La madre del minore torturato dalla banda di Primavalle: “Mi hanno preso l’auto: ho paura che ci uccidano”

Crudeli, rapiscono e seviziano dei ragazzi loro coetanei senza provare la minima empatia, il minimo rimorso. Al contrario, per quelle violenze, riprese con il cellulare, "esprimono profonda soddisfazione" e si scambiano video, foto tra le risate. Questo è il ritratto tracciato dai giudici della banda del Bronx di Primavalle, composta da giovani che perlopiù non hanno ancora compiuto diciotto anni.
L'altro giorno, nell'ambito di un'inchiesta dei carabinieri della compagnia di Trastevere, sei di loro sono finiti in carcere su misura cautelare con le accuse, a vario titolo, di sequestro di persona, lesioni aggravate, estorsione, tortura e minacce.
Secondo le ricostruzioni, almeno in due occasioni hanno rapito due adolescenti per questioni di debiti di droga e altre faccende, li hanno torturati, umiliati e poi hanno chiesto un riscatto tra i 30 e i 37 mila euro alle loro famiglie. "Hai fatto un sgarbo a uno grosso, ora paghi tutto".
A ripercorrere le botte, un coltello puntato dritto alla gola, la rasatura dei capelli, il restare nudi e sentirsi lanciare addosso dell'acqua bollente, sono le stesse vittime che nella denuncia lo dicono chiaro: "Abbiamo pensato che ci avrebbero uccisi. Ora non dormiamo più, continuare a vivere la vita dei ragazzi della nostra età è praticamente impossibile. E poi c'è la paura di altre ritorsioni".
I tentativi di estorsione erano indirizzati anche ai familiari dei giovani sequestrati: "Uno di quelli è venuto da me, quando ha capito che non avrei pagato mi ha detto di lasciargli la mia auto, finché non fossi riuscita a mettere da parte i soldi per liberare mio figlio. Quando ha capito che non sarebbe stato possibile è andato via in macchina. Mio figlio me l'hanno riportato a casa dopo un po', era vestito diversamente, con la testa gonfissima e un forte dolore alle ginocchia". A raccontarlo è la mamma di una delle due vittime, che a distanza di mesi teme ancora che possa accadere qualcosa: "Ho paura che la minaccia che gli hanno fatto, quella frase "vengo e ti sparo" possa essere portata a termine".
Un gruppo di ragazzi che mostrano “un’attitudine criminale di eccezionale rilievo” caratterizzata da “un’estrema crudeltà e da un’impressionante disinvoltura”. E, nonostante “la giovane età, mostrano una capacità delinquenziale” che scuote le coscienze.
Un aspetto che risalta in un messaggio, intercettato dagli investigatori, prima della punizione punitiva: “Ti giuro frà…mi voglio sfogare un po’ con sto pischelletto. Te lo giuro, proprio nel cemento”.
Il gruppo voleva imporre il proprio dominio sul mercato della droga in un quartirere della periferia di Roma. E, da un loro socio recluso nel carcere di Viterbo sarebbe arrivata l'indicazione di far esplodere una bomba nel palazzo in cui vive uno dei loro avversari. "Quello ha allargato troppo la bocca. Che facciamo? Gli mettiamo due molotov sotto casa?", si chiedeva quello considerato il capo della banda riflettendo su quale era il metodo più efficace per inviare un messaggio. E chi è stato incaricato di portare a termine il compito dice: "Ma che devo fare? Andare lì e far esplodere tutto il palazzo con un bazuka? Faccio così fra?"
Alla fine una bomba artigianale verrà fatta esplodere davanti a una palazzina Ater a Torrevecchia.