
“Non lo famo, ma lo dimo”, dicevano gli sceneggiatori di Boris, mitologica serie sul mondo delle fiction televisive, per raccontare l’espediente di far raccontare dai protagonisti un evento troppo difficile da mostrare in video.
“Non lo dimo, ma lo famo”, dice invece il governo Meloni sull’invio di mezzi, materiali ed equipaggiamenti in Ucraina, per evitare imbarazzi e rotture con la Lega. Tradotto: mandiamo mezzi militari, ma togliamo la parola “militari” dal decreto che ne sancisce l’invio.
Sembra una barzelletta, ma è la realtà di lunedì 29 dicembre 2025. E forse è uno dei momenti più grotteschi di questa legislatura, se non dell’intera Storia di questa Repubblica.
E dire che ne avevamo viste. Senza troppi sforzi di memoria, avevamo visto un ministro firmare un decreto e poi affermare candidamente di non averlo letto – segnatamente Roberto Maroni, nel 1994, all’epoca del cosiddetto decreto Biondi.
Avevamo visto la maggioranza parlamentare di centrodestra votare convinta del fatto che Karima El Mahroug, in arte Ruby Rubacuori e commensale dell’allora premier Silvio Berlusconi nelle sue cene eleganti, fosse la nipote del presidente egiziano Hosni Mubarak.
Avevamo visto i Cinque Stelle e la Lega, ai tempi del governo gialloverde, promettere il 2,4% di deficit sul prodotto interno lordo in occasione della loro prima legge di bilancio, atto simbolico contro l’austerità imposta dai burocrati di Bruxelles, salvo poi essere costretti a correggere quella cifra in 2,04%, che alla fine si pronuncia quasi uguale.
E solo in questa legislatura abbiamo visto qualcuno dire che non inviamo più armi a Israele, ma inviamo componentistica che serve a fare e riparare le armi. O qualcun altro dire che in fondo il Ponte sullo Stretto di Messina si può definire un’infrastruttura a uso promiscuo – civile e militare – per farlo rientrare nell’aumento della spesa militare promesso all’Unione Europea e a Donald Trump.
Ma come questa davvero non ce n’è. Perché – capolavoro! – la parola “militari” era stata tolta solo dal titolo, ma a quanto si sa, era rimasta nel testo del decreto. Perché alla fine, dopo il giubilo del leghista Claudio Borghi – “così si fa politica”, ha commentato tronfio – l’aggettivo “militari” è tornato pure nel titolo. E anche perché, ovviamente, che ci sia o no quella parola, quello è un decreto che dispone l’invio di aiuti militari all’Ucraina, con buona pace della Lega.
Che senso abbia tutto questo, facciamo fatica a comprenderlo. Ma in fondo questa è l’Italia, e questo è il 29 dicembre del 2025. Ed è una coincidenza di date e luoghi che, se non spiega, più o meno giustifica tutto.