
Le miserie degli altri ci fanno ridere e sono sempre più interessanti perché coprono le nostre. Sul palco di Atreju, Raoul Bova ha messo in scena la sua miseria e la sua verità. Oggi ha cambiato pagina. È finita la storia con Rocio Munoz Morales e sta lavorando alla nuova relazione con Beatrice Arnera. Ma un'estate fa, la storia era un'altra. Era quella di un ricatto. Una storia che conosciamo tutti e che, ospite di Atreju, l'attore racconta: "Occhi spaccanti è stata la parola dell'estate", ammette.
"La mia è stata una uccisione pubblica"
L'attore parla di "uccisione pubblica", di essere stato "sbeffeggiato e ridicolizzato", di aver subito un "circuito virale che ha preso tutte le categorie, dalle persone più alte, intellettuali, al resto. "Occhi spaccanti è stata la parola più in voga, prima della guerra, prima delle persone che vengono uccise, prima dei femminicidi, prima di qualsiasi altra cosa. Questa è stata l'Italia quest'estate". E Bova ha ragione. Il gossip, purtroppo, è davvero democrazia spicciola. Livella ogni differenza sociale, culturale, intellettuale. Davanti a "occhi spaccanti", il professore universitario e il troll da tastiera diventano la stessa cosa.
La solitudine dell'appestato che diventa l'eroe del sistema
Ma c'è una contraddizione che rende questo epilogo ancora più grottesco: mentre Bova raccontava di solitudine e abbandono — "mi sono sentito solo", "diventi quasi un appestato" — la politica lo ha accolto ad Atreju come vittima esemplare. La stessa società che lo ha massacrato per quattro mesi ora lo celebra come simbolo di cosa non va nel dibattito pubblico italiano.
È il perfetto completamento del reality show nazionale. Prima ti mettiamo alla gogna, poi ti redimiamo sul palco. Prima sei l'appestato, poi sei l'icona della vittima del sistema. Il ciclo è perverso ma funziona: distruzione e redenzione sono le due facce della stessa medaglia, entrambe necessarie allo spettacolo.
Bova viene invitato a Atreju non nonostante il linciaggio estivo, ma proprio grazie a quello. La sua sofferenza diventa capitale simbolico, una moneta di scambio nel mercato delle narrazioni pubbliche. È l'epilogo logico di una società che ha trasformato tutto in intrattenimento, persino il dolore delle proprie vittime.
Quattro mesi dopo: abbiamo imparato qualcosa?
Il discorso di Bova ad Atreju chiude un cerchio ma non offre redenzione. Perché la vera domanda rimane sospesa, scomoda, inevitabile: abbiamo imparato qualcosa da questa estate? O stiamo già preparando il prossimo linciaggio virale, già affilando le tastiere per la prossima vittima che commetterà l'errore di dire qualcosa di imbarazzante davanti a una telecamera?
La risposta, probabilmente, la conosciamo già. La macchina del gossip non si ferma con i mea culpa, non si placa con le riflessioni morali. Si alimenta proprio di questi momenti: il ciclo distruzione-redenzione ha bisogno di entrambe le fasi per funzionare. Bova oggi è l'eroe, mentre domani sarà qualcun altro a finire nel mirino.
La miseria umana è democratica. Lo era a luglio quando ridevamo di "occhi spaccanti". Lo è oggi che celebriamo Bova come vittima del sistema. Lo sarà domani quando troveremo il prossimo capro espiatorio. E tutti noi, ancora una volta, faremo finta di non esserne parte.