I collaboratori che hanno denunciato il clan Spada: “Ci vogliono fuori dalla Protezione testimoni, pentiti di esserci pentiti”

"Grazie alle mie dichiarazioni sono stati sequestrati milioni e sono state arrestate decine di persone, perché ora lo Stato mi tratta come un peso?". Michael Cardoni e sua moglie Tamara Ianni sono collaboratori di giustizia dalla fine del 2015. Le loro testimonianze si sono rivelate fondamentali per sgominare il Clan Spada di Ostia, colpito nel 2018 da 32 arresti. Oggi rischiano di uscire dal programma di protezione testimoni e si dichiarano "pentiti" di essersi pentiti.
Cardoni e Ianni, collaboratori di giustizia dal 2015
Cardoni è il nipote del boss Giovanni Galleoni, detto ‘Baficchio', pezzo da novanta della criminalità di Ostia fino al 2011, quando viene ucciso in un agguato in pieno giorno insieme a Francesco Antonini, detto ‘Sorcanera'. Da quel giorno sul litorale romano dominano gli Spada, che iniziano a prendere di mira anche Cardoni e sua moglie Tamara Ianni con pestaggi, minacce ed estorsioni. Fino a quando, alla fine del 2015, la coppia non decide di collaborare con la giustizia e affidarsi alla protezione delle autorità. "L’ho fatto per i miei due figli, non per convenienza. La maggior parte dei collaboratori si pente quando ha quattro ergastoli sul groppone, quando sa che non uscirà più – commenta Cardoni -. Io no: io ero libero, lavoravo quindici ore al giorno in un chiosco. Sì, ho commesso reati, ma cercavo di cambiare vita".
"Dicono che non siamo più in pericolo, ma continuo a ricevere minacce"
Sotto la coordinazione del Servizio Centrale di Protezione del Ministero dell'Interno, girano l'Italia. La loro copertura, per vari motivi, salta spesso e il rapporto con gli agenti operatori incaricati del loro caso vive spesso di tensioni e diffidenze. Oggi si ritiene che non ci sia più pericolo per la loro incolumità, eppure a Ostia proseguono accoltellamenti, attenti esplosivi e altri episodi che fanno pensare ad una guerra fra clan a bassa intensità per il controllo delle piazze di spaccio. "Inoltre, continuo a subire minacce da alcuni miei familiari", aggiunge Cardoni, che, con la moglie, sente di trovarsi in un limbo.
La denuncia: "Rischiamo di uscire dal programma senza soldi e senza casa"
Sanno di non poter tornare sul litorale, ma non possono neanche rifarsi una vita altrove. "Dicono che abbiamo debiti con lo Stato e quindi non abbiamo diritto alla capitalizzazione, cioè la buona uscita prevista per chi lascia il programma", continua Cardoni. Questa sorta di liquidazione ha lo scopo di favorire il reinserimento nella vita sociale e lavorativa del collaboratore, il quale, per riceverla, non deve aver violato gli impegni verso il programma e devono risultare alcune condizioni per richiederla: cessazione del pericolo, permanenza nel programma per un certo periodo, comportamento adeguato. L'importo è variabile a seconda del tempo che si è passato sotto protezione, ma in genere arriva a un massimo di 100mila euro.
"Ma a noi non daranno nulla – aggiunge Michael Cardoni -, perché dicono che abbiamo debiti per la casa di Ostia. Il punto è che quella casa l’abbiamo restituita ai carabinieri nel 2015, chiavi in mano, come parte della collaborazione. È una follia: dicono che dobbiamo soldi per un immobile che abbiamo consegnato allo Stato". Una situazione simile si era verificata anche nel 2024, quando l'Agenzia delle Entrate aveva messo sotto pignoramento le capitalizzazioni dei collaboratori di giustizia, che spesso sono esposti nei confronti dello Stato per multe, spese legali e mantenimento in carcere.
Il legale Francesco Guido: "Tari non pagata per una casa in cui non abitavano"
I debiti di Michael Cardoni e Tamara Ianni sarebbero in particolare con il Comune di Roma per la Tari, la tassa sui rifiuti, e altre imposte. "Ma è un’assurdità – commenta il legale della coppia, l'avvocato Francesco Guido -. Queste persone sono state prelevate nel 2015 e trasferite altrove per ragioni di sicurezza. È ovvio che non potessero pagare una tassa riferita a un’abitazione che non occupavano più. Il Comune, però, ha continuato ad addebitarla e il Ministero dell’Interno non ha mai comunicato formalmente all’amministrazione comunale che i coniugi Cardoni-Ianni erano stati portati via e vivevano in località segrete".
Non solo, ai due vengono contestati anche debiti con lo stesso Viminale. "Ci sarebbero dei presunti danni alle abitazioni in cui la famiglia ha vissuto durante i vari spostamenti – continua l'avvocato Guido -. Tuttavia, non esiste alcuna relazione che descriva nel dettaglio quali danni sarebbero stati causati, quando e in che modo. Non c’è un verbale, non c’è una perizia, nulla". Sommando quanto preteso da Roma Capitale e dal Ministero dell'Interno, ai coniugi resterebbe poco o niente.
Le richieste alla Dda e al comune di Roma: "Non sanno dove andare"
"Mi sto muovendo con la Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, che ha la competenza sui collaboratori di giustizia, e con il servizio centrale di protezione, per cercare una soluzione – prosegue il legale -. Ho anche inviato una pec al Comune di Roma, chiedendo di essere ricevuto e verificare la possibilità di sospendere o sanare questi debiti. Nel frattempo, abbiamo chiesto che la famiglia possa rimanere almeno fino a fine anno scolastico nella casa in cui si trova ora, così da permettere ai figli di concludere l’anno senza ulteriori traumi. Il problema è che, a oggi, non hanno una destinazione: non sanno dove andranno, e questa incertezza è devastante".
I testimoni Cardoni e Ianni: "Lo Stato, che doveva proteggerci, ci discrimina"
Michael Cardoni sembra un uomo arrivato ormai allo stremo. "Ho 37 anni e durante il periodo sotto protezione ho iniziato a soffrire di attacchi di panico e d’ansia. Mi sono chiuso in me stesso e vivo nell’angoscia. Temo lo stesso anche per i miei figli che crescono sentendo in continuazione la parola ‘pentito'".
"Vogliamo solo chiudere questo capitolo, andarcene via e ricominciare. Avevamo sperato nella capitalizzazione per andare via, magari in Portogallo, in Belgio, aprire un chiosco e vivere tranquilli. Ma niente: ci hanno lasciati a mani vuote, dieci anni dopo aver fatto il nostro dovere. Lo Stato, che doveva proteggerci, ci discrimina", concludono con amarezza Cardoni e Ianni, che in un momento di frustrazione hanno anche pensato di tornare a Ostia, dove rischierebbero la vita "ma almeno sappiamo da chi guardarci. Siamo scappati da una mafia per finire sotto un’altra forma di sopraffazione".