Sanità, sei milioni di persone rinunciano alle visite e il dl Liste d’attesa è inutile: allarme di Gimbe

Il decreto legge sulle liste d’attesa varato nel giugno 2024 "non ha ancora prodotto benefici concreti per i cittadini". Questo, in sintesi, è il risultato dell'analisi condotta dalla Fondazione Gimbe. I dati mostrano che lo scorso anno sei milioni di persone hanno rinunciato alle visite e agli esami medici, e di queste quattro milioni lo hanno fatto perché i tempi d'attesa erano troppo lunghi. Un numero più alto del 50% rispetto all'anno precedente.
Il motivo è anche che il decreto, in buona parte, non è ancora stato messo in pratica: il ministero della Salute ha pubblicato solamente tre decreti attuativi su sei previsti. Prima c'è stata una "lunga gestazione del decreto attuativo sulla piattaforma nazionale", poi il "conflitto istituzionale tra governo e Regioni sul decreto relativo ai poteri sostitutivi", riassume Gimbe. In sostanza, l'esecutivo non è riuscito a rispettare i tempi che si era prefissato. Tanto che ora un decreto attuativo è in ritardo di circa nove mesi, mentre gli altri due rimasti non avevano scadenze chiare.
Quanti italiani rinunciano alle visite mediche e perché
Nel Paese, intanto, è sempre più alto il numero di persone che rinunciano a esami e visite pur avendone bisogno. Il dato Istat sul 2024 dice che l'hanno fatto circa 5,8 milioni di persone, ovvero il 9,9% della popolazione. L'anno prima erano state 4,5 milioni di persone, e nel 2022 erano 4,1 milioni. Una grossa parte di questi cittadini rinuncia a ricevere un test o una visita proprio perché i tempi di attesa sono troppo lunghi: sono stati quattro milioni di persone. Nel 2023 erano 2,7 milioni, nel 2022 2,5 milioni. Pesano molto anche le difficoltà economiche, che hanno spinto 3,1 milioni di persone alle rinunce.
"Il fenomeno della rinuncia alle prestazioni", spiega Cartabellotta, "coinvolge l’intero Paese", anche coloro che "prima della pandemia si trovavano in una posizione di ‘vantaggio relativo', come i residenti al Nord e le persone con un livello di istruzione più elevato". E l'aumento dell'ultimo anno è stato dovuto soprattutto alle "lunghe liste d'attesa": il numero di persone che rinuncia alle visite per questo motivo è salito del 51%.
Così, il problema diventa "la capacità del Ssn di garantire le prestazioni in tempi compatibili con i bisogni di salute", oltre al "portafoglio dei cittadini". Se i tempi sono "inaccettabili", qualcuno può rivolgersi al privato; ma se i costi sono troppo alti, allora la sanità "diventa un lusso", e "la scelta obbligata diventa rinunciare".

A che punto è il decreto Liste d'attesa del governo Meloni
I decreti attuativi già pubblicati, come detto, sono tre. I primi due, adottati rispettivamente a ottobre 2024 e a febbraio 2025, riguardano la Piattaforma nazionale delle liste d'attesa. Il ministro Schillaci aveva detto che già a febbraio sarebbe stato possibile osservare i dati di tutte le Regioni, ma ad oggi non è così. Circa un mese fa, alla Camera, la presidente del Consiglio Meloni aveva detto: "La piattaforma nazionale è operativa" e "nelle Regioni dove ci sono questi strumenti calano i tempi d’attesa". Ma in realtà, spiega il presidente della Fondazione Gimbe Nino Cartabellotta, "non esiste alcun dataset pubblico che documenti una riduzione dei tempi di attesa".
Il terzo decreto è arrivato a febbraio, e riguarda il rafforzamento della sanità sul territorio. Tutti e tre i decreti attuativi approvati finora sono stati adottati con circa quattro mesi di ritardo sulla tabella di marcia prevista, e sono stati pubblicati in Gazzetta ufficiale solo ad aprile.
Dei tre decreti rimasti, invece uno è scaduto il 31 agosto dello scorso anno, ovvero più di nove mesi fa. È quello che dovrebbe regolare il modo in cui il governo può intervenire al posto delle Regioni sulle liste d'attesa, in casi particolari. Decreto che però ha incontrato forti resistenze da tutte le amministrazioni regionali, sia quelle di centrosinistra che quelle di centrodestra. Nelle ultime settimane sembra sia arrivata una distensione, ma non un'intesa definitiva.
Infine, ci sono due decreti non ancora adottati e che non hanno scadenza. Uno dovrebbe dare le linee guida nazionali per il nuovo sistema di prenotazione delle visite; l'altro, stabilire il modo per calcolare quanto personale serve nelle strutture della sanità publica. Non si sa nulla su quando potrebbero essere approvati.
Insomma, il decreto Liste d'attesa "si è impantanato tra le complessità tecnologiche" e la "prolungata tensione istituzionale tra governo e Regioni". Ora, rischia di "restare solo una promessa mancata". Il motivo è anche che lo strumento scelto dal governo Meloni, il decreto d'urgenza, era "del tutto incompatibile con la complessità del fenomeno". Non servono misure emergenziali, secondo Cartabellotta, ma "investimenti consistenti sul personale sanitario, coraggiose riforme organizzative, una completa trasformazione digitale e misure concrete per arginare la domanda inappropriata di prestazioni sanitarie".