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Opinioni

Se l’Italia fosse un paese serio

Il teatrino politico consumatosi attorno a Imu ed Iva non meriterebbe neanche un commento, se vivessimo in un paese serio. Ma siccome viviamo in Italia pare opportuno condividere un paio di considerazioni al riguardo…
A cura di Luca Spoldi
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Se fossimo in un paese serio potrebbe sommessamente disinteressarci del rumore di fondo, se fossimo in un paese con uno straccio di prospettive potremmo guardare al futuro più che al presente, se fossimo in un paese che ha un briciolo di dignità saremmo abituati a vedere politici (e banchieri e imprenditori) prendere atto non solo dei propri successi ma anche dei propri fallimenti e agire di conseguenza, salutando e lasciando le poltrone, e le “patate bollenti” ad altri. Ma siamo in Italia e allora un paio di considerazioni sulla questione, ridicola, della “abolizione” (solo per quest’anno, solo per le prime case e i terreni agricoli) dell’Imu e sullo slittamento (forse) dell’incremento di un punto percentuale dell’Iva (che come detto più volte non determinerà alcuna variazione dei consumi perché se gli italiani avessero temuto questo “pazzesco” aumento avrebbero provato ad anticipare qualche acquisto, cosa che non hanno fatto perché il loro problema restano le incerte prospettive che frenano i consumi più di un punto percentuale d’imposta in più o in meno) vale la pena di condividerle.

Primo punto: visto che abbiamo sottoscritto (governo Berlusconi) e ulteriormente rafforzato (governo Monti) i vincoli di bilancio che la Ue ci ha chiesto di sottoscrivere col “fiscal compact” voluto dalla Germania (dove si vota il prossimo 22 settembre), vincoli che ci impongono di mantenere il deficit/Pil entro la soglia del 3% (non avendo chiesto, il governo Letta, alcuno “sconto” o “eccezione” come invece fatto da Francia e Spagna) e di ridurre progressivamente il debito/Pil dall’attuale 131% (destinato aritmeticamente a salire al 137% entro fine anno, quali che sino gli sforzi di contenimento dei conti pubblici) al 60% entro i prossimi vent’anni come richiesto dal “patto di stabilita e crescita”, qualsivoglia riduzione di imposta deve trovare copertura attraverso vuoi riduzioni di spese ovvero aumento di altre imposte. Cantar vittoria per aver ridotto (solo per quest’anno, solo per le prime case e i terreni agricoli) l’Imu è solo operazione di propaganda, che non produrrà alcun effetto pratico nelle tasche degli italiani né tanto meno darà impulso ai consumi o all’economia in generale.

L’economia italiana, peraltro, sta lentamente emergendo dalla recessione come ho spiegato ieri grazie ad un discreto andamento degli ordini dall’estero, che stanno consentendo di bilanciare parzialmente la continua caduta della domanda interna. Siamo comunque, per quanto riguarda il settore manifatturiero, ai livelli a cui ci trovavamo a fine 2001, mentre la disoccupazione sta solo tentando di stabilizzarsi sui livelli visti da qualche mese, senza alcun segnale, per ora, di una ripresa dell’occupazione. Commentano alcuni che per fare un regalo ad una parte dell’elettorato italiano (e a qualche politico, curiosamente) si è rinunciato sia ad una riforma del catasto attesa da anni sia a spostare la tassazione dalle persone alle cose come invece ha provato a sostenere il sottosegretario all’Economia, Pierpaolo Baretta riferendosi al probabilmente inevitabile (nel 2014 quanto meno) aumento dell’Iva e delle imposte patrimoniali (con la futura service tax se non con un ritorno ad un’imposizione Irpef sulle seconde case) ma dimenticandosi che “spostare” significa che se aumento le tasse da una parte devo diminuirle da un’altra (ad esempio sul lavoro, cosa che si continua a promettere ma non si fa mai).

Secondo punto: più che i “tagli di spesa” ridicoli (si starebbe cercando di “limare” di “ben” 675 milioni di euro i conti pubblici bloccando alcune centinaia di assunzioni ma anche tagliando fondi per la manutenzione di asset strategici come la rete ferroviaria) a fronte di un debito pubblico che, ricordo, si aggira sui 2.000 miliardi di cui circa 1.700 rappresentati da titoli di stato su cui paghiamo un interesse di almeno il 3,458% (prendendo a riferimento il tasso Rendistato di agosto calcolato dalla Banca d’Italia, ma l’onere complessivo sul debito pubblico è più alto di circa un punto percentuale), pari a non meno di 60 miliardi di euro di interessi (e dunque di maggior debito) anche quest’anno, sarebbe utile trovare il modo di agganciare stabilmente la ripresa economica mondiale (cosa che per ora ci riesce molto meno bene di altri), che farebbe crescere il Pil e ci consentirebbe di ottemperare ai nostri impegni europei quasi senza colpo ferire. Una ripresa che dovrebbe, secondo gli esperti del broker giapponese Nomura, coinvolgere nuovamente i mercati emergenti, nonostante restino “sfide impegnative per singoli paesi” (come l’India, paese dove da anni molte aziende italiane hanno avviato importanti investimenti).

Allora: se fossimo in un paese serio dovremmo dedicarci solo ad analizzare l’andamento dell’economia mondiale, cercando di rafforzare la nostra presenza su mercati che a medio-lungo termine restano strategici per qualsiasi azienda voglia crescere. Cosa che è possibile fare solo investendo nella ricerca e nello sviluppo di nuovi prodotti e servizi, nonché trovando il modo di promuovere il “made in Italy” tutelando le nostre eccellenze meglio di come facciamo ora (se avete provato a mangiare una pizza all’estero potete capirmi quando dico che troppo spesso non siamo in grado di farlo neppure riguardo i prodotti italiani più noti in tutto il mondo). Siccome però non siamo in un paese serio ma in Italia, iniziamo a preoccuparci perché tutto questo polverone su Imu e Iva rischiamo di pagarlo caro e amaro l’anno prossimo, vuoi con nuovi aumenti di imposte, vuoi continuando ad accusare un gap di competitività e di attrattività che renderà difficile assistere ad un rilancio dell’economia italiana anche solo in linea con quella che probabilmente registreranno i suoi partner europei come Germania, Francia o Spagna. E la colpa di tutto ciò, dato che continuiamo a tollerare i nostri scadenti politici (e banchieri e imprenditori) è tutta nostra: pace e bene.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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