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Rapimenti, torture e milizie private: l’inferno della Libia, il paese che ci sta “salvando” dai migranti

Gli sbarchi sulle nostre coste sono diminuiti, ma a che prezzo? Quello di non avere la minima idea del destino di decine di migliaia di persone, rinchiuse e picchiate nelle prigioni libiche. E di aver stretto patti con un governo che non controlla il proprio territorio e deve a sua volta mediare con miliziani e trafficanti.
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Al 27 settembre sono 103638 i migranti sbarcati sulle coste italiane, per un dato che registra un calo del 21,5% rispetto allo stesso periodo del 2016. La flessione degli arrivi via mare è cominciata nel mese di luglio, ma è risultata decisamente più significativa nei mesi di agosto (meno 17mila persone sbarcate) e settembre (meno 11mila); se questo trend dovesse continuare è possibile ipotizzare che alla fine del 2017 si registrerà un calo di circa 60mila presenze, per un -30% complessivo di sbarchi sulle nostre coste.

A determinare il calo degli arrivi è stato principalmente il cambio di rotta del Governo italiano, che ha sposato (con pochissime resistenze interne al Consiglio dei ministri) l’approccio del ministro dell’Interno Marco Minniti. Il Viminale ha avviato una serie di tavoli di confronto con il governo libico “riconosciuto”, con le richieste italiane riassumibili con: ampliamento delle azioni della Guardia Costiera libica, chiamata a compiti di SAR nelle more della definizione di un MRCC in Libia; controllo della frontiera con il Niger; “disponibilità” ai controlli sulle condizioni in cui vengono trattenuti i migranti. In cambio, l’Italia fornirà supporto e addestramento alla Guardia Costiera libica, si impegnerà per la stabilizzazione del paese e lavorerà su nuovi accordi commerciali.

La versione ufficiale è più o meno questa. C'è tanto altro da raccontare, però, sulla Libia e sul prezzo che stiamo pagando per una diminuzione del 20 / 30 percento degli arrivi sulle nostre coste.

Che fine hanno fatto queste persone “attese” sulle nostre coste? Tutto autorizza a pensare che, eccettuati eventuali cali fisiologici, la maggioranza dei migranti sia stata “trattenuta” in Libia, mentre una parte marginale sia stata respinta al confine meridionale. Cosa significa tutto ciò, concretamente? È difficile dirlo e sulle fonti delle informazioni fatte circolare in queste settimane si è discusso molto.

L’Italia sta trattando ufficialmente solo con il governo di Fayez al Sarraj che però non controlla tutto il territorio libico e, soprattutto, sembra non avere alcuna influenza nella zona di Sabratha, la città dalla quale parte il maggior numero di gommoni e barconi diretti verso il nostro paese. La brusca interruzione degli sbarchi, secondo alcune inchieste condotte da media internazionali, sarebbe stata possibile solo con il placet delle milizie che controllano quella zona.

Associated Press, in particolare, ha evidenziato il ruolo di due milizie, la “Martire Abu Anas al Dabbashi” e “Brigata 48”, che in passato sono state accusate di coinvolgimento nel traffico di migranti dalla Libia all’Italia. Come spiega Il Post in questo approfondimento, le inchieste accusano il Governo italiano “di aver saltato l’intermediazione di Sarraj e aver stretto accordi direttamente con gli stessi personaggi che fino a poco tempo fa erano in combutta con i trafficanti”. Le accuse sono state respinte al mittente dal Governo italiano, che tuttavia non ha mai chiarito fino in fondo i particolari del nostro “intervento” in Libia. Così come non ha chiarito i legami con una serie di soggetti operanti in Libia e accusati di avere un ruolo nel traffico di uomini, come evidenziato da una inchiesta della Reuters.

Senza contare un altro aspetto, focalizzato da Raineri sul Foglio, ovvero la “riconversione” di alcuni trafficanti, ora diventati “controllori” del territorio libico:

In palio ci sono finanziamenti generosi da parte dell’Unione europea, che potrebbe replicare in Libia il modello Erdogan sull’immigrazione – vale a dire denaro in cambio del blocco delle rotte di migrazione. Con la differenza che la Turchia esercita un ferreo controllo centralizzato su tutto il processo, ha costruito campi profughi che fa visitare ai giornalisti e lascia che la maggioranza dei siriani viva in Turchia fuori dai campi. In Libia invece il governo di Tripoli fa da tavolo dei negoziati di tutte le milizie e i gruppi della costa. Il premier Fayez al Serraj è debole, ma è il canale di comunicazione ufficiale e legittimo con i governi europei

I racconti che arrivano dai migranti che in queste settimane sono riusciti ad attraversare la Libia e a mettersi in viaggio verso l’Italia rafforzano la tesi di un paese fuori controllo, in cui le milizie hanno un potere enorme e in cui non è chiarissima la distinzione fra forze di sicurezza “pubbliche”, miliziani e mercenari al soldo di qualche signorotto locale.

Quelle che Fanpage.it vi mostra nel video sono testimonianze dirette di persone scampate a centri di detenzione in Libia, “pubblici o privati”. Sul punto, in effetti, non è ancora possibile fare chiarezza: a quanto risulta sarebbero circa una trentina i centri di detenzioni “ufficiali” (nei quali sarebbe in teoria possibile effettuare ispezioni), mentre restano moltissime le “prigioni private”, veri e propri lager in cui i migranti sono rinchiusi alla mercé di trafficanti di uomini, criminali e ricattatori. Come raccontato a Fanpage.it da alcune vittime della tratta, spesso i migranti sono tenuti in condizioni disumane e obbligati a telefonare alle proprie famiglie per chiedere un riscatto che, una volta pagato, non garantisce il “lasciapassare” verso i porti, dal momento che spesso si subisce un nuovo rapimento a opera di alti gruppi criminali.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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