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Savina Caylyn: la lettera di Adriano Bon, padre di uno dei marittimi ostaggio dei pirati

I marittimi della Savina Caylyn vivono da mesi in ostaggio dei pirati. Divulghiamo la lettera di Adriano Bon, padre di Eugenio: uno dei membri dell’equipaggio della nave, nella quale l’uomo esorta il Governo a risolvere la questione nell’immediato.
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nave ostaggio pirati

E' un silenzio che non si può più sopportare, quello sulle sorti dei marittimi della Savina Caylyn, ostaggio dei pirati dall'8 febbraio scorso. E' un silenzio di disperazione e angoscia, ma anche di indifferenza e omertà, che merita di essere rotto. E a romperlo non è la stampa, le istituzioni o l'armatore della società  Fratelli D'Amato: a spazzare via l'indifferenza sulla petroliera attaccata dai predoni del mare in Somalia è Adriano Bon, padre del primo ufficiale Eugenio Bon, da 3 mesi in mano ai banditi insieme all'intero equipaggio della Savina Caylyn.

Gli ultimi avvenimenti, ovverosia l'ultimatum dei pirati, le rassicurazioni della Farnesina, le telefonate e le richieste d'aiuto via fax dei marittimi, non possono che agitare gli animi dei familiari e degli amici degli uomini sequestrati. Pertanto Adriano Bon si è deciso a manifestare il suo stato d'animo e, ancora una volta, a richiedere un intervento puntuale e concreto del Governo sulla questione. L' Italia dei Valori ha raccolto la lettera di Adrian Bon che vi riportiamo:

L’Armatore Luigi D’Amato abbandona al loro destino i marittimi prigionieri sulla Savina Caylyn?

E la Farnesina si limita a monitorare?

Il 18 maggio i familiari dei marittimi sequestrati dai pirati somali l’ 8 febbraio 2011, hanno ricevuto una telefonata agghiacciante che dalla viva voce dei loro cari diceva ”i pirati non hanno più intenzione di aspettare, la passiva attesa e sorveglianza armata si è trasformata in minacciose ritorsioni su di noi, che attueranno se le loro richieste per il rilascio della nave, carico e persone non verranno accolte in tempi brevi da parte dell’armatore, aiutateci”.

La Compagnia di Navigazione e gli operatori della Farnesina nonostante ciò, hanno continuano a rassicurarci sulle loro condizioni fisiche, a non allarmarci e a dirci che dobbiamo aver pazienza e fiducia nel loro lavoro.

Sabato 21 maggio è arrivata la seconda telefonata drammatica, con voce disperata il Comandante e il Direttore di macchina, hanno dato la notizia che i tre ufficiali italiani sono stati fatti salire su un’imbarcazione e portati a terra.

Dalla Compagnia e dalla Farnesina ancora stesse raccomandazioni, non è così, non c’è da preoccuparsi le trattative continuano.

Il 22 maggio è arrivato il fax disperato del Comandante e del Direttore di macchina che nuovamente invocavano aiuto.

Oggi 24 maggio alcuni giornalisti si sono messi in contatto direttamente con i pirati, i quali hanno dato il consenso al Comandante di poter sottolineare a viva voce le loro sofferenze fisiche e il timore che la loro situazione drammatica con l’ultima minaccia potrebbe da domani trasformarsi in tragedia.

E' curioso che di fronte al problema della pirateria di portata internazionale e con una petroliera e 5 marittimi italiani allo stremo delle loro forze di sopravvivenza, sequestrati da una nazione straniera nessuna delle importanti testate giornalistiche nazionali se ne sia occupato.

Sono il padre del primo ufficiale Eugenio Bon, sono rimasto in decoroso silenzio per questi lunghi tre mesi e mezzo, ora dopo aver appreso dalla voce dei diretti interessati queste terribili notizie devo in qualche modo intervenire. Altre navi straniere sequestrate dopo la nostra sono già state liberate dai loro paesi. Mi chiedo com’è possibile che nonostante i mezzi a disposizione dell’Armatore Luigi D’Amato, e i contatti di intelligence da parte dello Stato italiano non siano riusciti a risolvere questa drammatica vicenda prima di arrivare a questa situazione di degradazione fisica e alla, già attuata o prossimamente attuabile, deportazione a terra che nella strategia dei pirati diviene l’atto più rischioso per la vita dei nostri cari. Cosa dobbiamo fare, andare in Somalia noi familiari a trattare con la tortuga?

Mio figlio risulterebbe essere tra i “prescelti” trasferiti a terra e questo significa perdere ogni contatto con loro e le condizioni in cui vengono posti. Complica la negoziazione e le azioni per il rilascio che non è più riferito a tutto l’equipaggio. A ciò si aggiunge il rischio di essere in balia di bande rivali sempre a caccia di nuovi ostaggi per ulteriori richieste di riscatto o presi in mezzo alla guerriglia tra i militanti islamici e i gruppi della pirateria.

Con la petroliera Savina Caylyn sono prigionieri 17 indiani e 5 italiani: il Comandante Giuseppe Lubrano Lavadera e il terzo ufficiale di coperta Crescenzo Guardascone, di Procida; il Cap.no di macchina Antonio Verrecchia, di Gaeta; il primo ufficiale di coperta Eugenio Bon, di Trieste; l’allievo ufficiale Gianmaria Cesaro, di Piano di Sorrento.

Fare i marittimi è un lavoro duro, faticoso, a volte rischioso, che tiene per mesi figli e mariti lontani dai loro affetti e amicizie, ma sono insostituibili per assicurare il commercio internazionale e il benessere di tutti, ora alle consuete preoccupazioni e attese a noi familiari si aggiunge anche la paura di perderli?

Chiedo alla stampa di divulgare questo appello per avere il sostegno dell’opinione pubblica nel sollecitare chi ha il potere, il dovere e i mezzi per risolvere in tempo utile questo episodio drammatico.

Il padre

Adriano Bon

La risoluzione del negoziato risulta essere, al momento, più che mai necessaria e urgente. A tal proposito, l'onorevole Antonio Di Pietro, esprimendo la sua vicinanza alle famiglie dei marittimi sequestrati, ha reso noto che nei prossimi giorni presenterà un'interrogazione parlamentare al Ministro degli Esteri Frattini, che dia spiegazioni sull'intera vicenda. Nel frattempo, secondo quanto si legge sul sito del partito, l'Idv ha deciso di promuovere l'iniziativa Scrivi alla Farnesina’ (unita.crisi@esteri.it): “liberiamo i marittimi della Savina Caylyn”:  un modo per sollecitare Frattini a fare tutto il necessario per restituire alle loro famiglie Giuseppe Lubrano Lavadera e Crescenzo Guardascone di Procida, Antonio Verrecchia di Gaeta, Eugenio Bon di Trieste, Gianmaria Cesaro di Piano di Sorrento e i 17 marittimi indiani.

Non è tutto, sulla questione oggi è intervenuto anche il Vaticano, il Pontificio Consiglio hanno esortato: "...governi e organizzazioni internazionali affinche' attivino tempestivamente gli opportuni canali per riportare sani e salvi alle loro case i marittimi sequestrati e trovino soluzioni a questo problema…"

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