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Diego Abatantuono: “Ho imparato il mestiere stando a tavola. Cosa lascio? I figli. Vengono prima del cinema”

Diego Abatantuono, nel cast di “Lol – Chi ride è fuori 4”, racconta a Fanpage.it l’esperienza nel format di Prime Video. Nell’intervista fa un bilancio sulla sua carriera e la sua vita: “Chi sa stare a tavola, sa stare al mondo. Ho imparato tutto mangiando coi più grandi”. E su Fedez: “Con il suo lavoro è inevitabile che stia dentro al gossip”.
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Diego Abatantuono è uno dei grandi comici protagonisti della prossima edizione di Lol – Chi ride è fuoridisponibile dal 1 aprile su Prime Video. A Fanpage.it, l'attore e regista racconta la sua esperienza: "È molto faticoso, ti rincoglionisce. Ma c'è da dire che quando si mette insieme quelli che sono capaci, diventa più facile lavorare". Alla conduzione c'è Fedez e lui, da venerabile Maestro, dispensa un consiglio in relazione al momento complicato: "È successo anche a me, quando ero giovane, di essere seguito e consigliato male. Mi hanno rubato dei soldi, ho pagato tante tasse, ho fatto tanti film che forse avrei potuto evitare o comunque diluire e in quel caso fui tradito da quelli che erano i miei amici".

Parliamo di cinema, di film sottovalutati – "Camerieri" e "Per amore, solo per amore" – di grandi artisti e amici, da Beppe Viola a Enzo Jannacci, e di cucina: "Chi sa stare a tavola, sa stare al mondo. Le tavolate mi hanno dato il senso del ritmo". La prima domanda, dopo i saluti di rito, è proprio Diego a farmela: "L’hai visto al cinema?" e io gli rispondo di no, purtroppo. “Che peccato che tu non l’abbia visto al cinema”, osserva.

Perché? 

Siamo in un’era di profondo cambiamento e a seconda delle epoche succedono cose diverse. C’è stata la grande commedia italiana dei grandi maestri, Sordi, Scola e via dicendo; poi c’è stato il periodo dei Pozzetto, dei Villaggio, poi sono arrivato io e mi ricordo che quando facevamo i film belli, si sentivano le risate del pubblico anche fuori dalla sala. Io, da allora, ho visto tanti film belli ed era da tempo che non sentivo ridere in quel modo con Lol. Erano anni che non sentivo ridere la gente così. Credevo fossero tutti addetti ai lavori, invece era pubblico pagante. Sono rimasto spiazzato. C’è da dire che quando si mette insieme quelli che sono capaci, diventa più facile lavorare. Non m’aspettavo che fosse così divertente. Non so come sia l’effetto nelle case, ma il consiglio che posso dare è di vederlo in compagnia.

Se non bisognava far ridere, il cast è perfetto” è la tua prima battuta.

Me l’ero preparata come presentazione dell’atteggiamento. Un po’ per carattere, un po’ perché è il mio genere, io vado sempre di sponda, gioco sull’altro. Non sarei mai andato lì a fare le cose, ma solo a giocare di rimando. Ho fatto il sornione, ecco, il solito sornione.

Tu avevi visto le edizioni precedenti? 

Avevo visto qualche spezzone. C’erano sempre cose che mi facevano ridere, altre meno ma non è mai stato un problema. Quando non rido io, non penso che non faccia ridere ma penso che non faccia ridere a me.

Il rapporto con il cast: chi conosci meglio? Chi non conoscevi per niente? Chi ti ha sorpreso di più?

C’era il ragazzo che ha vinto il talent, Lunanzio (Loris Fabiani, ndr), che io non conoscevo. C’era Rocco Tanica, del quale conosco perfettamente lo spirito. Panariello che è un grande e fa sempre ridere. La Ocone, Aurora Leone dei Jackal, molto simpatica, non la conoscevo di persona e devo dire carina e brava, c’ha bei tempi. La Finocchiaro è mia sorella, Santamaria che non fa il comico di mestiere ma si è dato molto. Diciamo che tutti hanno cercato di dare il loro meglio.

Il cast completo di Lol - Chi ride è fuori 4
Il cast completo di Lol – Chi ride è fuori 4

Tutti dicono che fare Lol sia fisicamente provante. 

È molto faticoso, ti rincoglionisce. Il problema è che lì stai sei-sette ore chiuso dentro e quindi non hai il tempo di dare davvero il meglio. Se fosse diviso in due giorni, avrei avrei avuto più energie.

Alla conduzione di Lol c’è Fedez, che sta probabilmente affrontando il periodo personale più complicato della sua vita. Non ti voglio chiedere di lui, ma voglio chiederti: tu che rapporti hai col gossip? 

Eh, beh, era meglio che mi chiedevi di Fedez…(ride, ndr)

Perché?

Perché col gossip io non ci ho mai avuto a che fare. Oramai lo dimostrano i fatti. Faccio questo mestiere da cinquant’anni e non hai mai visto due foto mie sui giornali, a parte una volta con mia moglie, quando stavamo uscendo da un cinema.

Come sei riuscito a tenerti lontano dal pettegolezzo? 

Ho avuto forse fortuna perché nel periodo storico in cui io ero giovane, non c’erano i telefonini ed era più facile stare attenti. Non andavo nei posti dove sapevo che ci potevano essere fotografi. Con l’arrivo dei social, poi, è diventato un vero e proprio mestiere, il gossip.

Anche di televisione ne hai fatta poca, considerando che Lol non è tv lineare. 

Sì, ci vado molto poco se non a fare promozione. Ma la televisione è un lavoro a parte. È la terra degli opinionisti che hanno un opinione su tutto: dallo sgozzamento di un anziano alla moneta rara. Tuttologi che vanno in rotazione in tutte le televisioni, in tutte le trasmissioni. Non ho niente contro quel mestiere lì, figuriamoci, però ritornando al gossip, non si può dire che chi ci entra dentro lo fa ‘suo malgrado’. Ci si sta volentieri e fa parte del lavoro.

Questo per parlare di Fedez?

Credo che lui e sua moglie fanno il lavoro che fanno e ci sono dentro. Lui fa la musica come base e poi è diventato tante cose insieme. La moglie fa quell’altro lavoro lì…mi fanno ridere i nomi, perché io non vorrei mai usare le parole straniere non per nostalgia, ma solo per buon senso.

La parola è ‘influencer’. 

Quella è la parola. Chiamiamola ‘influenzatrice’. Il mio parere è che loro hanno fatto la loro vita e a me sono sempre stati simpatici e continuano a esserlo. Chi ha un business così grande, chi è un’azienda, è giusto che abbia avvocati, agenti, persone che ti seguono e che devono farlo bene. Questo che significa? Che quando fai una cazzata, vuol dire che gli altri hanno sbagliato. Nessuno ha mai imputato a uno degli Agnelli di aver fatto una cazzata in bilancio, ci sono delle persone dietro che hanno delle responsabilità. È successo anche a me, quando ero giovane, di essere seguito e consigliato male.

Cosa era successo? 

Quando avevo vent’anni e ho cominciato a fare il cinema mi hanno rubato dei soldi, ho pagato tante tasse, ho fatto tanti film che forse avrei potuto evitare o comunque diluire e in quel caso fui tradito da quelli che erano i miei amici.

Per esempio?

Se il tuo commercialista non ti versa l’Iva e tu sei in mezzo ai campi a fare Attila, tu te ne accorgi troppo tardi. Può capitare che tu ti fidi di qualcuno e questo qualcuno ti fa fare una cazzata. La responsabilità era mia però, perché ero già maggiorenne e al centro dell’attenzione, ma non era tutta mia, ecco.

Camerieri (1995)
Camerieri (1995)

Facciamo un gioco restando sul tuo cinema? Tralasciando i titoli che sono alla portata di tutti, c’è qualche film nascosto dei tuoi di cui ti piacerebbe parlare? Comincio io con “Camerieri” di Leone Pompucci. L’ho rivisto un mese fa e l’ho trovato ancora attualissimo.

Camerieri ha avuto un problema. Cecchi Gori e Rita Rusic avevano commissionato a Pompucci un film comico, invece lui ha fatto un film amaro, una commedia vera come quelle di una volta. La produzione si stizzì e il film si è perso. Ma il film era bello, era attuale, è vero. Un film che non è invecchiato di una virgola perché se lo prendi e lo sposti a oggi, funziona uguale. Purtroppo, la storia del cinema è fatta così. Ci sono dei film che spariscono. Ora te ne dico un’altro, io.

Prego. 

Per amore solo per amore di Veronesi con Penelope Cruz, con Alessandro Haber che vinse il David facendo il muto e io ero San Giuseppe. Quel film lì è introvabile, inspiegabilmente scomparso. Oppure, un altro esempio: Mediterraneo che è un altro film bellissimo e attualissimo, lo vedi, ma Marrakech Express, Turné e Puerto Escondido non li vedi quasi mai.

Per amore, solo per amore (1993)
Per amore, solo per amore (1993)

Perché Mediterraneo, forse, ha cannibalizzato gli altri legati alla tetralogia della fuga di Salvatores? 

Sì, ma non c’è logica. Nella programmazione televisiva, non c’è logica. Una volta c’erano canali tematici dove spuntavano fuori quei film, tra un Fellini, tra un Ettore Scola, e ti inorgogliva. Ora stanno sparendo ed è un peccato perché così la gente la diseduchi. Dei film si dovrebbe parlare di più soprattutto dopo, negli anni.

Nel tuo libro (Si potrebbe andare tutti al mio funerale, con Giorgio Terruzzi, Einaudi) metti in scena il tuo funerale come escamotage narrativo per raccontare tutta la tua vita. A un certo punto piazzi Beppe Viola, Enzo Jannacci, Pupi Avati, Paolo Villaggio e Ettore Scola tra un tavolo da biliardo e la cucina. Sono le persone che t’hanno insegnato di più?

Beh, sì. Beppe Viola e Jannacci, se non fossero morti, sarebbero ancora qua con me a parlare, sarebbero al mio fianco. Ettore Scola era un mito per me, poi ho lavorato con lui e siamo diventati amici. Ci sentivamo spesso e ci vedevamo almeno una volta all’anno. Quando hai cinquant’anni e sei ancora giovane in qualche modo, avere un riferimento come Scola, come Pupi, è come avere sempre un padre. Pupi ancora oggi, a volte, può risolvere un mio problema con una telefonata. Paolo Villaggio era una persona straordinaria da frequentare, ma anche Renato Pozzetto è quello che dal punto di vista dell’umorismo mi ha insegnato di più. Ci metto dentro anche Ugo Tognazzi che era una delle persone che stimavo di più. Quando ci si trova nella vita, l’unico problema è l’età che porta via la lucidità prima e la persona poi.

La storica foto del Derby Club: da sx, Ernst Thole, Diego Abatantuono, Enzo Jannacci, Mauro Di Francesco, Giorgio Porcaro, Massimo Boldi, Giorgio Faletti.
La storica foto del Derby Club: da sx, Ernst Thole, Diego Abatantuono, Enzo Jannacci, Mauro Di Francesco, Giorgio Porcaro, Massimo Boldi, Giorgio Faletti.

Hai nominato Tognazzi e mi consenti di fare un parallelo perché una sue delle grandi passioni era la cucina, come la tua del resto, hai persino un ristorante. 

I risultati di questa passione si vedono. (ride, ndr)

Però chi sa stare a tavola, sa stare al mondo. 

Confermo. Io ti posso assicurare che ho imparato a fare questo mestiere a tavola, mangiando con gli altri dopo lo spettacolo o alle cene con le persone intelligenti, veloci, spiritose, di qualità. È a quel punto lì, che si diventa grandi. Ho fatto il liceo a tavola, l’Università a tavola, tre lauree, tutte a tavola. Mi piaceva stare attento, mi piaceva ascoltare ed è a tavola che ho imparato i tempi dell’entrata, per esempio, il ritmo.

Chi c’era a tavola con te? 

C’erano sempre loro, Beppe Viola, Jannacci, e poi c’erano Dario Fo, Cochi e Renato, Gaber. Io ci sapevo stare a tavola con loro. E ci sapeva stare Boldi, che era esilarante all’epoca. E ci sapevano stare i Gatti di Vicolo Miracoli. Io ci stavo con l’attenzione e la voglia di capire che i più grandi la percepivano. La tavolata è stata una scuola di vita. Anche a Lol, alla fine, ho usato la scuola della tavola.

Avrei un’ultima curiosità. Vedo che sei un bel nonno. 

Il mio fiore all’occhiello è non avere il rimpianto dei figli. Sento spesso dire la frase abbastanza comune che un uomo di carriera ha avuto il rimpianto di non aver vissuto a pieno il rapporto coi figli. Io quel rimpianto lì non ce l’ho e ti dico che non riesco ad andare a letto se so di aver discusso con uno dei miei figli. Io lo devo chiamare e devo farci pace perché non posso andare a letto con un magone. E questa attenzione, ovviamente, ce l’ho coi nipoti. Ho un affetto sproporzionato per loro e sono fantastici perché hanno dei genitori fantastici.

Ne parli con grande orgoglio. 

Grandissimo. Io ho avuto un culo pazzesco su questo aspetto. Ho dei figli che lavorano e che sono contenti, in un mondo di mer*a come questo, mi sembra la prima cosa. Se tutti pensassero che la prima cosa che lasci non è uno splendido monologo, non è uno splendido film ma – e vale per qualunque lavoro – i figli, il nostro sarebbe un mondo migliore. Non dico che ci vuole una patente per fare i figli, ma quasi.

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