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Delitto di Arce, omicidio di Serena Mollicone

Omicidio Mollicone, cinque appelli contro l’assoluzione dei Mottola: “Sono stati loro”

Sono cinque i ricorsi depositati contro la sentenza di assoluzione della famiglia Mottola per l’omicidio di Serena Mollicone.
A cura di Beatrice Tominic
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I termini per fare ricorso contro la sentenza di primi grado scadranno questa settimana: sono già cinque gli appelli presentati che si schierano contro l'assoluzione della famiglia Mottola. Lo scorso febbraio, in una conferenza stampa, erano stati proprio i Mottola ad invitare a riaprire il caso per trovare il vero assassino di Serena Mollicone, 18enne di Arce, in provincia di Frosinone, uccisa il primo giugno del 2001. Eppure, sono ancora molte le persone convinte che l'assassino della ragazza faccia parte proprio di quella famiglia composta dal maresciallo Franco, il figlio Marco e la moglie Annamaria.

Oltre ai difensori di Consuelo, la sorella di Serena, nelle ultime ore hanno depositato la propria richiesta di appello anche tutte le altre parte civili: dal defunto padre di Serena, Guglielmo, allo zio Antonio; dalla cugina Gaia ad Armida fino alla famiglia di Santino Tuzi. Secondo tutti coloro che stanno depositando ricorso, la sentenza sarebbe sbagliata e non considererebbe elementi importanti del caso.

Perché la sentenza che assolve i Mottola sarebbe sbagliata

Diversi elementi non sarebbero stati presi in considerazione per stabilire la sentenza. Secondo quanto afferma la sentenza, alla famiglia Mottola sarebbe mancato un movente per uccidere Serena, eppure molti testimoni avrebbero riferito dell'attività di spaccio di Marco Mottola: proprio per questa ragione il ragazzo avrebbe avuto una lite precedente con la 18enne (che conosceva dai tempi delle scuole medie).

Non sarebbero stati presi in esame neppure i depistaggi da parte del maresciallo Franco Mottola, a partire dalle dichiarazioni che vedevano Serena in automobile con Marco aggiunte agli atti soltanto 25 giorni dopo alle segnalazione inviata per cercare una Lancia Y rossa (anziché bianca, proprio come quella di suo figlio). Le indagini, inoltre, sarebbero spettate alla caserma di Isola dei Liri e non a quella di Arce, dove lavorava lui.

Gli stessi carabinieri, inoltre, avrebbero giudicato l'apporto informativo del maresciallo alle alle indagini come "inconsistente", gli accertamenti "lacunosi" con una "ammissione di superficialità".  A questo elenco si aggiunge anche la porta della caserma, sulla quale, secondo gli inquirenti, Serena sarebbe stata spinta con violenza, sbattendo la testa.

"Se la porta fosse l'arma del delitto, vi pare che non l'avremmo aggiustata?", avevano dichiarato i Mottola a riguardo. "Un giorno Marco è venuto in caserma e mi ha detto che avrebbe lasciato gli studi: io ho dato un pugno alla porta e l'ho danneggiata – ha dichiarato in particolare il maresciallo – Serena non c'era".

Considerata inattendibile, infine, la testimonianza del brigadiere Tuzi che, dopo aver testimoniato la presenza di Serena nella caserma di Arce nella mattina in cui è scomparsa, si è tolto la vita. "Non era inattendibile, si era messo contro persone più potenti di lui: ha detto la verità, ma aveva paura", ha sempre dichiarato la figlia.

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