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Suicidio assistito, Cappato, Maltese e Lalli si autodenunciano per aver aiutato Massimiliano a morire

I tre attivisti dell’Associazione Coscioni, Marco Cappato, Felicetta Maltese e Chiara Lalli, che hanno aiutato a morire Massimiliano Scalas accompagnandolo in Svizzera, si sono autodenunciati ai carabinieri.
A cura di Annalisa Cangemi
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Oggi Marco Cappato, Felicetta Maltese e Chiara Lalli si sono autodenunciati per l'aiuto al suicidio offerto a Massimiliano Scalas, 44enne affetto da sclerosi multipla, che è stato accompagnato in Svizzera per accedere al suicidio assistito. La notizia della sua morte è stata diffusa ieri dall'Associazione Luca Coscioni.

"Ieri mattina, poco prima di morire, Massimiliano mi ha abbracciata e mi ha chiesto scusa perché non riusciva a stringere. Durante l'abbraccio di ieri gli ho chiesto se potevamo riportarlo in Italia, se era convinto, e lui mi ha detto ‘lasciatemi andare perché non ne posso più'", ha raccontato Chiara Lalli, giornalista attivista dell'Associazione Luca Coscioni. "Era determinato, molto determinato", le ha fatto eco Maltese. Nella clinica in provincia di Zurigo accanto a Massimiliano c'era anche il padre, il signor Bruno, e le sorelle che, ha riferito ancora Maltese, "sono state vicine a lui tutto il tempo". 

L'uomo nei giorni scorsi aveva inviato un ultimo appello alla politica, chiedendo di poter essere aiutato a morire senza soffrire in Italia, a casa sua. Non poteva farlo in Italia perché non era tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale, e quindi non rientrava nei casi previsti dalla sentenza 242/2019 della Consulta sul caso Cappato/Dj Fabo per ottenere il suicidio assistito nel nostro Paese.

In Italia infatti, grazie alle azioni di disobbedienza civile di Cappato, che ha aiutato Fabiano Antoniani, e grazie alla sentenza 242 della Corte Costituzionale, che ha valore di legge, il suicidio assistito è consentito quando la persona malata che ne fa richiesta è affetta da patologia irreversibile, che causa sofferenze fisiche e psicologiche, pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli e tenuta in vista da trattamenti di sostegno vitale, e queste condizioni devono essere oggetto di verifica da parte del Servizio Sanitario Nazionale. Questi requisiti erano stati riscontrati invece nel caso di Federico Carboni, che lo scorso giugno aveva potuto andarsene con il suicidio assistito, in modo legale.

Ma la classe politica non è stata in grado di rispondere alla richiesta di aiuto lanciata da Massimiliano, che è stato quindi sostenuto e accompagnato nella sua scelta per il suo ultimo viaggio da Marco Cappato, Chiara Lalli e Felicetta Maltese.

"L'unica cosa che voglio aggiungere è questa: noi andiamo avanti, ci sono due persone con le quali abbiamo già preso l'impegno di aiutarle e 4 volontari che hanno dato la loro disponibilità", ha dichiarato oggi Cappato, tesoriere dell'Associazione Coscioni all'uscita della caserma dei carabinieri di Firenze, dove si è recato insieme alle due attiviste Chiara Lalli e Felicetta Maltese per autodenunciarsi. "Questo – ha precisato Cappato – non va equivocato come una nostra volontà di alzare una posta: questa è la realtà della società italiana: esigiamo e chiediamo, a rischio della nostra libertà, che lo Stato italiano la smetta di girarsi dall'altra parte". 

I tre rischiano ora rischiano il carcere, secondo l'avvocata Filomena Gallo, difensore di Marco Cappato e segretario dell'Associazione Luca Coscioni: "L'aiuto fornito a Massimiliano configura i reati di cui all'articolo 580", ossia "aiuto al suicidio", per il quale "si rischiano da 5 a 12 anni di reclusione".

Cappato "è intervenuto con un ruolo specifico sulle spese – ha spiegato Gallo, prensente a Firenze per l'autodenuncia dei tre attivisti – in quanto Massimiliano non poteva sopportare quelle spese. La sua famiglia gli è stata vicino". L'avvocato ha ricordato appunto che "la Corte Costituzionale con sentenza ha stabilito che non è punito l'aiuto al suicidio solo quando il malato ha determinate condizioni, che Massimiliano non possedeva completamente", poiché era "privo del trattamento di sostegno vitale". 

"Massimiliano era un malato amato, non in abbandono affettivo, non in abbandono terapeutico, con continuità di assistenza. La sua cartella clinica, che sarà fornita alla magistratura quando richiesto, evidenzia costanza nelle cure, nell'assistenza, nella necessità di indagini diagnostiche", ha aggiunto Gallo.

"Massimiliano era un uomo di 44 anni con una patologia irreversibile, nella piena capacità di autodeterminarsi, ma per lo Stato italiano poiché privo del trattamento di sostegno vitale non poteva accedere al suicidio medicalmente assistito in Italia, così come fece Federico Carboni lo scorso giugno, grazie alla sentenza della Corte Costituzionale. Essere privo di quel requisito lo ha costretto ad andare in Svizzera, così come è stato per Elena e per Romano qualche settimane fa". 

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