Migliaia di lavoratori dei Tribunali a rischio: “Caos in arrivo, processi verso il blocco totale”

Dal 30 giugno 2026 i tribunali italiani rischiano di fermarsi. Quel giorno scadranno i contratti di 12mila lavoratrici e lavoratori assunti nel 2022 con fondi del Pnrr. Figure che hanno permesso di accelerare i tempi della giustizia e di avviare la digitalizzazione degli uffici giudiziari. Miglioramenti che potrebbero svanire nel giro di pochi mesi. “Sono inimmaginabili le conseguenze che il ridimensionamento potrebbe avere su tutto il sistema giudiziario”, avverte Francesca De Ruggeriis, segretaria per Roma e Lazio della Fp Cgil.
"A rischio interventi immediati per la violenza contro le donne"
“Sono da quasi quattro anni in servizio alla prima sezione penale del tribunale di Roma – racconta Simone Rossi, lavoratore a rischio e rappresentante sindacale –, che è specializzata nella tutela dei soggetti deboli. Ci occupiamo di stalking, maltrattamenti in famiglia, violenze sessuali, pedopornografia. Siamo la sezione dei braccialetti elettronici, delle misure di divieto di avvicinamento, che devono essere periodicamente controllate. Si tratta di situazioni vive, che possono cambiare anche nell’arco di 24 ore, richiedendo un nostro intervento immediato”.
“Abbiamo un onere ulteriore – prosegue –, cercare di chiudere i processi in tempi più brevi della media, perché abbiamo il compito di tutelare la donna fintanto che la misura cautelare a sua protezione è ancora in atto”. Una giustizia più lenta avrebbe, quindi, pericolose conseguenze concrete.
Chi sono i precari del Pnrr
I 12mila precari sono stati reclutati in due tornate, la prima a febbraio 2022 e la seconda poco dopo. Si dividono in tre profili. Gli addetti all’ufficio per il processo rappresentano una sorta di “staff del magistrato”. “Aiutano il pubblico ministero a preparare le cause, a seguire le varie questioni di diritto più o meno complesse e gli adempimenti giuridici che accompagnano l’avanzamento di un processo – racconta Rossi –. Questo porta a un processo che dura meno, più efficiente, trattato con maggiore dignità e attenzione. Anche perché il numero di magistrati in Italia è estremamente basso in rapporto alla popolazione: poco più di 3mila per circa 60 milioni di abitanti”.
Accanto a loro operano gli addetti al data entry, responsabili della digitalizzazione della documentazione giudiziaria. “Hanno digitalizzato migliaia di fascicoli cartacei che marcivano nei corridoi e negli armadi – aggiunge Rossi –. Hanno così garantito che finalmente le parti, gli avvocati e i cittadini potessero prenderne visione. Molti fascicoli erano strappati o divorati dalla muffa, perché le condizioni degli ambienti lavorativi spesso sono poco salubri”.
Infine ci sono i tecnici dell’amministrazione, che supportano i direttori nella gestione dei servizi dei tribunali. “Inoltre intervengono dove ci sono carenze di personale – spiega Anastasia Ascenzi, anche lei rappresentante sindacale –. Personalmente mi sono occupata anche di sistemare gli impianti tecnici come un computer, uno scanner o una stampante”.
I risultati raggiunti
Tutte queste figure hanno contribuito a velocizzare la macchina della giustizia. Tra il 2020 e il 2024 la durata media di un processo penale di primo grado è scesa da 498 a 355 giorni. Un dato che rischia di essere vanificato.
“Perdere queste risorse significherebbe che i cittadini si vedrebbero garantiti i propri diritti in tempi più lunghi”, osserva Ascenzi. La prospettiva è quella di un passo indietro verso un sistema più macchinoso e meno efficiente. “Quando siamo entrati, il Ministero della Giustizia era un ministero stanco e vecchio, con un’età media di oltre 55 anni e con carenze di organico spaventose, sia nei piccoli che nei grandi tribunali – continua Rossi –. Si faceva fatica a portare avanti l’ordinario, figuriamoci a smaltire l’arretrato o a migliorare la struttura lavorativa”.
Stabilizzazioni a metà
A oggi il governo ha preso un impegno programmatico soltanto per la metà di questi lavoratori e lavoratrici, con procedure di selezione previste per ottobre. Ma i criteri non sono ancora chiari. “Sarà l’anzianità di servizio? Saranno i titoli? Sarà un secondo concorso? Sarà un esame orale? Non lo sappiamo”, si chiede Rossi.

La protesta
Per chiedere la stabilizzazione di tutti e tutte, martedì 16 settembre la Fp Cgil ha indetto uno sciopero nazionale. Presidi si sono svolti in venti città, fra cui Roma, dove la manifestazione ha avuto luogo in piazza Capranica. “Nella nostra Regione, tra personale tecnico e addetti all’ufficio per il processo, i precari e le precarie Pnrr sono all’incirca mille e cinquecento – commenta De Ruggeriis –. In tre anni il duro lavoro di questi professionisti ha portato risultati concreti, come la riduzione della durata media dei processi. Ennesima ipocrisia di un Esecutivo che parla di giustizia più giusta e rapida, ma che nell’atto pratico ne mina le condizioni materiali”.
Secondo il sindacato lo sciopero è riuscito, nonostante pressioni e minacce di cooptazione in alcuni tribunali. A sostenerlo anche l’Associazione nazionale magistrati, che ha ribadito come senza questi lavoratori “la macchina della giustizia rischia il collasso”.