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Salario minimo, ok alla legge delega: cosa cambia e perché le opposizioni parlano di “legge truffa”

Il Senato ha approvato il via definitiva la delega al governo sulle retribuzioni, ma senza introdurre un salario minimo legale. L’assenza di una soglia oraria vincolante ha scatenato la dura reazione delle opposizioni che parlando di “legge truffa” e denunciano il rischio di lasciare milioni di lavoratori nella povertà.
A cura di Francesca Moriero
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La discussione sul salario minimo è nata da un'idea chiara: fissare per legge una soglia di 9 euro lordi l'ora, per garantire che nessun lavoratore venga retribuito al di sotto di un livello di dignità. Era questa, almeno, la proposta iniziale presentata da un fronte unitario di opposizioni, Partito Democratico, Movimento 5 Stelle, Alleanza Verdi e Sinistra, Azione e +Europa, con l'obiettivo di dare al Paese una misura immediatamente applicabile. Durante l'iter parlamentare il testo ha però cambiato radicalmente forma; la maggioranza di centrodestra lo ha infatti riscritto trasformandolo in una delega: la nuova legge, ora, non fissa alcun valore minimo, ma chiede al governo di intervenire entro sei mesi con uno o più decreti legislativi. Questi decreti dovranno individuare, per ciascun settore, i contratti collettivi nazionali "maggiormente applicati" e stabilire che i trattamenti economici minimi in essi previsti diventino il riferimento obbligatorio. In altre parole, non ci sarà un salario minimo legale definito per tutti, ma un meccanismo che rinvia alla contrattazione collettiva la definizione della soglia minima, cioè ogni settore deciderà da sé attraverso i contratti collettivi qual è la paga più bassa da rispettare.

Perché le opposizioni parlano di "truffa" e "occasione mancata"

Di fronte a questo cambiamento, le opposizioni, comprese forze come Italia Viva, inizialmente estranee al disegno di legge, hanno votato compatte contro la versione finale. Pur con toni diversi, la critica converge su un punto: la delega non risponde alla questione centrale, quella dei salari troppo bassi. Secondo i dati citati nel dibattito, in Italia circa 3,5–4 milioni di lavoratori guadagnano meno di quanto serva a superare la soglia di povertà, e il 9% dei dipendenti a tempo pieno è in condizione di povertà assoluta. In questo contesto, le opposizioni temono che il semplice richiamo ai contratti collettivi non basti a garantire retribuzioni dignitose, soprattutto a causa della diffusione di "contratti pirata", cioè accordi firmati da sigle sindacali poco rappresentative e caratterizzati da paghe inferiori ai minimi tradizionali.

L'argomento della maggioranza

La scelta del centrodestra si fonderebbe su una linea di principio: per Fratelli d'Italia, Lega e Forza Italia, fissare per legge un salario minimo rischierebbe di indebolire la contrattazione collettiva e di appiattire le differenze tra settori. Meglio invece, sostiene la maggioranza, consolidare i contratti collettivi nazionali e garantire che siano quelli "più applicati" a fare da riferimento.

La scelta della maggioranza di affidarsi ai contratti collettivi nazionali più applicati, evitando di fissare un salario minimo legale uniforme, comporta diversi rischi concreti. Innanzitutto, in molti settori la presenza e la forza dei sindacati è debole o assente, il che rende i contratti collettivi meno efficaci nel garantire salari dignitosi ai lavoratori. Non solo, esistono i cosiddetti "contratti pirata", cioè accordi firmati da sigle sindacali minori o poco rappresentative, che spesso prevedono retribuzioni inferiori ai minimi tradizionali e riducono quindi la protezione salariale per molte categorie di lavoratori. Anche nei casi in cui i contratti collettivi siano formalmente in vigore, la loro applicazione pratica può risultare incerta o inefficace, lasciando spazio a salari bassi e condizioni di lavoro precarie. A questo si aggiunge poi la forte disomogeneità tra i vari settori economici: i livelli salariali variano molto e non sempre riflettono le reali necessità di un reddito minimo dignitoso, rischiando così di escludere i lavoratori più vulnerabili. In sintesi, senza un salario minimo legale chiaro e universale, molti lavoratori potrebbero continuare a percepire paghe insufficienti, aggravando il fenomeno del lavoro povero nel nostro Paese.

Il quadro europeo e le prospettive

Il dibattito italiano si colloca in un contesto europeo dove 22 Paesi su 27 hanno già introdotto un salario minimo legale: chi critica la nuova legge ricorda che in Paesi come la Germania la presenza di un minimo orario non ha fatto crollare la contrattazione, ma ha accompagnato una crescita dei salari.

Ora il governo ha sei mesi per varare i decreti attuativi che dovranno individuare i contratti di riferimento e definire i trattamenti minimi. Resta però la questione di fondo: senza un livello minimo fissato per legge, sarà sufficiente questo meccanismo a contrastare il fenomeno del lavoro povero? È su questa domanda che continuerà a misurarsi lo scontro politico e sindacale dei prossimi mesi.

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