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Riduzione orario nei contratti, in alcuni settori si potrebbe lavorare meno

I sindacati di alcune categorie hanno posto la questione del tempo di lavoro, proponendo in alcuni casi una riduzione anche di 24 giornate annue e contemporaneamente aumenti consistenti in busta paga.
A cura di Annalisa Cangemi
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Nei rinnovi dei contratti di categoria è spuntata una novità: la riduzione dell'orario del lavoro, richiesta avanzata dai sindacati, con diminuzioni che vanno dalle 12 alle 24 giornate annue, insieme a consistenti incrementi in busta paga.

In prima fila ci sono i sindacati del legno arredo Filca, Fillea, Feneal, che chiedono appunto una riduzione di circa 12 giorni all'anno. Anche i bancari si sono fatti avanti, chiedendo il taglio di 10 ore al mese, quasi 16 giorni all'anno, abbinati a un aumento di 435 euro in un triennio; mentre gli alimentari vogliono una riduzione del tempo di lavoro pari a 24 giorni l'anno e 300 euro di aumento, ma spalmati nell'arco di un quadriennio.

Ma quanto valgono queste proposte? Un problema non indifferente, visto che rivendicazioni di questo tipo non sono a costo zero e dunque sono poco appetibili per le imprese. Come scrive il Sole24Ore, i prossimi mesi saranno decisivi per capire se si andrà davvero "verso un nuovo equilibrio tra orario, flessibilità e salario". Nel settore delle telecomunicazioni per esempio i sindacati punterebbero a contenere la richiesta di aumento per ottenere in cambio proprio la una riduzione oraria.

Eventuali riduzioni dell'orario di lavoro incontrano il plauso dei dipendenti, ma il dibattito non contempla mai l'ipotesi di riduzione del salario. I direttori delle risorse umane sembrano favorevoli, e secondo un sondaggio di Aidp condotto tra più di mille manager, oltre la metà, il 53% si è detto aperto a discutere il tema. Anche se resta il problema della produttività, che è sempre un tasto dolente.

Conciliare tempo di vita e di lavoro con lo smart working?

La questione tempo, e soprattutto la conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro, è una delle più dibattute dai lavoratori. A questo proposito lo smart working ha reso più semplice raggiungere un maggiore equilibrio tra tempo di vita e di lavoro, soprattutto nelle medie e grandi imprese, ma solo per i cosiddetti ‘white collar', cioè chi fa un lavoro di tipo ‘intellettuale'. La pandemia però ha aperto ulteriormente la forbice tra chi lavora in ufficio e chi invece è impiegato nelle ‘linee produttive', e quindi non può lavorare da casa.

Esito del dibattito dell'ultimo triennio, sulla scia del Covid, è stata la proposta della settimana corta all'inglese che si basa sulla formula 100-80-100, ossia 100% dello stipendio, 80% del tempo di lavoro e 100% dei risultati. Il Sole24Ore ricorda però che una sperimentazione di questo modello su larga scala non è di semplice applicazione.

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