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Un altro italiano finisce ad Alligator Alcatraz, la prigione per migranti voluta da Donald Trump

Un terzo cittadino italiano è stato arrestato in Florida e trasferito nella controversa struttura per migranti irregolari nota come “Alligator Alcatraz”. La Farnesina assicura che il rimpatrio è imminente, mentre crescono le preoccupazioni per le condizioni disumane del centro.
A cura di Francesca Moriero
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Un altro cittadino italiano è stato arrestato negli Stati Uniti e trasferito ad Alligator Alcatraz, controversa struttura per migranti irregolari allestita nel cuore delle Everglades, in Florida, che non è nient'altro che un carcere a cielo aperto per i migranti, secondo alcuni, ideato proprio per scoraggiarli dal tentativo di superare il confine. Secondo quanto comunicato dal ministero degli Esteri, l’uomo, originario di Lodi, è stato fermato il 12 luglio scorso nella città di Miramar, nella contea di Broward, e da allora è sottoposto a una "misura detentiva temporanea" in attesa del rimpatrio.

La Farnesina ha fatto sapere di essersi subito attivata: il Consolato italiano a Miami è infatti in contatto con la famiglia del connazionale e ha avviato interlocuzioni con l’Office for Foreign Missions del Dipartimento di Stato americano. L’obiettivo, fanno sapere fonti diplomatiche, è un rientro in Italia il più rapido possibile, che, secondo quanto riferito, potrebbe concretizzarsi già nei prossimi giorni.

Cos'è Alligator Alcatraz: il carcere tra gli alligatori

Inaugurato il primo luglio 2025, Alligator Alcatraz è diventato in poche settimane uno dei simboli più controversi della politica migratoria statunitense. Voluta dall’amministrazione Trump e costruita in tempi record, la struttura si trova nel bel mezzo delle paludi della Florida, una zona popolata da alligatori, coccodrilli e pitoni. Può ospitare fino a cinquemila persone in attesa di espulsione; il nome non è certo casuale: evoca da un lato la storica prigione di massima sicurezza nella baia di San Francisco, e dall’altro le minacciose creature dell’ambiente circostante. Lo stesso Trump, durante l’inaugurazione, aveva avvertito che il centro “potrebbe rivelarsi più duro della vecchia Alcatraz”. Una dichiarazione che ha immediatamente attirato l’attenzione di organizzazioni per i diritti umani, già allertate da notizie riguardanti condizioni detentive al limite della legalità.

I precedenti: Artese e Mirabella Costa

Il cittadino lodigiano è il terzo italiano finito ad Alligator Alcatraz in meno di un mese. Prima di lui, erano stati condotti nella stessa struttura Fernando Eduardo Artese, 63 anni, con doppia cittadinanza italiana e argentina, e Gaetano Cateno Mirabella Costa, 45 anni, originario di Fiumefreddo di Sicilia. Artese era stato fermato a fine giugno all’aeroporto, mentre tentava di lasciare gli Stati Uniti per tornare in Argentina. Su di lui pendeva un mandato per il superamento del periodo di permanenza consentito nel Paese, ma in sostanza si trattava di un’irregolarità amministrativa legata al passaporto. Dopo alcuni giorni ad Alligator Alcatraz, è stato trasferito al centro ICE di Krome, a Miami, grazie all’intervento del Consolato e al pagamento di una somma da parte dei familiari sul cosiddetto detainee account, una sorta di conto prepagato per le spese dei detenuti. Una settimana dopo era già rientrato in Italia.

Più complessa, invece, la situazione di Mirabella Costa, detenuto per sei mesi in un carcere della Florida con l’accusa di aggressione e possesso di stupefacenti. Al termine della pena è stato trasferito immediatamente ad Alligator Alcatraz, dove si è trovato a fronteggiare, come ha raccontato lui stesso in un appello reso pubblico il 20 luglio, condizioni disumane: “Siamo in 32 dentro una gabbia, con i bagni a vista. Nessun contatto con un avvocato, nessuna possibilità di parlare con un giudice. È un incubo”. Anche lui è stato poi spostato al centro ICE di Krome, ma resta in attesa di un’udienza per definire la sua posizione.

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