Verducci (Pd): “Meloni usa la morte di Kirk per guadagnare voti e attaccarci: la smetta di imitare Trump”

L'omicidio di Charlie Kirk, l'attivista di estrema destra statunitense ucciso il 10 settembre, ha "due piani inquietanti", ha detto il senatore del Pd Francesco Verducci a Fanpage.it. Verducci è il vicepresidente della commissione Segre – che si occupa di intolleranza, razzismo, antisemitismo, istigazione all'odio e alla violenza – ed è coordinatore dell'Alleanza parlamentare contro l'Hate speech del Consiglio d'Europa.
Il primo piano è, naturalmente "quello della vicenda drammatica in sé. È inammissibile, inaccettabile. Niente può giustificare la violenza. Mai". Il secondo, invece, riguarda le reazioni della politica alla morte di Kirk. Come la destra l'ha strumentalizzata, rendendola un mezzo per attaccare gli avversari. Un percorso che negli Stati Uniti sta portando a una volta autoritaria, ha sottolineato Verducci, e che in Italia la destra di governo sembra voler imitare.
Partiamo dalla morte di Kirk, il 10 settembre. Cosa ha pensato quando è successo?
È stato scioccante. Le immagini dell'Università in cui è avvenuto l'omicidio richiamano il filo drammatico della violenza omicida nei confronti dei politici negli Usa. Penso all'uccisione di Bob Kennedy in diretta tv, a John F. Kennedy, a Martin Luther King, all'attentato a Reagan e a Trump.
Ma ci sono stati casi anche molto più recenti. Solo pochi mesi fa è stata uccisa la deputata Melissa Hortman, democratica, del Minnesota. Ci sono dati statistici incontrovertibili che dicono come questa violenza estremista, sempre da condannare, venga molto spesso da ambienti di destra estrema, e in casi molto più rari da sinistra.
C'è un ritorno della violenza politica negli Stati Uniti?
Sì, stiamo assistendo a una recrudescenza, che purtroppo è dilagata anche nel contesto estremamente aggressivo della retorica trumpiana e che ha avuto il suo acme il 6 gennaio del 2021, con l'assalto al Campidoglio da parte dei sostenitori di Donald Trump, a seguito delle accuse di brogli contro Joe Biden e i Democratici.
Quello fu tecnicamente un tentativo di colpo di Stato, e voglio ricordare che ci furono cinque morti. Quella vicenda ha rotto l'unità nazionale e sdoganato in modo inaudito la violenza come strumento di lotta politica.
Cosa pensa della reazione dei leader politici all'accaduto?
Quella dei personaggi istituzionali statunitensi è stata una reazione irresponsabile, sconvolgente. Che ha causato, a catena anche quella in Italia.
Prima che sapessimo alcunché su chi aveva sparato, il governatore dello Utah già dichiarava che si trattava certamente un estremista di sinistra. Poco dopo, lo stesso presidente Trump affermava che l'assassino era imbevuto di teorie della sinistra radicale. Cose che non potevano essere provate, e non lo sono tuttora quando ancora non si conosce il movente di un gesto folle, ma che hanno dato il tono a tutto il dibattito seguente.
Ha detto che la reazione di Trump e degli altri politici americani ha "causato" quella in Italia. In che senso?
È avvenuto con una rapidità impressionante: Trump negli Stati Uniti imbastisce questa campagna di comunicazione, e dopo poche ore eccola arrivare in Italia. Il governo Meloni ha importato pedissequamente la stessa strumentalizzazione di una vicenda così drammatica e sconvolgente. Dopo le prime reazioni, l'uscita a mio parere sbagliata di un commentatore (non un esponente politico) ha dato il pretesto per iniziare con le false accuse: "La sinistra giustifica la violenza contro di noi", e così via in un crescendo inquietante. Una bugia assoluta.
In realtà, tutti i leader politici italiani, sia di destra sia di sinistra, hanno condannato l'uccisione di Kirk.
Assolutamente sì. Allo stesso tempo, non si può pretendere che, mentre si ribadisce che in democrazia non può esserci spazio per nessuna violenza, non si possano commentare o contestare le posizioni politiche di Kirk – penso ad esempio al suo sostegno al libero possesso delle armi. Farlo è un modo di silenziare il dibattito. Mentre, al contrario, quello di cui abbiamo bisogno è discutere di questi grandi temi in modo civile.
Il ministro Ciriani ha paragonato le opposizioni alle Brigate rosse, Tajani ha ricordato l'omicidio Calabresi. Non è la prima volta che la destra di governo fa riferimento agli anni di piombo per attaccare le opposizioni. Perché è un tema che ritorna così spesso?
È una mancanza di rispetto per le posizioni dell'avversario politico. Meloni ha anche rilanciato sui social un'immagine postata da una piccola sigla dell'antagonismo, con Kirk a testa in giù e la scritta "meno uno". Una cosa vomitevole, ma è fuori dal mondo e dalla storia associare questi messaggi alla sinistra politica che oggi fa opposizione in Parlamento.
La premier sa che, negli anni Settanta, il Partito comunista combatteva duramente le Brigate rosse e la Democrazia cristiana non l'avrebbe mai accusato di connivenza. Peraltro, aggiungo, lo stesso non si può dire per la destra.
In che senso?
Mentre il Partito comunista italiano politicamente ha contrastato il terrorismo rosso in maniera fortissima fino a sconfiggerlo, quante zone d'ombra c'erano tra il Movimento sociale italiano e i gruppi estremisti di destra?
Meloni sa che i suoi avversari politici, da Schlein ai 5 stelle, da Avs a Renzi, sono tutti democratici e condannano ogni forma di violenza. Ma mescola le carte per lanciare accuse che pur non avendo fondamento – come Meloni sa perfettamente – disorientano e incattiviscono l'opinione pubblica. Meloni prova a ribaltare la realtà, inventandosi un'opposizione parlamentare violenta, cosa che nel nostro Paese assolutamente non c'è.
Cosa spinge la presidente del Consiglio a insistere nelle accuse di questo tipo contro l'opposizione?
In questi anni la Presidente Meloni ci ha mostrato più volte come il vittimismo sia una cifra specifica della sua propaganda politica. Chiaramente questo porta consenso politico. Ma è un veleno che corrode tutto. Ricordo i tempi in cui Salvini e Meloni usavano un linguaggio aggressivo, urlato, spesso violento per ottenere voti. Ora invece, in un ribaltamento abbastanza spregiudicato della realtà, accusano chi, per anni, è stato oggetto di questa campagna di aggressione.
Un tema che ritorna nel dibattito su Charlie Kirk è la libertà di parola. Chi difende le sue posizioni estremiste dice che era un paladino del ‘free speech', chi lo critica viene attaccato. Lei, da vicepresidente della commissione Segre – che si occupa proprio di istigazione all'odio e alla violenza, tra le altre cose – che impressione si è fatto?
Parto ancora dagli Stati Uniti: Trump ha costruito la sua narrazione politico-elettorale sulla difesa ideologica della libertà di parola. Era però una mistificazione assoluta della realtà, che contemplava lo sdoganamento di fake news e hate speech vero e proprio, funzionale solo a polarizzare, a costruire una base elettorale di consenso. È stata la sua strategia. Negli ultimi giorni invece c'è stato un cambiamento.
Cioè?
La Procuratrice generale di Trump ha dichiarato che sì, c'è il free speech, ma c'è anche l'hate speech. E che questo va perseguito con la massima determinazione. Uno slittamento enorme nella posizione della destra Maga.
Cosa c'è dietro questo cambiamento, e che conseguenze può avere?
Questo attacco inaspettato e completamente nuovo ai "discorsi di odio" si unisce alle indagini dell'Fbi su attivisti di sinistra, al monitoraggio sui social per rilevare chi critica Trump; e ancora, le indagini in Texas su decine di professori per i loro post riguardanti Kirk, o l'ipotesi di trattare gruppi radicali di sinistra come organizzazioni terroristiche.
È chiaramente una posizione strumentale: dopo aver preso il potere promuovendo free speech e fake news, ora negli Usa l'amministrazione sta mettendo in atto una stretta che parte proprio dalla limitazione del linguaggio con l'obbiettivo di colpire gli oppositori. Una deriva autoritaria.
L'hate speech è comunque un problema che va affrontato?
Sì, assolutamente. È un tema per cui mi batto da molti anni, in Italia e in Consiglio d'Europa. Sono convinto che la libertà di parola non possa ledere la dignità di una persona. Ma nella retorica della destra di questi giorni anche il concetto di hate speech viene distorto, usato per limitare lo spazio di espressione politica degli oppositori.
Quello che distingue una democrazia da un regime autoritario è la possibilità per le minoranze di avere un protagonismo pari agli altri. L'hate speech, per me, è quello che impedisce alle minoranze – religiose, etniche, di orientamento sessuale – di avere gli stessi diritti degli altri. Se si usa il tema dei discorsi di odio per rafforzare il potere politico si sta facendo propaganda che sconfina nella censura, come nel caso di Trump. Si vedano i licenziamenti di queste ore nei confronti di persone colpevoli di aver detto la propria opinione sui social.
Insomma, negli Stati Uniti il governo non fa nulla per abbassare i toni con il riaccendersi della violenza politica. E anzi, ne approfitta per cercare di reprimere il dissenso. In Italia, il governo segue lo stesso modello? È troppo tardi per cambiare direzione?
L'auspicio è di avere forze politiche che si contrastano, ma che si rispettano. I primi a dover tenere un atteggiamento del genere sono i più alti in grado. Se invece la capo del governo e i vicepremier costruiscono ad arte un clima infuocato per ottenere voti strumentalmente, in una democrazia già sfinita da crisi economica, crisi sociale, disuguaglianza, fake news e molto altro, diventa un gioco al massacro.
È un appello che rivolgo alla destra italiana. Bisogna fermarsi. Bisogna pesare le parole, e avere a cuore la democrazia più del consenso personale. Non si può continuare a seguire Trump su questo terreno incendiario.