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Trump è pronto a riscrivere il piano di pace per l’Ucraina: come si muove l’Europa e perché queste ore sono decisive

L’ultimatum di Washington accelera la diplomazia: entro giovedì Kiev dovrà dire sì o no al piano di pace in 28 punti elaborato da Donald Trump. L’Ue prova a correggere il progetto, giudicato troppo favorevole a Mosca e rischioso per la sicurezza ucraina.
A cura di Francesca Moriero
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Le capitali europee arrivano al G20 di Johannesburg con una certezza: il tempo sta scadendo. E questa volta non è solo l'Ucraina ad avere il fiato corto. Nelle prossime ore, infatti, Kiev dovrà decidere se accettare o respingere il piano di pace in 28 punti proposto dall'amministrazione Trump, un testo che – almeno nella sua versione attuale – sembra sconvolgere sia il fronte occidentale sia la diplomazia europea. Il pacchetto conterrebbe infatti concessioni a Mosca ben più ampie di quanto il Cremlino abbia ottenuto militarmente, e fisserebbe nuovi limiti alle forze armate ucraine che per molti Paesi Ue rischiano di trasformarsi in una vulnerabilità permanente.

Un varco, però, potrebbe esserci; dallo Studio Ovale, infatti, prima di concedersi una pausa di mezza giornata, Trump ammette: "La guerra deve finire in un modo o nell’altro. La mia proposta è definitiva? No". Un segnale che l'Europa raccoglie immediatamente: se il piano è negoziabile, c'è spazio per lavorare nelle ore che precedono la scadenza.

L'Europa cerca una linea comune

A Johannesburg, i cosiddetti "Volenterosi" si riuniscono in una saletta del Nasrec Expo Center; il clima avrebbe dovuto essere dominato da discussioni su transizione ecologica e innovazione, ma l'emergenza ucraina travolge l'agenda. Giorgia Meloni siede accanto a Emmanuel Macron e al canadese Mark Carney, mentre si lavora a un documento congiunto che mette in chiaro la posizione europea sul piano Trump.

Da un lato l'Ue riconosce che il testo statunitense contiene "elementi importanti", come nuove garanzie di sicurezza americane, essenziali per una pace stabile. Dall'altro lato, Bruxelles mette dei paletti netti: il piano può essere una base di lavoro, ma solo se verrà profondamente rivisto.

La prima linea rossa riguarda la questione territoriale; per gli europei le concessioni previste per la Russia sono eccessive: "I confini non si cambiano con la forza", ribadiscono. La seconda riguarda le capacità difensive ucraine: Washington propone di limitare l'esercito di Kiev a 600mila unità, un numero che per Parigi, Roma e Berlino è assolutamente insufficiente: "Senza una deterrenza reale, i russi torneranno", ammette Macron.

Meloni prova la mediazione

La presidente del Consiglio si muove intanto tra i vari tavoli diplomatici: incontra Ursula von der Leyen, dialoga con il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa e cerca di tenere compatto il fronte Ue; da un lato sa che Kiev non accetterà mai una riduzione così drastica delle proprie difese; dall'altro intravede un'occasione: "Non si apriva una finestra diplomatica così da oltre tre anni", è questo il messaggio che porta agli alleati. L'obiettivo sarebbe duplice: restare al tavolo e convincere gli Stati Uniti a rivedere i punti più controversi.

Vertice d'urgenza in Svizzera

Oggi i negoziati si spostano a Zurigo, in una riunione definita "ristretta" ma che, nei fatti, diventa decisiva. Nasce come incontro degli E3 (Germania, Francia e Regno Unito), ma la presenza italiana, frutto del pressing della stessa Meloni e di von der Leyen, certifica il ruolo centrale che Roma vuole giocare. Attorno al tavolo ci saranno il consigliere diplomatico italiano Fabrizio Saggio, il capo della delegazione ucraina Andriy Yermak e, per gli Stati Uniti, il segretario di Stato Marco Rubio insieme all'emissario di Trump, Steve Witkoff.

È in questa sede che si affrontano i nodi più delicati della trattativa: prima di tutto la richiesta americana all'Ue di un contributo da 100 miliardi di euro per la ricostruzione ucraina, da affiancare ai fondi ricavati dagli asset russi congelati: per molte capitali europee è una cifra assolutamente fuori scala. Ma soprattutto resta sul tavolo la questione più esplosiva, e cioè il diktat territoriale che prevede la cessione alla Russia dell'intero Donbass: "Le guerre non si decidono sopra la testa dei Paesi coinvolti", avverte nel frattempo dal Sudafrica il cancelliere tedesco Merz, dando voce al senso di allarme che attraversa tutte le cancellerie.

Le garanzie di sicurezza come chiave dell'accordo

Nel comunicato diffuso a margine del G20, l'Europa insiste poi su un punto: l'unico modo per rendere accettabile un accordo così delicato è un pacchetto di garanzie di sicurezza solide, formalizzate e multilaterali. In altre parole: un impegno scritto che, in caso di una nuova aggressione russa, Kiev non resterebbe sola. E che ogni passo che riguarda Ue e Nato dovrà essere approvato dai loro membri: un messaggio sostanzialmente diretto a Trump, che non potrà decidere senza consultare gli alleati.

La corsa alle prossime 72 ore

Prima della decisione finale di Kiev sono in programma un nuovo confronto Ue-Africa in Angola e un'altra videocall dei Volenterosi; un fiume di riunioni, insomma, per verificare se c'è margine per correggere il piano e presentare a Zelensky un'alternativa meno penalizzante.

Oggi, intanto, a Zurigo un tavolo è pronto; europei, ucraini e americani si siederanno l'uno di fronte all'altro con una consapevolezza comune: il conto finale potrebbe essere salato per tutti, ma l'unica certezza è che la finestra diplomatica aperta da Trump potrebbe richiudersi in fretta.

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