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Opinioni

Come sarà e di cosa parla How do you live?, il misterioso (ultimo) film di Hayao Miyazaki

La pluripremiata società di animazione giapponese Studio Ghibli è a poche ore dall’uscita del suo ultimo film, How Do You Live? — senza trailer, promozioni o persino una trama. Ma leggendo il romanzo E voi come vivrete? di Yoshino Genzaburō da cui è tratto, si possono capire alcune cose di quello che sarà.
A cura di Gianmaria Tammaro
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Se Si alza il vento (tra parentesi: tornerà al cinema con Lucky Red il 24 agosto) è stato il testamento artistico di Hayao Miyazaki, che cosa sarà How do you live?, il suo prossimo film? Una sfida, un esperimento? Oppure il tentativo di mettere nero su bianco, frame dopo frame, la sua poetica, tutto quello che è stato e che ha rappresentato in questi anni? Leggendo il romanzo E voi come vivrete? di Yoshino Genzaburō da cui è tratto, si possono capire alcune cose – sottolineiamo: alcune, non tutte – di quello che sarà. Per esempio: l’ambientazione, a cavallo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, in un Giappone che sta provando a cambiare, a diventare moderno, è qualcosa che, in un certo senso, abbiamo già visto nei film di Miyazaki. Pensiamo, per esempio, a Si alza il vento: la tecnologia che aumenta, le regole che si ritirano; la società che guarda a Occidente, che cerca di aprirsi agli altri paesi, di imparare.

Il protagonista, che è poco più di un bambino, rispecchia perfettamente un’altra idea miyazakiana: quella, cioè, di usare personaggi giovani, a volte anche giovanissimi, per raccontare storie assolute, immortali, in cui l’infanzia non è solo un periodo, ma il periodo: il momento in cui siamo veramente noi stessi e in cui possiamo crescere e migliorare, in cui non vediamo grigi ma colori assoluti; in cui facciamo coincidere il sogno, e la sua
dimensione meravigliosa, con la realtà.

In E voi come vivrete?, pubblicato in Italia da Kappalab, la serietà di Coper, il protagonista, è evidente fin dalle prime pagine. Si muove e parla come un uomo adulto: è consapevole, sveglio, maturo. Forse troppo. Vive con sua madre e con due domestiche; frequenta lo zio, ed è orfano di padre. A scuola va bene – benissimo, stando alle parole dei suoi insegnanti – ma non la smette mai di fare scherzi. Forse è il suo modo per non dire definitivamente addio all’infanzia, alla giovinezza, per poter essere – anche se solo per un istante – qualcuno che è libero, che è senza responsabilità.

Hayao Miyazaki appartiene a un’altra generazione, e i temi di cui si è solitamente occupato – l’antimilitarismo, l’ambiente, il rapporto tra l’uomo e la natura, la guerra, la minaccia nucleare – hanno sempre riempito le sue opere. Sempre. Stavolta, però, sembra voler fare altro. Concentrarsi sul piccolo, sul dettaglio. Su una storia che è di tutti e, allo stesso tempo, di nessuno. Un po’, verrebbe da dire, imitando Isao Takahata, suo collega, maestro e amico. C’entra poco l’eredità dello Studio Ghibli: quella è un’altra cosa, e How do you live?, che sarà nelle sale giapponesi dal 14 luglio, è la carica frontale, forse l’ultima, di un’artista che ha saputo dare voce alla sua creatività senza perdere di vista l’obiettivo. Ne I geni dello Studio Ghibli, pubblicato da Dynit, Toshio Suzuki, storico produttore, lo descrive perfettamente: uomo eccezionale, deciso e pratico. In How do you live?, questa concretezza prende le sembianze di un adolescente, dei suoi amici e della sua quotidianità.

La voglia di capire, prima di fare. Il desiderio di essere prima ancora di agire. (Intendiamoci: stiamo provando a sovrapporre quello che conosciamo con quello che immaginiamo; è un esercizio critico, nessuna sfera di cristallo). È figlio di un Giappone che non c’è più, Coper. Un Giappone che voleva andare avanti e che si era ritrovato davanti a un bivio: da una parte, riscoprire il proprio orgoglio nazionale attraverso il nazionalismo; dall’altra, impegnarsi a sostenere gli antichi, e buoni e sacrosanti, valori. La modernità, spesso, viene confusa con l’idea di ordine e disciplina, e questo aspetto Miyazaki l’ha sottolineato più volte. In questo caso, in questa storia, è evidente fin dalle premesse. La storia di Coper, ripetiamo, è piccola, piccolissima. Abbraccia una realtà tutto sommato limitata, eppure si presta bene per parlare di tante altre cose. Dopo aver scritto La collina dei papaveri, film che poi è stato diretto da suo figlio Gorō, Miyazaki ha ricalibrato la sua visione, avvicinandosi a un’idea più neorealista, quasi classica, di cinematografia (in Si alza il vento ci sono citazioni e riferimenti estremamente felliniani).

L’animazione, nelle sue mani, rimane un linguaggio potentissimo, formidabile. Ma la sceneggiatura – che parte sempre da un’immagine, da un libro o da un manga – sembra aver acquisito un peso differente. In qualche modo, maggiore. Chi lo sa. Coper, chiamato così per il suo approccio alle cose e al mondo, simile a quello di Copernico, ha la possibilità di diventare non solo un nuovo volto del pantheon miyazakiano, ma pure uno dei più importanti. È il punto di contatto tra passato e presente, e uno slancio, per quanto razionale, verso le prospettive del futuro: rappresenta l’occasione perfetta per un maestro di prendere un classico per bambini e di usarlo per parlare, innanzitutto, di sé stesso.

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È nato a Napoli il 24 ottobre del 1991. Per qualche anno, è stato direttore della sezione CartooNA del COMICON. Ha curato le Masterclass Off per il Giffoni Film Festival. È stato consulente editoriale di Lucca Comics and Games. È giornalista pubblicista. Collabora con quotidiani e riviste, e si occupa principalmente di spettacoli e di cultura.
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