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Violenza sulle donne, dopo un anno dal femminicidio di Giulia Cecchettin solo l’1,5% dei politici ne parla

Era un’emergenza da “non dimenticare” ma a un anno dal femminicidio di Giulia Cecchettin, a malapena l’1,5% dei politici ha parlato di violenza di genere e a farlo maggiormente sono state, ancora una volta, le donne. È quanto emerge dall’ultimo rapporto di ActionAid realizzato con l’Osservatorio di Pavia.
A cura di Giulia Casula
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Foto d'archivio
Foto d'archivio

Era un'emergenza da "non dimenticare", una "mattanza" da fermare, una "piaga sociale" contro cui collaborare per "cambiare le cose". Sono queste alcune delle espressioni che hanno affollato il discorso politico un anno fa, quando all'indomani dell'uccisione di Giulia Cecchettin, maggioranza e opposizione all'unisono hanno reagito indignati di fronte a un caso che ha scosso l'Italia intera.

Ma oggi, a un anno da quella tragedia, che cos'è rimasto? Poco o nulla. O almeno questo è ciò che emerge dal rapporto realizzato da ActionAid, che assieme all'Osservatorio di Pavia ha analizzato la comunicazione politica sulla violenza di genere partendo da alcuni quesiti: quanto se ne parla nelle aule del Parlamento? Finora il governo quante volte si è occupato di queste tematiche?

Nonostante più del 95% degli italiani ritenga che quello della violenza contro le donne sia un tema rilevante, l'interesse degli esponenti politici, senza grandi distinzioni tra destra e sinistra, è piuttosto basso. Su 300mila post pubblicati su Facebook e Instagram, solo una minima parte, compresa tra l'1,2% e l'1,5%, si è occupata del tema.

Chiaramente, va detto, questo dato non è indicativo dell'impegno assoluto dedicato al contrasto alla violenza di genere, ma contribuisce a rendere l'idea dell'attenzione che i partiti concentrano sulla questione. Un'attenzione, che il più delle volte è intermittente e si accende solamente in presenza di ricorrenze particolari, come il 25 novembre, o di casi di cronaca che colpiscono l'opinione pubblica.

Anche la comunicazione di Giorgia Meloni sull'argomento scarseggia. Nell'ultimo anno attraverso i suoi profili Facebook e Instagram ha trattato il tema della violenza di genere solamente quattro volte e il suo ultimo post a riguardo risale al 25 novembre 2023: da allora sono passati ormai dodici mesi.

Peraltro la comunicazione politica su femminicidi, stalking, violenza sessuale e molestie continua a rimanere qualcosa di cui a parlare sono principalmente le donne. Sui social due post su tre sono pubblicati da deputate e senatrici, mentre nella classifica dei personaggi politici che più trattano il fenomeno, solo quattro sono uomini (nello specifico il governatore del Veneto Luca Zaia, il parlamentare di Avs Francesco Emilio Borrelli e i ministri Salvini e Piantedosi).

Sul grado di copertura del tema da parte delle forze politiche, non si rilevano differenze significative tra i partiti. Fratelli d'Italia e Partito democratico ne parlano in egual misura, con percentuali attorno al 23%, seguiti da Movimento 5 Stelle (17%) e dalla Lega (12%).

Numeri comunque scarsi, tanto più se si considera che nell'ultimo anno gli atti di violenza maschile contro le donne non sono di certo diminuiti. Secondo i dati aggiornati del ministero dell'Interno, dal 1° gennaio di quest'anno 97 donne sono state vittime di omicidio e 51 sono state uccise dai propri partner o ex.

A dispetto degli slogan e delle dichiarazioni che si sono rincorse nei giorni immediatamente successivi alla morte di Giulia, il tasso dei femminicidi in Italia viaggia al ritmo allarmante di uno ogni tre giorni. Segno che quanto fatto finora non è sufficiente.

Come ha sottolineato Katia Scannavini, Vicesegretaria Generale ActionAid Italia,  "ancora una volta la violenza è un affare di donne anche all'interno delle istituzioni. La violenza maschile contro le donne è una conseguenza delle disuguaglianze di genere e il suo contrasto deve toccare tutti gli ambiti della politica nazionale. Così non è mai stato", ha ribadito.

Per questo, è necessario che la classe politica diventi "competente, indipendentemente dal genere o dal ruolo ricoperto" che "la politica passi dalle parole ai fatti, superando le differenze ideologiche e raggiunga una convergenza per approvare una legge che introduca l’educazione sessuale, affettiva e di genere nelle scuole, in linea con le direttive internazionali", ha concluso Scannavini.

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