Ex inviato Rai condannato a quattro anni: “Chiese soldi a un imprenditore per parlare di lui in un servizio”

Il tribunale di Roma ha condannato in primo grado a quattro anni e quattro mesi di reclusione l'inviato di moda e costume del Tg2 Franco Fatone. L'accusa per il giornalista è di induzione indebita a dare o promettere utilità. L'inchiesta è partita dopo che l'imprenditore Francesco Rizzica, nel 2018, si è presentato in procura denunciando come Fatone gli avesse chiesto dei soldi in cambio di parlare di lui durante un servizio televisivo.
A rendere nota la sentenza della ottava sezione collegiale è l'ufficio stampa dell'imprenditore. L'indagine era partita a Milano, ma è stata spostata nella Capitale per competenza territoriale. "Aspettiamo le motivazioni della sentenza – dice a Repubblica il legale del giornalista, Francesco Colosimo -. Fatone è stato assolto da uno dei tre fatti per i quali era stato tratto a giudizio. In un altro processo parallelo a Milano è stato assolto. La decisione del tribunale di Roma è di primo grado e non è definitiva", ha concluso l'avvocato.
Rai parte lesa, aveva sospeso Fatone nel 2019
"Accogliamo la decisione con rispetto e ribadiamo che comportamenti di questo tipo non sono in alcun modo tollerati", commenta Francesco Rizzica tramite la nota del suo ufficio stampa. Nella vicenda la Rai si è dichiarata parte lesa e anche l'imprenditore non è mai stato intenzionato ad attaccare l'azienda, che si è dimostrata "impegnata in un costante percorso di miglioramento dei sistemi di controllo e integrità", aggiunge Rizzica. Già nel 2019 la Rai aveva sospeso Fatone in attesa degli sviluppi del procedimento.
Nella sua denuncia in procura, l'imprenditore aveva consegnato ai magistrati le registrazioni di alcune telefonate. Sono poi stati disposte perquisizioni sul computer e sul telefonino del giornalista, che ha sempre respinto le accuse dicendo di aver solo chiesto soldi in prestito a Rizzica. Nonostante questa linea di difesa, il tribunale lo ha ritenuto colpevole e ha definito la sua condotta "contraria alle norme e ai principi di trasparenza e correttezza deontologica che regolano il lavoro giornalistico".