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Parla Michael Douglas, il fidanzato della turista tedesca: “Ho saputo della morte con Google traduttore”

Parla Michael Douglas, il fidanzato della turista morta per un malore nel loro van a Focene. Le parole del ragazzo, che aveva denunciato i ritardi nei soccorsi perché nessuno al 118 parlava inglese, arrivano dopo l’audio della telefonata diffuso dalla Regione Lazio per smentire il suo racconto.
A cura di Beatrice Tominic
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Nel corso della giornata di oggi Michael Douglas ha deciso di parlare per raccontare la sua versione dei fatti. Michael è il fidanzato di Janna Goomelt, la ragazza tedesca di 25 anni che ha perso la vita per un malore lo scorso 20 febbraio in una spiaggia di Focene dove i due si trovavano a bordo del loro van.

Negli ultimi giorni sono emerse versioni contrastanti su quanto è accaduto in quella fatidica sera di gennaio: secondo Michael l'operatore con cui ha parlato al telefono per chiedere soccorso non capiva l'inglese (lingua con cui il ragazzo, irlandese, comunicava). In risposta la regione ha pubblicato i file audio della telefonata: la telefonata si sarebbe svolta senza difficoltà, sarebbe stato poi lui a spostare il van e, in quel modo, complicare il ritrovamento della coppia, non più facilmente localizzabile. Ecco cosa dice, a proposito delle telefonate e dell'arrivo in ospedale Michael Douglas.

Michael Douglas: "La risposta all'audio della chiamata"

"Ho scritto questa dichiarazione il 4 aprile, in risposta al comunicato rilasciato il 4 aprile scorso dall'assessorato alla Salute della regione Lazio", esordisce nel suo messaggio, allegando anche lo screenshoot (nella foto in alto) delle telefonate effettuate al numero di emergenza.

"L'assessorato della Salute del Lazio ha rilasciato un audio della chiamata dalla durata di 2 minuti e 8 secondi, dichiarandolo integrale. Ma questa è una bugia – annuncia subito – Ho allegato un'immagine per provare che la prima chiamata è durata in totale 10 minuti e 24 secondi. È iniziata alle 15:39. Però nell'immagine compaiono due chiamate: entrambe sono partite dal mio telefono, ma nessuna è stata ricevuta."

"Per prima cosa, comunque, ci tengo ad essere chiaro: nel raccontare ++la mia storia++ non ho intenzione di incolpare della morte di Janna l'operatore del 118 che non parla inglese, ma voglio diffondere la cattiva gestione della situazione", chiarisce prima di iniziare il suo racconto.

"Non so se ci sia stato un equivoco a causa di una barriere linguistica, ma so che non mi hanno chiamato una volta arrivati nel posto sbagliato. So anche che loro non sono mai arrivati dove ci trovavamo noi: ho dovuto cercare l'ambulanza da solo."

La prima telefonata

Poi inizia a raccontare dall'inizio, quando ha effettuato la prima telefonata: "Quando ho fatto la prima chiamata alle 15.39, ho cercato su Google Maps dove ci trovavamo: l'unico nome mostrato era Havana beach e ho pensato che fosse il nome di una spiaggia nei dintorni. Durante la telefonata, nel corso degli 8 minuti che sono stati omessi da quello che hanno rilasciato come "audio integrale", ho fornito una descrizione più accurata possibile del luogo in cui ci trovavamo – scrive nel messaggio – Ho cercato di fornire al meglio le indicazioni sul posto, nonostante non conoscessi le strade della zona. Ho detto loro che il mio gps era acceso e che potevano utilizzarlo per trovarci.

"Non ci hanno trovato, li ho richiamati"

Continua approfondendo la seconda telefonata: "Come mostra l'immagine, li ho richiamati alle 16.10: è durante questa chiamata che sono stato messo in attesa, mentre cercavo di parlare con un operatore che parlasse inglese. Non so dire quanto io sia rimasto in attesa, potrebbe essere sembrato anche per pochi secondi, ma a me è sembrata una vita."

Michael Douglas, però, sottolinea: "Ma ancora, non è questo che mi interessa, ma il fatto che non fossero riusciti a raggiungermi. Se loro mi avessero chiamato per dirmi che non riuscivano a trovarci o se ci avessero raggiunti utilizzando il mio segnale gps, non avrei dovuto richiamarli – spiega – Quando sono riuscito a parlare con l'operatore ho chiesto e ho supplicato di dirmi dove si trovassero e ho chiesto aiuto. Mi hanno detto che si trovavano nel posto in cui ero io, ho guardato fuori, ma non c'erano. Così sono sceso dal van e ho corso intorno per vedere se si fossero fermati in qualche stradina nelle vicinanze." Poi dice di essere risalito sul van: "Ho deciso di guidare per provare a trovarli. Hanno detto di sapere dove mi trovavo, ma sapevo che non era così e che il tempo era fondamentale."

L'arrivo dell'ambulanza

Una volta sul van racconta: "Ho guidato fino alla strada principale, ho guardato ad ogni angolo della strada suonando il clacson freneticamente finché non li ho trovati a diverse strade di distanza. In quei momenti sono rimasto al telefono con il servizio di emergenza: questo è tutto quello che non è stato pubblicato della seconda chiamata, ma spero che indagherano."

Così descrive la sua seconda telefonata:"Questa seconda telefonata è partita alle 16:10 ed è durata per 10 minuti e 6 secondi, fino a quando non ho trovato l'ambulanza. Quando li ho trovati si trovavano in una strada laterale lontana dalla spiaggia: gli operatori ci stavano cercando camminando sulla spiaggia – e torna a parlare degli audio rilasciati dalla regione – Nei due minuti di audio che sono stati rilasciati, ho detto chiaramente che ci trovavamo a bordo del van. Ma loro erano fuori dall'ambulanza, stavano camminando sulla spiaggia. Non avevano capito."

L'arrivo all'ospedale

Una volta all'ospedale, sono arrivati i carabinieri: "Sono arrivato in ospedale fra le 17 e le 17.30: per le successive 6 ore sono stato interrogato dai carabinieri e nessuno di loro parlava inglese. Per tutto il tempo che sono rimasto lì, soltanto 4 persone hanno parlato con me."

La sua preoccupazione era Janna:"Non mi hanno mai permesso di parlare con un medico o un infermiere e ogni volta che lo chiedevo, mi dicevano che sarebbero venuti a parlarmi in caso di novità: ma questo non è mai accaduto – scrive – Hanno preso il numero di telefono dei genitori di Janna e mi hanno detto che li avrebbero contattati, ma non c'è mai stata nessuna chiamata per avvertirli dell'accaduto, tranne che da parte mia."

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Anche qui ha trovato una barriera linguistica: "Mi hanno interrogato dentro e fuori dal pronto soccorso per sapere cosa fosse successo: mi hanno fatto le domande utilizzando Google traduttore e hanno fatto degli screenshoots alle mie risposte, sempre utilizzando Google traduttore – e aggiunge – Hanno redatto un documento scritto in italiano su un pezzo di carta e melo hanno fatto firmare senza farmi tradurre il contenuto. Mi hanno permesso di prendere visione del documento soltanto giorni dopo."

Soltanto dopo molte ore ha avuto notizie di Janna: "Mi hanno tenuto al pronto soccorso per 4 ore, senza dirmi se Janna fosse viva o morta. Soltanto alle 21.15 i carabinieri (non medici o infermieri), utilizzando Google traduttore mi hanno detto che era morta."

La morte di Janna

"Janna è morta il 20 gennaio. L'autopsia è stata disposta per il 26. Non ci siamo potuti dire addio e quando siamo arrivati lei si trovava dietro una gabbia di vetro come allo zoo. Non ho potuto toccarla o baciarla. Non si può dire addio a qualcuno che si trova in una gabbia di vetro."

Poi torna a lamentare i tempi troppo lunghi: "Soltanto il 7 marzo, 46 giorni dopo la sua morte, le ho potuto dire addio. Sono passati 75 giorni dalla morte di Janna e 69 dall'autopsia: ancora non hanno detto le cause della morte alla sua famiglia e non ci sono state date indicazioni su quando accadrà – e conclude – La scorsa settimana ci hanno detto che potrebbero passare 18 mesi prima che vengano rilasciate le cause della morte, ma non riesco a capire perché dato che ci hanno già detto che è morta per cause naturali settimane fa."

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