
Ormai è evidente: la Rai ha paura di No Other Land, il documentario premio Oscar che racconta la vita dei palestinesi durante l’occupazione israeliana in Cisgiordania. La televisione pubblica – che rifiuta sdegnosa l’etichetta di “TeleMeloni” ma poi si comporta come tale – ha rinviato nuovamente la messa in onda del film perché “non in sintonia con il clima di pace”. Il racconto proposto dal documentario è brutale nella sua verità: mostra la vita quotidiana dei palestinesi dei villaggi di Masafer Yatta e le violenze dei coloni israeliani.
Ma la Rai, a poche settimane dal momento in cui l’Italia intera si è mobilitata in segno di solidarietà nei confronti della Flotilla, dimostrando palesemente da che parte vada l’opinione pubblica, ha stabilito – in rappresentanza di chi? – che la messa in onda di un documentario del genere, che racconta episodi orribili, debba essere inconcepibilmente sospesa fino a data da destinarsi. Data che adesso è stata fissata al 15 novembre, dieci giorni dopo che No Other Land sarà reso disponibile sulle maggiori piattaforme di streaming. Un atto di coraggio, insomma: va bene trasmetterlo (se è proprio necessario), ma che lo facciano prima gli altri.
TeleMeloni e il complesso con la Palestina
Questo modo di agire rispecchia perfettamente la politica editoriale “telemeloniana”: evitare di schierarsi apertamente, tanto in tv quanto nella scelta di non riconoscere lo Stato di Palestina. O addirittura lanciare un amo a sostegno della parte opposta rispetto a quella che sarebbe umano sostenere. Come nel caso di Bruno Vespa, volto di rappresentanza del servizio pubblico, che in un confronto televisivo con l’attivista Tony La Piccirella, portavoce della Global Sumud Flotilla, lo aveva accusato – lui, al sicuro e all’asciutto in uno studio tv – di non avere a cuore gli interessi dei “poveracci di Gaza”. “Non ve ne fotte niente”, gli aveva detto, rivolto all’uomo che insieme a decine di altri attivisti coraggiosi si sarebbe fatto arrestare dalla marina israeliana pur di portare all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale gli orrori compiuti a Gaza.
L’assurda giustificazione di De Maio
Quegli stessi orrori che oggi, ancora una volta, la Rai sceglie di censurare. Per “proteggere lo spettatore” e impedirgli di vedere ciò che altre persone hanno patito ogni giorno, per anni. Per non condizionare il dibattito ed evitare “strumentalizzazioni”. Lo ha dichiarato Adriano De Maio, direttore della sezione Cinema e serie tv della Rai:
La prevista collocazione il 21 ottobre non era in sintonia con il clima di speranza per la pace che poi è stata firmata. I contenuti del film avrebbero rischiato strumentalizzazioni, con l’alzarsi del livello delle manifestazioni di piazza anche violente. Ho chiesto di rinviare la collocazione per trasmetterlo in un clima più stabile e disteso perché possa essere apprezzato per la storia di amicizia tra due popoli che possono vivere in pace.
Ma che cosa c’è ancora da condizionare? Dove sta la strumentalizzazione in una ripresa che racconta la quotidianità di chi ha la colpa di essere nato dalla parte sbagliata del mondo? In una terra che da decenni è oggetto di violenze e sfratti. No Other Land non è una storia di amicizia, è una storia di resistenza. Una patata bollente per una Rai vicinissima a Trump e mai apertamente critica nei confronti di Netanyahu.
La Rai non teme solo il documentario, teme la verità. Teme che lo spettatore della quieta tv di intrattenimento del sabato sera possa vedere ciò che accade davvero a Gaza e in Cisgiordania, che possa confrontarsi con storie di oppressione e resistenza che non rientrano nel copione del quieto consenso televisivo. E così preferisce rinviare, far slittare la messa in onda di un film pluripremiato fino a quando il pubblico interessato vi avrà già avuto accesso altrove. Con la scusa di proteggere il “clima di pace”, scatta la censura sotto mentite spoglie: così si decide quale verità può essere raccontata e quale no. La Rai non condanna, non difende e non avanza: sceglie di voltarsi dall’altra parte mentre il mondo continua a bruciare. E i suoi spettatori sono quelli che restano fuori dalla storia.