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Brando Bertrand: “Lo spot del “succhino”? La parola all’inizio non era nel copione. Ero oggettificato, ma lo accettai”

Il modello della celebre pubblicità si racconta a Fanpage.it: “Il doppio senso era chiaro. I creativi sanno che, se si vuole emergere, occorre trovare qualcosa che faccia parlare ed indignare. Ho rifiutato tanti reality, mentre ero in procinto di partecipare a ‘Pechino Express’. Avevamo raggiunto l’accordo, ma ebbi un problema”.
A cura di Massimo Falcioni
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Uno spot di sette anni fa, ancora attuale e fresco nella memoria degli italiani. Tutto poggiava su uno svolgimento tanto banale quanto efficace: un aitante ragazzo che, dopo essere entrato con l’agente immobiliare nell’appartamento che intendeva acquistare, già si sentiva a casa, a tal punto da spogliarsi e girare per le stanze completamente nudo.

Il protagonista della scena, allora appena ventiduenne, era Brando Bertrand. “Fu in assoluto il mio primo casting pubblicitario”, rivela a Fanpage.it. “Prima c’erano state solo alcune sfilate e delle esperienze come modello. Volevo guadagnarmi qualche soldo e, facendo all’epoca molto sport, avevo un fisico prestante. Cercavano quella tipologia di ragazzo e accettai”.

Nato nel 1996 a Milano, Brando visse il periodo sotto i riflettori utilizzando un cognome d’arte, che in realtà non è altro che il suo secondo nome. “I miei scelsero Bertrand in omaggio a Bertrand Russell, un pensatore che amavano particolarmente. Il mio vero cognome, Barbieri, non credo di averlo mai nascosto. L’errore nacque da un articolo di giornale in cui il giornalista fece confusione. Anziché correggere l’autore, mantenni Bertrand e iniziai a presentarmi così”.

Appassionato di musica, Bertrand si avvicinò presto al pianoforte: “Lo suono fin da quando ero piccolo. Tuttora mi capita spesso di lavorare nell’ambiente musicale, mi sono avvicinato all’elettronica. Ho composto colonne sonore per cortometraggi, mediometraggi e spettacoli teatrali”.

Nel periodo della messa in onda dello spot eri iscritto a Giurisprudenza. Ti sei laureato?

No. La verità è che ero parcheggiato in quella facoltà un po’ per caso. Uscito dal Classico non sapevo cosa fare e optai per Giurisprudenza, che è il tipico jolly per i liceali allo sbando. Mi resi conto che non era il mio mondo. Lasciai quindi l’Università e, contestualmente, mi misi a scrivere un saggio, pubblicato nel 2021.

Ti riferisci a “Kissless, generazioni in gabbia”.

Esatto. ‘Vogue’ lo inserì tra i primi quattro migliori saggi di quell’anno. Affrontavo le paure e il senso di inadeguatezza dei giovani di fronte alle difficili sfide del presente.

Pubblicasti il libro utilizzando il tuo vero cognome, quando invece avresti potuto cavalcare la popolarità.

Era un saggio di sociologia e si rivolgeva ad una nicchia che non fa acquisti in base alle tue apparizioni televisive. Però ammetto che la storia del doppio cognome non mi aiutò. Comunque, ‘Kissless’ è stato poi oggetto di un adattamento cinematografico. È diventato un mediometraggio diretto da Federico Rigoldi che abbiamo girato un anno fa e che è in fase di post-produzione. Lo proporremo a vari Festival.

Arriviamo allo spot. Come venisti contattato?

La mia agenzia mi mandò una mail avvisandomi che si stavano svolgendo i casting per una pubblicità. Mi informarono che ci sarebbe stato un extra sul compenso perché era prevista una scena in cui sarei dovuto apparire poco vestito. Siccome non sono mai stato pudico, mi feci avanti. Passarono pochi giorni e mi comunicarono che ero stato selezionato.

Dunque già sapevi che ti saresti dovuto spogliare.

Ai provini non mi spiegarono molto. Mi fecero semplicemente recitare la frase che era nel mio copione. Avevo letto che sarei dovuto entrare in scena spogliato, camminare e dirigermi verso la doccia. Non ci feci troppo caso, mi sembrava una roba carina, simpatica.

Di quella pubblicità, oltre al tuo lato b, è rimasto memorabile il “succhìno”.

Ai casting quella parte non c’era. Mi fecero dire solo ‘caffè’ e ‘centrifuga’. ‘Succhìno’ venne inserito in corso d’opera. Fu qualcosa che il duo creativo improvvisò all’istante.

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Eri consapevole del potenziale doppio senso?

Furono i creativi a proporlo e io feci quello che mi chiesero. Che esistesse un doppio senso era chiaro. I pubblicitari sanno che, se si vuole emergere, occorre trovare qualcosa che faccia parlare ed indignare. La bravura sta nel camminare in equilibrio su questo filo. Quello spot ebbe molti haters. Sul web era pieno di commenti negativi che, secondo me, sono sempre fondamentali. Fanno sì che si crei dibattito. L’astuzia fu piazzare un termine volutamente ambiguo, che provocasse incazzatura.

I ciak furono complicati?

Girammo nell’estate del 2018. Impiegammo un’intera giornata per un prodotto di trenta secondi. Cominciammo alle 9 di mattina e terminammo alle 9 di sera. Ma la paga valse la fatica.

Fu imbarazzante restare mezzo nudo per tutto il tempo?

Dietro la telecamera c’erano 20-25 persone, ma la situazione non mi imbarazzò. Nella scena di nudo avevo una micro-mutanda addosso, una sorta di calzino. Forse l’unico momento particolare fu quando la truccatrice si avvicinò per aiutarmi a metterlo. Stiamo però parlando di seri professionisti.

Per la televisione furono distribuite due versioni: una col sedere in vista e un’altra censurata.

Me ne accorsi quando lo spot passò in tv. Avevo il fondoschiena blurato quando veniva trasmesso nella fascia protetta. Sono quelle decisioni tipiche italiane che fanno parte del folclore un po’ ipocrita del nostro Paese.

Il successo fu clamoroso.

Nessuno poteva prevederlo. Restammo in onda parecchio, per più di un anno, ma con delle pause tra una finestra e l’altra. Ogni volta che la pubblicità riappariva mi venivano pagati i diritti d’immagine.

Non male.

Vale per tutti gli attori degli spot. Quando ti ingaggiano ti pagano i diritti sulla prima fase di programmazione. In seguito, a seconda di come vanno le cose, il marchio decide se rimandarlo o meno. Se optano per la continuazione ricevi un nuovo compenso per il periodo aggiuntivo che intendono occupare.

Pensi che sia stato uno di quei casi in cui trama e tormentone si divorano il brand?

Non penso. Le campagne della ditta in questione sono tutte improntate su messaggi gay-friendly e su una voluta ambiguità. È il loro stile comunicativo, che ormai si associa al marchio.

Parlavano tutti di te, soprattutto del tuo sedere.

Mi sono sentito oggettificato, se è questo che intendi chiedermi. Tuttavia, non do un giudizio negativo a questa procedura. Sono favorevole all’oggettificazione degli esseri umani, tutti ci auto-oggettifichiamo e da questo si ottengono più vantaggi che svantaggi. È inutile fare i piangina.

Andasti ospite al “Maurizio Costanzo Show” e a “C’è posta per te” coperto solo da un asciugamano legato in vita.

Provai un po’ di fastidio, ma tutti sappiamo che esistono i compromessi a cui qualche volte bisogna scendere. Davanti alla possibilità di ricevere soldi in cambio di un’apparizione di un’ora sta a te rispondere sì o no. Tante offerte le ho rifiutate. Sono stato al gioco fino ad un certo punto, poi ho detto basta, non mi importava più. Quella parte della mia vita si è conclusa. Ovviamente non mi pento di niente. Non c’è un percorso serio ed un altro meno serio. Nella nostra esistenza le due strade si intrecciano in continuazione. L’obiettivo non doveva essere quello di far trasparire la mia personalità. Andavo in televisione per denaro.

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La famiglia come reagì a tutto questo clamore?

Mio padre e mia madre sono sempre stati di visioni aperte, nulla li scandalizzava. Mi hanno sempre ripetuto: ‘Valuta bene le singole situazioni e non negarti le esperienze’.

Prima accennavi ai guadagni. Parliamone.

Non incassai cifre astronomiche. Era già passato il periodo in cui la tv ti garantiva compensi stratosferici. Chi ha fatto pubblicità negli anni novanta può testimoniare che si viaggiava su ben altri livelli. Per quanto mi riguarda, parliamo di guadagni relativi. Il grosso lo percepii con gli extra e, appunto, con le diverse ospitate.

Dopo lo spot non si presentarono altre occasioni.

Ci fu un piccolo sequel, realizzato per il Natale del 2023, che uscì solamente sul canale online dell’azienda. Non ho mai avuto ansie di visibilità, ho sempre vissuto il tutto come una parentesi. La mia idea era: ‘Ora faccio questo, domani qualcos’altro’. Considera che non ero un fruitore accanito di televisione, quasi non la guardavo. Mi capitò più volte di andare in programmi di cui ignoravo l’esistenza. E non perché li disprezzassi.

Ti avranno sicuramente cercato per qualche reality.

Confermo. Molti li ho rifiutati perché non li sentivo nelle mie corde, mentre ero fortemente interessato a ‘Pechino Express’. Avevamo raggiunto l’accordo, ma ebbi un problema che mi impedì di partecipare. Era fondamentale essere in forma ed io non ero al top. Peccato, perché l’avrei fatto volentieri.

Non è mai troppo tardi. Magari in futuro…

Quando mi cercarono ero nel pieno della notorietà. Dubito che possano ancora reputarmi un volto spendibile.

Cosa fai oggi?

Lavoro nell’e-commerce come mediatore nella compravendita di bene ed oggetti. Metto in comunicazione la domanda e l’offerta. Inoltre faccio musica e viaggio. Provo a godermi la vita, nei limiti del possibile.

Il fisico è rimasto un tuo punto di forza?

Mi è capitato, tra le altre cose, di vendere foto dei miei piedi. Spero che questa frase non diventi il titolo dell’intervista (ride, ndr).

La tv, mi pare di capire, è un capitolo chiuso.

Direi proprio di sì. L’ultima cosa risale a ‘Che tempo che fa’, qualche anno fa, quando la trasmissione era ancora in Rai. Mi proposero una comparsata nell’ambito di un siparietto dedicato ad alcune pubblicità celebri. La mia era una di queste.

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