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Salvini taglia i canoni ai balneari: sconti fino al 50% prima delle gare sulle concessioni

Un allegato tecnico al decreto Salva-infrazioni prevede forti sconti sui canoni demaniali per gli stabilimenti balneari. Mentre l’Italia si prepara alle gare europee, l’opposizione insorge: “Un favore agli amici degli amici”.
A cura di Francesca Moriero
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Un taglio netto, e non da poco. Nel pieno del confronto con l'Unione europea sulla liberalizzazione delle concessioni balneari, il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini firma quello che per molti appare come l'ultimo favore agli attuali concessionari: una riduzione dei canoni demaniali marittimi fino al 50%. Mentre da Bruxelles si chiede da anni di avviare gare pubbliche per l'assegnazione delle spiagge, l'Italia risponde, per ora, con un ribasso tariffario che anticipa la stagione estiva e agita il fronte politico interno. Non si tratta di semplici ritocchi: il decreto attuativo del cosiddetto Salva-infrazioni, pronto per il via libera dopo il passaggio al Consiglio di Stato, contiene un allegato tecnico in cui si riscrivono le tariffe che i gestori di lidi e stabilimenti dovranno pagare allo Stato. Un documento che, almeno secondo quanto trapelato, ha già ottenuto il bollino del Ministero dell'Economia.

Le nuove tariffe: sconti fino al 50%

Nel dettaglio, i canoni per le concessioni demaniali marittime scenderebbero su quasi tutte le tipologie di aree: per le zone scoperte si passerebbe da 3,3 a 2 euro al metro quadrato; per le aree attrezzate, la cifra calerebbe da 5,5 a 3,4 euro. Ancora più significativo il taglio per i tratti di litorale con maggiore valore commerciale, dove si trovano impianti permanenti o attività economiche non removibili: qui il canone sarebbe ridotto da 7,3 a 4,5 euro. A colpire c'è anche l'assenza dell'aumento del 10% inizialmente previsto nel confronto con l'Unione europea, che aveva inserito questa condizione nell'ambito del dialogo per evitare sanzioni sull'inadempienza della direttiva Bolkestein. La stessa direttiva che da anni impone all'Italia di mettere a gara le concessioni pubbliche, oggi spesso gestite in proroga automatica e a tariffe considerate fuori mercato.

Bonelli: "Regalo inaccettabile agli amici del Papeete"

La reazione dell'opposizione è stata immediata e durissima. A guidare le critiche è Angelo Bonelli, deputato di Alleanza Verdi e Sinistra, che parla apertamente di "un regalo inaccettabile" mentre il governo "chiede sacrifici agli italiani su tutti gli altri fronti". "Salvini riduce i canoni agli imprenditori balneari", accusa Bonelli, "molti dei quali hanno incassi milionari e pagano cifre bassissime. Il Twiga, per esempio, versa allo Stato 21mila euro l’anno, ma fattura oltre 10 milioni". I numeri diffusi dai gruppi parlamentari dell'opposizione confermano il divario tra valore commerciale delle concessioni e gettito effettivo per l’erario. Nel 2024, lo Stato ha incassato appena 120 milioni di euro da oltre 24mila concessioni, a fronte di 30 milioni di morosità. Con le nuove tariffe, il gettito stimato calerebbe a 74 milioni, aggravando il gap tra entrate pubbliche e valore reale del bene pubblico concesso.

Ultimo anno di proroghe: verso le gare, ma con sconti

Il provvedimento si inserisce in un quadro ormai agli sgoccioli: dopo numerose sentenze dei Tar e del Consiglio di Stato, il 2025 potrebbe essere davvero l'ultimo anno di proroghe. Alcuni Comuni hanno già avviato le procedure per indire le prime gare, sotto la pressione dell’Europa e dei tribunali amministrativi. Ma proprio mentre si annunciano bandi e riforme strutturali, il governo Meloni, tramite il decreto Salvini, decide di alleggerire il carico fiscale per i concessionari uscenti, proprio alla vigilia della competizione. Una scelta che solleva dubbi anche sul piano della concorrenza: per molti osservatori, un taglio dei canoni prima dell'assegnazione rappresenta un vantaggio indiretto per gli attuali gestori, che potranno presentarsi alle gare dopo aver goduto di sconti e margini extra.

Una strategia politica o una resa?

Per i critici, la mossa ha il sapore di una resa preventiva alla lobby balneare, potente e ben rappresentata nei territori elettoralmente strategici. Per il governo, si tratterebbe invece di un adeguamento tecnico delle tariffe, in linea con l'obiettivo di evitare infrazioni e sanzioni europee. Ma nel frattempo, il rischio concreto è che lo Stato svenda il proprio patrimonio pubblico, rinunciando a entrate certe proprio quando si chiedono nuove coperture per il welfare, la scuola e la sanità. La battaglia sulle spiagge, anche nel 2025, si gioca insomma più a Roma che in riva al mare.

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