Contro la violenza sulle donne nasce Protocollo Zeus. La psicologa: “Così rieduchiamo gli uomini violenti”

Prevenire la violenza domestica partendo dalla consapevolezza maschile. Con questo obiettivo nasce il Protocollo Zeus, il programma di recupero e rieducazione degli uomini autori di comportamenti violenti o sessisti, rinnovato anche quest’anno a Frosinone. Fanpage.it ne ha parlato con la dottoressa Antonella D’Ambrosi, responsabile del Dipartimento di Psicopatologia nel Circuito Penitenziario.
Si chiama Protocollo Zeus, è nato a Milano nel 2018 e dallo scorso anno è stato attivato anche in Ciociaria. Che cos'è e perché è così importante per contrastare la violenza di genere?
Si tratta di un trattamento integrato dove noi inseriamo aspetti psicologici, aspetti criminologici ed aspetti educativi per modificare il comportamento e le strutture cognitive che sottostanno a un comportamento di violenza. Il primo requisito è l'assunzione di responsabilità: noi aiutiamo gli uomini che si rivolgono a noi a diventare consapevoli delle loro azioni.
In questo modo si tenta di bloccare quella che può diventare un'escalation comportamentale dell'autore. A mio avviso si svolge una importante funzione di sanità e di tutela pubblica, proprio perché si lavora sui livelli di consapevolezza dei propri comportamenti e delle proprie azioni che spesso non sono riconosciute come violente o abusanti.
In che senso "non vengono riconosciute"?
Ci è capitato di lavorare con persone che non si rendevano conto degli abusi nel loro comportamento. Spesso abbiamo riscontrato una fragilità insita nell'accettare la fine di un rapporto o di una relazione. È un elemento determinante nei fenomeni di stalking a tutti i livelli indipendentemente dal genere. In alcuni casi, abbiamo lavorato con uomini che magari hanno mandato cinquanta messaggi alla propria compagna o partner e pensavano che questa condotta non fosse neppure stalking.
Da chi è composto il team che si occupa del protocollo?
Per la maggior parte siamo psicologhe, ma non si tratta di un supporto psicologico. Il protocollo Zeus ha un programma più strutturato che si attiva a seguito dell'ammonimento del questore.
Come funziona?
Gli uomini che vengono a svolgere il protocollo Zeus non sono incorsi in un procedimento penale, ma in uno amministrativo e sono stati ammoniti dalla Questura, con cui noi collaboriamo strettamente. L'ammonimento arriva tendenzialmente prima che venga agita la violenza, ad esempio, quando la vittima o anche terzi vicini di casa, parenti, si accorgono di comportamenti di tipo vessatorio. A volte stalking e minacce.
A fronte dei fatti si può fornire una comunicazione presso gli uffici della Questura e tutto quello che viene dichiarato viene poi valutato dal questore. Se ci sono gli elementi per dare un ammonimento si dà questa sorta di cartellino giallo. Come nel calcio: so che questa modalità di comportamento potrebbe sfociare in un codice rosso, in un reato di maltrattamento. Prima del provvedimento penale ne arriva uno amministrativo che li porta da noi.
Nei fatti come avviene la chiamata per partecipare al protocollo Zeus?
La persona imputata dei fatti viene chiamata dalla Questura e invitata a modificare i propri comportamenti. Per farlo ha a disposizione il percorso presso un'azienda sanitaria, nel caso nostro (quella di Frosinone è la prima Asl che prende parte attiva al programma, ndr), o un'associazione che si occupa del trattamento di autori di violenza di genere. La frequenza è volontaria e gratuita.
Una volta da voi cosa succede, qual è il percorso che svolgono?
L'obiettivo tramite il protocollo Zeus è quello di spiegare loro che il comportamento agito è un comportamento violento: talvolta arrivano da noi con un livello di consapevolezza e di negazione totalmente forviante, pensano di non aver compiuto nulla di male è che sia normale nelle relazioni agire in quel modo.
Ma per quanto riguarda il protocollo Zeus, noi siamo ancora prima, nel senso che l'ammonimento del questore non è un atto penale, ma è un procedimento amministrativo.
Una volta iniziato cosa comprende il protocollo Zeus?
Presentandosi agli appuntamenti del protocollo, lo scopo è quello di cercare di rendere più consapevole l'uomo che abbiamo davanti, facendo in modo che comprenda che i comportamenti agiti sono orientati a una sorta di dominanza del maschile su femminile. L'obiettivo è quindi modificare la cultura della relazione tra maschio e femmina e diventare coscienti e più consapevoli dei propri comportamenti a livello psicoeducativo e criminologico.
Cosa emerge dagli appuntamenti del protocollo?
Possono esserci diversi esiti. A volte la persona che affronta il protocollo Zeus rientra in un quadro di personalità disturbata ed è necessario intervenire per aiutarla in maniera più strutturale. Penso ad esempio quando ci troviamo di fronte a dipendenze, abuso di alcol, di sostanze o a disturbi mentali: in quei casi orientiamo verso i servizi aziendali per una presa in carico congiunta, chiaramente. Nella maggior parte dei casi, però, si tratta di un problema culturale. Perché la violenza è un problema culturale.
Il protocollo è stato rinnovato anche quest'anno. Nella vostra esperienza ha avuto successo con tutte le persone che si sono sottoposte?
Le persone che accedono al percorso tendenzialmente accettano di completarlo perché comprendono quanto questo sia funzionale a loro stessi che sia per la propria relazione o eventualmente per una nuova, per la ripresa della relazione con i figli, con l'eventuale partner. Abbiamo affrontato anche percorsi molto lunghi che, talvolta, non riguardavano neppure la violenza di genere, si trattava di un ammonimento nell'ambito delle relazioni familiari.
È mai capitato che qualcuno si rifiutasse di seguire il percorso?
Nella maggior parte dei casi il programma è stato portato a compimento, ma abbiamo avuto qualche caso di drop out dopo il primo o il secondo colloquio. Naturalmente come Asl siamo tenuti a fornire i risultati alla Questura. Si tratta di un lavoro multidimensionale anche molto molto molto complesso e e sfaccettato in cui non possiamo dire "andrà tutto bene". In alcuni casi l'ammonimento è stato seguito da un procedimento penale, ma sono una minima parte. E questo è indicativo: ci fa capire che se noi trattiamo i casi già prima ancora che il comportamento sia messo in atto, abbiamo maggiori probabilità che non si arrivi all'azione violenta.
E questa possiamo definirla una forma di prevenzione?
Certamente. Tutto quello che noi facciamo, anche quando lavoriamo con i possibili autori di violenza, è sempre a tutela della vittima, che sia una donna o per i figli, nell'ambito della cosiddetta violenza assistita. Il nostro obiettivo è che quelle donne e quei bambini o bambine non debbano più vivere situazioni del genere. L'ottica è quella di proteggere la vittima. Ed è un'ottica culturale rivoluzionaria.
In che senso?
Nell'immaginario collettivo sembra che basti punire e mettere in carcere gli uomini violenti, come se una volta in prigione cambiassero. In realtà noi lavoriamo anche negli istituti penitenziari della provincia di Frosinone. Ci rendiamo conto che gli autori di reato di violenza di genere, di violenza sessuale, di stalking, di maltrattamento, se non viene svolto un buon lavoro anche all'interno dell'istituto, escono più arrabbiati di prima. Nel nostro sistema giuridico le pene hanno un inizio e una fine, ma non possiamo fare affidamento su quelle. Pensare che il carcere cambi gli autori di violenza è un'ottica parcellizzata. È necessario, invece, che lavorino sulle loro dinamiche disfunzionali nelle relazioni per evitare il rischio di recidiva che, altrimenti, è molto elevato.
Quindi la soluzione qual è?
Noi lavoriamo con loro prima con protocollo Zeus, poi all'interno degli istituti. Soltanto in questo modo possiamo veramente dire di aver fatto un'azione di prevenzione della violenza di genere.
Quanti anni hanno coloro che partecipano al protocollo Zeus?
Spesso ci troviamo di fronte a uomini giovani, fra i 30 e i 40 anni a cui spesso si associano le dipendenze da alcol o da sostanze. Nelle zone rurali, però, spesso l'età aumenta. In quel caso il fattore culturale è quello più dominante.
A proposito del fattore culturale, il protocollo ha lo scopo di contrastare la violenza di genere rieducando e formando persone ammonite. Educare e formare è anche lo scopo dell'educazione sessuoaffettiva. Pensa che proporre corsi sul tema, anche a scuola dove il dibattito è aperto, possa in qualche modo anticipare il protocollo Zeus?
Assolutamente sì, l'educazione sessuofettiva nelle scuole aiuterebbe nella prevenzione. Tutte le iniziative di questo tipo, all'interno di un contesto scolastico, ma anche familiare e sociale, che educhino al rispetto della diversità, della diversità di genere, della diversità di razza, di religione, di ogni caratteristica che ci rende diversi quindi anche unici, potrebbe rappresentare un cambio di paradigma culturale nella nostra società. Trovo che programmi di questo genere possano avere un ruolo fondamentale all'educazione e di conseguenza, alla convivenza democratica.