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Sequestrati beni per 800 milioni a Giovanni Acanto, presunto ragioniere della mafia

Il provvedimento eseguito dalla Dia riguarda beni mobili e immobili, rapporti bancari e capitali di numerose aziende riconducibili al commercialista ed ex deputato regionale Giuseppe Acanto, secondo gli inquirenti vicino alla cosca dei Villabate.
A cura di B. C.
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Beni mobili e immobili, rapporti bancari e capitali di numerose sociale per un ammantare di circa 800 milioni di euro sono stati sequestrati dalla Dia di Palermo al commercialista Giuseppe Acanto, ex deputato dell’assemblea regionale siciliana,  ritenuto dagli inquirenti legato ai vertici di “Cosa Nostra”. Gli uomini della Dia, coordinati dal direttore nazionale Nunzio Ferla e dal capocentro di Palermo Riccardo Sciuto, hanno eseguito il sequestro in esecuzione di una misura della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo presieduta da Silvana Saguto. Acanto è stato accusato dal pentito Francesco Campanella  di essere coinvolto nella mega truffa ordita all’inizio degli anni Novanta da Giovanni Sucato, il cosiddetto “mago dei soldi”, per la truffa con la quale era riuscito a raggirare migliaia di siciliani promettendo di raddoppiare in breve tempo i capitali che gli venivano consegnati e che poi è stato ucciso.  L'inchiesta che vedeva indagato Acanto per concorso esterno in associazione mafiosa si era chiusa con un'archiviazione.
"Il sintomo della gestione occulta  – spiega la Dia – è emerso quando presso il suo studio commerciale sono state rintracciate le scritture contabili sia di aziende operanti presso il mercato ortofrutticolo palermitano (già sequestrato nel febbraio 2014), sia di società riconducibili a indiziati mafiosi, quali Antonino Mandalà, Giovanni D'Agati, facenti parte della famiglia di Villabate. Proprio appartenenti ai Mandalà hanno gestito, sotto vari aspetti, il viaggio a Marsiglia dell’allora latitante Bernardo Provenzano. Già in passato, è emersa la posizione di rilievo assunta da Acanto, sia per la sua nomina a direttore del mercato ortofrutticolo del Comune di Villabate, poi sequestrato, sia per la sua candidatura alle elezioni dell’Assemblea Regionale Siciliana del 2001, dove, con il sostegno della citata ‘famiglia' risultò il primo dei non eletti". Il sequestro ha riguardato numerosi "beni mobili e immobili, tra cui autovetture, rapporti bancari e finanziari, appartamenti e ville, nonché il capitale sociale e tutto il compendio aziendale di 25 società operanti nei settori dell’edilizia, del commercio all’ingrosso di prodotti ortofrutticoli, dei servizi, della vendita di prodotti petroliferi, direttamente gestite da Acanto o tramite terze persone".

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