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Satnam Singh, bracciante indiano morto a Latina

Satnam Singh e il sentimento della vergogna

“Il primo sentimento per la morte di Satnam Singh è la vergogna. Il secondo è la rabbia. Il terzo è ancora la vergogna”. La scrittrice Chiara Valerio ci porta nella nostra zona di interesse.
A cura di Chiara Valerio
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Un uomo di trentuno anni, Satnam Singh, che lavorava come bracciante agricolo in una azienda dell’agro pontino è morto mercoledì scorso all’ospedale San Camillo di Roma, dove era arrivato due giorni prima senza un braccio, tranciato da una macchina agricola. A Satnam Singh dopo essere stato negato un contratto di lavoro regolare è stato negato il soccorso. Anzi, gli è stato negato il soccorso perché, non avendo un contratto regolare, non era assicurato.

Su questo rapporto di causa-effetto, torneremo dopo.

Le cause dell’incidente sono ancora in accertamento ma i testimoni dicono che Satnam Singh è stato “agganciato dal macchinario avvolgi plastica a rullo, trainato da un trattore”, il macchinario “gli ha tranciato il braccio destro e schiacciato gli arti inferiori”. Dopo l’incidente, Satnam Singh è stato caricato su un pulmino, insieme ad altri lavoranti. A tutti è stato tolto il telefono perché non denunciassero ciò che era, stava e sarebbe accaduto. Satnam Singh è stato scaricato, quasi dissanguato, davanti la porta della casa dove viveva. A quel punto, Noemi Grifo e Ilario Pepe, che ospitavano Satnam Singh e la moglie Sony, vedendo la scenda del pulmino e del corpo, si sono allarmati e hanno chiamato l’ambulanza.

Renzo Lovato, titolare dell'azienda dove Satnam Singh lavorava, senza regolare contratto, ha dichiarato: “Avevo avvisato di non avvicinarsi al mezzo, ma lui ha fatto di testa sua. Una leggerezza, purtroppo”. Anche su questo punto torneremo dopo.

Il primo sentimento per la morte di Satnam Singh è la vergogna. Il secondo è la rabbia. Il terzo è ancora la vergogna. Ripetersi che si pagano le tasse, si è in regola con i contratti di lavoro, non si parcheggia sulle strisce pedonali, non ci si siede nei posti riservati alle donne incinte e agli anziani, non è sufficiente a sentirsi meglio. Satnam Singh muore, non viene soccorso, e capisci che devi prenderti sulle spalle le responsabilità, forse addirittura le colpe, dei tuoi. Perché ci sono i tuoi, e tu stessa, che hanno il tempo e la voglia di fare e farsi foto, di mandare messaggi, di testo e vocali e screenshot, e c’è un uomo di 31 anni che è morto in un campo dell’agro pontino, e del quale da due giorni non gira che una fototessera sbiadita. Dov’era il tempo di Satnam Singh per le foto?, non c’era. La tua vita è piena, è affannata, è faticosa, e sei pieno di foto. Dimmi dell’Occidente come costume, privilegio e tempo senza dirmi che stai parlando dell’Occidente. Le tracce semantiche con cui colonizziamo e sfruttiamo l’etere dopo aver sfruttato e colonizzato terre e genti. Ripetersi che si pagano le tasse, si è in regola con i contratti di lavoro, non si parcheggia sulle strisce pedonali, non ci si siede nei posti riservati alle donne incinte e agli anziani, non è sufficiente a sentirsi diversi da Renzo Lovato. Sei la persona che non pensa  la parola “leggerezza” perché c’è qualcun altro che lo dice per te? Leggerezza perché non è un incidente sul lavoro, è la conseguenza di un mondo intero.

Qualche mese si è molto parlato de La zona di interesse, il film di Jonathan Glazer, libero adattamento del romanzo omonimo di Martin Amis. Il film segue la vita di una famiglia che vive oltre il muro di un campo di concentramento. La famiglia che vive ne La zona di interesse, potrebbe essere quella del Mulino Bianco. Anzi, lo è. La famiglia della zona di interesse pubblicizza la possibilità di vivere in mezzo all’orrore e nonostante l’orrore, non partecipandovi ma approfittandone, coscienti o non coscienti. Può essere conveniente vivere accanto all’orrore. Loro ne sono coscienti, certo – Rudolf, il capofamiglia, è il comandante del campo di Auschwitz – ma è possibile anche non esserlo. La famiglia della porta accanto concima l’orto, il giardino e le piante nella serra con la cenere raccolta nei crematori. Fa spazio cioè agli esseri umani, che non hanno più forma umana, ma un’altra, nel piccolo giardino dell’Eden. Convitati di cenere. Il tema è il giardino dell’Eden. La nuova Eva, moglie di Rudolf, madre accudente, ricostruisce il giardino dell’Eden. L’umanità si è definita uscendo dal giardino dell’Eden e si ridefinisce ricostruendone uno, appunto la zona di interesse. Viviamo noi pure asserragliati in zone di interesse circondati dall’orrore, a partire da Sitnam Singh che muore dissanguato, perché lo stesso datore di lavoro che non lo ha messo in regola, non lo soccorre. Indignarsi per ciò che sta oltre la zona di interesse, non è sufficiente. La dissonanza, la distanza, della propria vita privata con quella del mondo che ci sta intorno è la misura dell’esistenza e dell’efficacia macabra della zona di interesse. La nostra.

Sitnam Singh ci ricorda oggi che siamo quella parte di mondo che pubblicizza o, meno intenzionalmente, rappresenta, la possibilità di vivere in mezzo all’orrore come unica possibilità di vita.

Avere un regolare contratto è un diritto del lavoratore. Essere curato è un diritto garantito dal nostro sistema sanitario. I diritti non vanno in serie, uno dietro l’altro, vanno in parallelo, uno insieme all’altro. Quando manca un diritto, traballa uno stato di diritto. Quando un datore di lavoro davanti a un uomo ferito pensa prima alla propria situazione aziendale che a soccorrere allora il mondo è diventato una forma senza sostanza nella quale, dunque, i corpi non hanno valore. È questa è l’ultima cosa che ha potuto dirci Sitnam Singh col suo corpo morto.

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Chiara Valerio (Scauri, 1978), scrittrice. Tra gli altri, ha pubblicato per Einaudi «La matematica è politica» (2020), «Così per sempre» (2022), «La tecnologia è religione» (2023). E’ appena uscito per Sellerio il suo ultimo romanzo, «Chi dice e chi tace» (2024).
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