina qual era, andava ogni tanto da lui a Quelli quelli del calcio, mi avvisò al telefono. Non è stato un bel modo per saperlo, ma non lo sarebbe stato comunque.
Sembra uno scherzo del destino che la Tv abbia invaso anche nel suo privato in questo modo.
È proprio così, quasi incredibile.
Parliamo di politica. Meloni va di rado in televisione, quando lo fa sembra scegliere solo situazioni di comodo. Commette un errore oppure fa bene?
Lei commette un errore nel sottovalutare l'importanza globale della televisione nella creazione dell'atmosfera generale del paese, perché fa un po' lo stesso errore che ha fatto Prodi. Diceva di essere stato il solo ad avere battuto due volte il campione della televisione, Berlusconi, di conseguenza la televisione non serviva a nulla.
Evidentemente si sbagliava.
Alla grande. Ma io penso che soprattutto la Meloni, grande comunicatrice con tanti registri, efficace, solida, spiritosa, dovrebbe stare di più in televisione.
La inviterebbe per un Faccia a faccia?
Ne abbiamo fatto uno in passato. Non da da premier però. Oggi le farei sicuramente domande diverse.
Dall'altra parte poi invece sembra esserci la sinistra in atavica difficoltà a trovare un discorso che sia capace di incidere e fare massa critica. Secondo lei è un è un problema di linguaggio o di chi parla?
Da quando la sinistra ha perso il contatto con la realtà, cioè col mondo che rappresentava, quello degli ultimi, degli operai, si è occupata di problematiche che riguardano terzi mondi che non incidono sulla storia sulla vita delle persone. Bisogna che riconquisti il rapporto reale con le persone. Un giorno ho detto a Schlein che i suoi temi sono importanti, ma credo che saranno avvincenti il giorno in cui una ricca signora bianca, miliardaria, darà il suo utero in affitto per la sua cameriera nera.
Torniamo al discorso delle nicchie, la sinistra ne sembra un'aggregazione. Ma aggregare nicchie non sembra sufficiente.
Sì, poi adesso il grande tema che abbiamo davanti è un altro: la vita si è allungata di 20 anni più o meno, esiste un'umanità nuova che non c'è mai stata e che è un mistero, per la quale bisogna progettare un mondo fatto di cultura, di spettacolo, di sapere, di conoscenza, di politica di esigenze. Le categorie di prima non servono, non ci sono più. Se tu hai in occidente milioni e milioni di persone tra i 70 e i 90 anni devi capire come articolare il loro pensiero pensiero, lì dentro potenzialmente c'è una rivoluzione più forte di qualunque altra. C'è chi fa i figli a 75 anni, non so come dirti.
È un target televisivo a parte.
È l'umanità inedita.
Chiudo chiedendole, da re indiscusso delle interviste televisive, chi sa farne oggi in televisione? Chi le piace?
Rispondo con una domanda: chi le fa?