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L’ex sindaca Raggi contro l’inceneritore di Roma: “Scelta criminale e un favore ai privati”

“Pensare di avviare oggi un impianto del genere non solo è antistorico e anti-tecnologico, ma criminale”. Così, a Fanpage.it, l’ex sindaca di Roma e consigliera capitolina del Movimento 5 Stelle, Virginia Raggi.
A cura di Enrico Tata
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"Pensare di avviare oggi un impianto del genere non solo è antistorico e anti-tecnologico, ma criminale". Così, a Fanpage.it, l'ex sindaca di Roma e consigliera capitolina del Movimento 5 Stelle, Virginia Raggi, in merito al progetto del termovalorizzatore di Santa Palomba, voluto dall'attuale primo cittadino della Capitale e commissario straordinario per la gestione dei rifiuti, Roberto Gualtieri.

Partiamo dal cuore della questione: perché il Movimento 5 Stelle considera il termovalorizzatore di Roma un “eco-mostro” e non un’opera necessaria per affrontare l’emergenza rifiuti?

La tecnologia dei termovalorizzatori (o inceneritori con recupero parziale di energia) è nata nel secolo scorso per smaltire velocemente rifiuti mediante combustione. Questo processo, indipendentemente dal recupero energetico, prevede che alla fine del processo siano prodotti scarti pericolosi: parliamo di ceneri pesanti (scorie) e ceneri leggere (quelle che volano via dal camino dell’impianto) che poi vanno conferite in una discarica di rifiuti speciali, oltre ad una serie di fumi altamente tossici per l'uomo e per l'ambiente. Tra questi vi sono: CO2 (anidride carbonica, uno dei principali gas serra responsabili del riscaldamento globale);SO2 (anidride solforosa, principale responsabile delle piogge acide e altamente irritante);NO2 (biossido di azoto, anch'esso responsabile delle piogge acide, altamente irritante e precursore dell'ozono troposferico);diossine (elementi chimici altamente resistenti e gravemente tossici);idrocarburi policiclici aromatici o IPA (altamente tossici e classificati come “possibili o probabili cancerogeni per l'uomo” come afferma lo IARC – International Agency for Research on Cancer);furani (altro elementi chimico persistente e altamente tossico per l'uomo e per l'ambiente);metalli pesanti; oltre ad altri composti, non preventivamente individuabili, che si formano di volta in volta a seconda delle diverse sostanze che si mescolano tra loro durante la combustione.

Numerosi rapporti hanno documentalmente provato che la popolazione che vive nei pressi di tali impianti sviluppa con maggior frequenza una serie di patologie polmonari, cardiologiche, ematiche, sino ad una maggior incidenza tumorale.

Inoltre, va considerato che per ogni tonnellata di rifiuti bruciati si produce in media una tonnellata di CO2, in rapporto di 1:1. Quindi l’impianto emetterà in atmosfera circa 600 mila tonnellate di CO2 annue! Ora, con la consapevolezza che abbiamo rispetto all’inquinamento e al connesso cambiamento climatico e con gli obiettivi stringenti di decarbonizzazione adottati a livello mondiale ed europeo, pensare di avviare oggi un impianto del genere non solo è antistorico e anti-tecnologico, ma criminale!

L’esposto alla Corte dei Conti che avete presentato un mese fa mette in dubbio la sostenibilità economica del progetto: può spiegare quali sono, secondo voi, i rischi maggiori per i conti pubblici e quindi per i cittadini romani?

Per prima cosa occorre chiarire che l'impianto non sarà gestito da Roma Capitale ma da una società privata (Renerw Rome S.r.l., costituita da altre società, tra cui Acea Ambiente, Suez Italy, Vianini Lavori, ecc.) che lo farà lavorare almeno per i prossimi 30 anni e ne ricaverà i profitti e noi romani (e tutti coloro che conferiranno lì) di fatto pagheremo ancora un privato. E quanto pagheremo? La società ha previsto che a fronte di un investimento di circa 1 miliardo di euro, ricaverà alla fine del (primo) periodo di gestione di 30 anni, circa 7 miliardi. Per fare questo i romani sono vincolati a pagare una tariffa che nel contratto di concessione era indicata in 178 €/ton, ma che per effetto del meccanismo di rivalutazione ISTAT (che nel contratto è previsto venga applicato sin dall'anno 2022), farà lievitare questo costo di anno in anno (ad oggi già oltre i 200 € /ton) senza alcuna possibilità di rinegoziazione.

Oltre a questo si pensi al costo di circa 6 milioni per la costruzione dell’impianto di “Carbon Capture and Storage” – Cattura della CO2 (cui dovranno poi essere aggiunti i costi di esercizio, di personale, di gestione, ecc.) che catturerà appena 400 ton/anno (meno dello 0,10%) della CO2 prodotta; alle numerose clausole del Contratto di Concessione che mantengono gli impegni di Roma Capitale invariati nonostante il variare delle condizioni esogene (e, quindi, la connessa impossibilità di rinegoziare le condizioni, ad esempio abbattendo i costi); o l’ulteriore responsabilità di Roma Capitale (e, quindi, sempre di tutti noi cittadini) per la “bancabilità” dell’operazione, ecc..

Numerosi profili, tutti analiticamente esaminati nell’esposto, che chiariscono come l’unico interesse tutelato dall’operazione sia quello dei privati concessionari che realizzano l’impianto a carico nostro.

Oltre all’impatto economico, denunciate quello ambientale e sanitario: quali sono, a suo avviso, i pericoli maggiori per chi vive nelle zone di Santa Palomba e Pomezia?

É evidente che la prima zona di incidenza di tutte le emissioni sarà quella immediatamente vicina all'impianto: e con questo mi riferisco non solo a quello che circolerà nell'aria che respiriamo, ma anche ai campi coltivati su quali le particelle volatili si poseranno, entrando così nella catena alimentare. Vi è poi il tema del traffico veicolare su gomma necessario a portare rifiuti all'impianto e gli scarti fuori: il contratto parla di almeno 180 camion al giorno che intaseranno le principali arterie come la Via della Cancelliera o la Via Ardeatina (che in alcuni tratti è ad una sola corsia per senso di marcia), senza dimenticare che anche i camion emettono CO2 e particolato.

Vi è poi il problema delle captazioni di acqua: occorre considerare che nei laghi dell’area metropolitana di Roma, soprattutto Albano e Nemi, da oltre vent’anni si registra un costante abbassamento dei livelli delle falde (dovuto ad un eccessivo consumo idrico umano e commerciale) che ha raggiunto fino ai 7 metri (30 cm. anno) con evidenze di criticità dovute all’aumento della presenza di arsenico e fluoro, in quantità a volte sensibilmente superiori ai valori normativi ammessi per la potabilità.

Ebbene, come emerge dalla documentazione progettuale depositata dal concessionario privato (Renew Rome S.r.l.) per l’impianto di termovalorizzazione occorrerà realizzare due pozzi all’interno del sito, con necessità annua di utilizzo (captazione) di 87.600 mc annui, e questo determinerà ulteriori e gravi problemi all’area.

Albano, Pomezia hanno chiesto l’istituzione di un’area ad alto rischio ambientale a Santa Palomba, la Regione Lazio ancora non ha dato risposte in merito… Rocca sta facendo un favore a Gualtieri?

Rocca sta facendo tanti favori a Gualtieri: se è corretta e sempre auspicabile la collaborazione istituzionale, dovrebbe essere chiaro che questa deve sempre avvenire nell'ottica della tutela dell'interesse pubblico e non in quella di favorire il privato, come in questo caso!

Consideriamo che nell'area di Santa Palomba già oggi vi è una elevata concentrazione di stabilimenti a rischio di “incidente rilevante” ossia quegli incidenti che si verificano quando un incendio o un'esplosione di grande entità, dovuto a sviluppi incontrollati durante l'attività di uno stabilimento, provocano un pericolo grave, immediato o differito, per la salute umana o per l’ambiente e in cui intervengano una o più sostanze pericolose. Questi impianti insistono in un'area di pochi km quadrati: PROCTER & GAMBLE ITALIA S.p.a., CHIMEC S.p.a., ENI S.p.a, sito in Pomezia, via della Zoologia n. 1 e LIQUIGAS S.p.A.. Gli impianti di termovalorizzazione sono classificati dalla normativa nazionale “attività insalubri di prima classe” e come tali devono necessariamente essere realizzati in aree lontano dalle abitazioni. È giusto quindi che si proceda celermente sulle richieste formulate dai Comuni di Albano Laziale e Pomezia.

Peraltro, con la stessa logica, Rocca ha prorogato l’autorizzazione della discarica di Tor Tignosa (che dovrebbe nascere proprio vicino all’impianto di termovalorizzazione) nonostante si trovi a poco più di 200 m. dall’Istituto Comprensivo Statale Fabrizio De André, ben inferiore al limite minimo previsto dal Piano Regionale Rifiuti. E, guarda caso, la il titolare ha chiesto l’autorizzazione anche per poter ospitare le ceneri pesanti e leggere, che sono proprio una parte del residuo del processo di incenerimento…

Il progetto vincola Roma a conferire 600.000 tonnellate di rifiuti l’anno per trent’anni. In che modo questo, secondo voi, ostacola la raccolta differenziata e la transizione verso un modello più sostenibile?

Per prima cosa ricordiamo che Roma Capitale produce circa 1,6 mln/ton di rifiuti l'anno di cui circa il 46% (736mila ton) sono rifiuti differenziati e il resto indifferenziato.  Ora, se da qui ai prossimi 30 anni (minimo) Roma dovrà assicurare all'inceneritore un volume pari a 600mila ton annue di rifiuti indifferenziati che hanno anche uno specifico potere calorifico (il range di accettabilità viene individuato precisamente nell'allegato n. 17 al Contratto di Concessione) e sapendo che il potere calorifico più alto proviene dalla combustione di plastica e carta, è semplice capire come sarà impossibile impostare una politica drastica volta, in primo luogo, alla riduzione dei rifiuti e, successivamente, all’aumento progressivo della raccolta differenziata, come previsto dalle più recenti Direttive europee, senza andare ad intaccare i volumi (e il relativo potere calorifico) necessari ad alimentare l’inceneritore. Diversamente opinando, è evidente che Roma dovrebbe importare (comprandoli) rifiuti da altri comuni per poter mantenere fede agli impegni contrattuali assunti.

Il sindaco Gualtieri e il governo difendono il termovalorizzatore come “opera strategica” e soluzione definitiva ai rifiuti di Roma. Cosa risponde a chi sostiene che senza l’impianto la città resterà ostaggio delle emergenze e delle discariche?

Quella dell’opera strategica è stata la coperta per poter operare tramite poteri commissariali che ignorano vincoli e limiti. Si considerino, al riguardo, almeno questi due aspetti.

Il primo è che entro il 2030 occorrerebbe puntare il più possibile sulla riduzione dei rifiuti e sul loro riciclo o recupero: non a caso, nel nostro Piano Rifiuti del 2021, già finanziato con 340 mld di euro, avevamo previsto circa 9 impianti dedicati (a partire dal compostaggio per la frazione umida, agli impianti di multimateriali, fino agli scarti di pannolini e materiali assorbenti che hanno una filiera specifica, ecc.) da realizzare immediatamente.

Il secondo: oggi esistono tecnologie alternative per gestire /smaltire la frazione di rifiuti indifferenziati che dovrà, peraltro, andare a progressiva riduzione: una di queste è quella dell’ossicombustione il cui primo impianto operativo in Italia, dopo una lunga fase di sperimentazione conclusasi positivamente, sarà realizzato a breve nel Comune di Peccioli in Toscana. Zero emissioni di inquinanti e, soprattutto, zero emissioni di CO2 con produzione finale di materiale vetroso inerte che può essere utilizzato come base per conglomerati bituminosi ovvero come componente di materiali laterizi.

E prevengo anche chi dice che le quantità da smaltire sono diverse: è vero, Roma ha volumi sicuramente maggiori, ma le tecnologie sono tali che l’impianto, comunque molto meno costoso, può essere dimensionato dal principio a seconda del fabbisogno e/o se ne possono realizzare più di uno e più piccoli (e, complessivamente, molto più economici oltre che efficienti).

La “strategicità”, dunque, appare utilizzata più come un sipario dietro cui coprire l’ennesimo regalo ai privati piuttosto che come leva per realizzare impianti efficienti e moderni per affrontare questo tema nel solco della sostenibilità per i cittadini e per l’ambiente.

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