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Covid 19

Posti letto a comparsa e terapie intensive senza personale: così le Regioni evitano la zona gialla

Mentre si continua a discutere sull’applicazione del green pass, stiamo assistendo a un giornaliero balletto dei numeri comunicati da alcune regioni in merito ai posti letto in area medica e in terapia intensiva. L’obiettivo è uno e uno solo: trovare un modo per aggirare le regole per passare da zona bianca a zona gialla.
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Ci sono pochi dubbi sul fatto che la questione green pass sia stata gestita male fin dall'inizio dalle istituzioni sanitarie e soprattutto dal Governo, che hano caricato di aspettativa l'introduzione di uno strumento che può funzionare solo come parte di un sistema di gestione e contenimento, non come panacea di ogni male e men che meno come garanzia per il ritorno alla normalità. Il dibattito di questi giorni, oltre ad aver enfatizzato la consistenza del dissenso radicale (i "no-vax duri e puri" sono poche decine di migliaia e la risposta degli italiani alla campagna vaccinale è stata eccellente, come testimoniano anche i dati sull'adesione dei giovanissimi), ha risentito molto di questa impostazione e ha radicalizzato le posizioni su un tema molto delicato, che in realtà riguarda la salute pubblica e lo Stato di diritto, o meglio il modo in cui gli strumenti della democrazia ci consentono di aver cura della comunità senza cedere di un millimetro sul piano delle garanzie costituzionali.

Il vero problema è che la confusione sul green pass riflette l'impreparazione delle autorità (e dei cittadini) all'arrivo inevitabile di una nuova ondata, anticipato ancora una volta dalle notizie che arrivano da Israele, dagli USA e in parte da Francia e Germania. Possiamo discutere delle modalità di applicazione del green pass sui luoghi di lavoro, in particolare nei settori scuola e trasporti pubblici, ma dobbiamo tenere presente che la dominanza della variante Delta sta aprendo un nuovo ordine di problemi, in grado di sovvertire completamente calcoli e ragionamenti. Il rischio è di arrivare nuovamente impreparati, per giunta con strumenti che hanno già mostrato la loro inadeguatezza (l'incapacità di tracciare e isolare, ad esempio) o che abbiamo svuotato di senso e valore in preda all'euforia estiva, come il sistema a "colori".

Come noto, infatti, alla fine di luglio con il decreto n.105 il governo ha cambiato i parametri per determinare il “colore” delle Regioni. Per restare in zona bianca è necessario che l’incidenza settimanale si mantenga sotto i 50 casi per 100mila abitanti oppure che si verifichi una soltanto delle seguenti condizioni: o il tasso di occupazione dei posti letto in area medica per pazienti affetti da COVID-19 è uguale o inferiore  al  15  per cento, oppure il tasso di occupazione dei  posti  letto in terapia intensiva per pazienti affetti da COVID-19 è uguale o inferiore al 10 per cento di quelli comunicati alla Cabina di regia del ministero della Salute. In altre parole, l’indicatore principale (anche per i passaggi da arancione a rossa) diventa la resilienza del sistema sanitario regionale. Con una simile modifica le Regioni speravano di evitare chiusure e restrizioni, sottovalutando però la relazione causale fra crescita dei contagi, ricoveri e ingressi in terapia intensiva che resta strettissima, al netto degli effetti della vaccinazione.

E infatti non è passato molto tempo prima che i dati sui ricoveri in area medica e sugli ingressi in terapia intensiva cominciassero a salire e portare molte regioni a un passo dalla soglia limite per il cambio di colore.

Un solo obiettivo: non lasciare la zona bianca

Cominciamo col dire che Sicilia molto presto e a breve Sardegna e Calabria finiranno in zona gialla, non c’è alcuna possibilità che le cose vadano diversamente. Un epilogo determinato non solo dall’aumento dei casi, ma anche dalla ridotta capacità delle strutture sanitarie e, non in subordine, dal fatto che si tratta di regioni indietro nella campagna vaccinale. In queste settimane, però, il cruccio delle istituzioni locali è stato quello di rimandare il più possibile la data dell’ingresso in zona gialla, più che altro per evitare contraccolpi “psicologici” sulla stagione turistica (le differenze tra gialla e bianca al momento sono minime e si riducono all’utilizzo obbligatorio della mascherina all’aperto e al numero di commensali non conviventi ai tavoli di un locale). E come si fa a ritardare il passaggio di zona? Beh, in teoria non si può. O meglio, si potrebbero mettere in piedi dei meccanismi di controllo dei contagi, di tracciamento e isolamento dei casi in modo da tenere bassa l'incidenza; oppure agire sulla dotazione di posti letto e personale nei reparti sanitari. Ma parliamo di misure che richiedono tempo, risorse e, appunto, restrizioni alla mobilità e alla socialità.

Prendiamo il caso della Sicilia, da settimane sulla soglia della zona gialla. Qualche mese fa un'inchiesta mise in evidenza come i resoconti sul numero dei positivi, degli ospedalizzati e dei deceduti fossero gravemente imprecisi; gli inquirenti ipotizzarono vi fosse una specie di regia, con l'obiettivo di speculare sui dati e i resoconti delle Asl, in modo da influenzare proprio i meccanismi di apertura e chiusura. Una gestione frutto certamente di inadeguatezza e impreparazione, ma anche di un meccanismo concettualmente problematico. Perché nel momento in cui fissi delle soglie rigide oltre le quali scattano restrizioni e chiusure, esse diventano inevitabilmente dei target; quando agire sul numeratore (i casi e i ricoveri) costa troppa fatica o è oggettivamente complesso, allora diventa forte la tentazione di modificare il denominatore (posti letto in area medica e in terapia intensiva).

Una problematica che il governo peraltro conosce bene, tanto che, nel decreto con il quale venivano cambiate le regole per i cambi di colore, si chiedeva alle Regioni di comunicare entro 5 giorni quali fossero i posti letto in area medica e terapia intensiva disponibili e attivabili, ma soprattutto si specificava che, in caso di aggiornamento, eventuali “posti letto aggiuntivi” non avrebbero dovuto incidere su quelli già  esistenti e destinati ad altre attività. Un modo per chiedere alle Regioni non solo trasparenza, ma anche responsabilità nel non impoverire la capacità di cura degli ospedali per le altre esigenze e patologie dei pazienti.

Le cronache di questi giorni evidenziano come il progetto sia fallito, non tanto e non solo perché nessuno si è preoccupato di mettere in piedi un sistema chiaro e trasparente di rendicontazione pubblica (i dati sui posti letto e TI diffusi da Agenas sono gli stessi del decreto di luglio? Perché cambiano giornalmente le comunicazioni delle Regioni? Come sono giustificate le “attivazioni” di nuovi posti letto?), ma soprattutto perché alcune Regioni stanno mettendo in campo delle strategie particolari, volte proprio a evitare che il raggiungimento delle soglie per il cambio di colore. La circolare con cui la Regione Sicilia invita a dimettere i pazienti non gravi, in modo da liberare posti letto disponibili, è solo un esempio di una prassi che altre Regioni stanno seguendo da settimane (certo in conformità con le indicazioni di legge).

Il problema delle terapie intensive

Giocare coi numeri, oltre a essere del tutto inutile in caso di rapido aumento dei casi, è pericoloso soprattutto perché restituisce un’idea di solidità del sistema sanitario del tutto campata in aria. Attivare un posto in area medica non è come premere un interruttore, ma vuole dire nella migliore delle ipotesi mobilitare personale e attrezzare una struttura, nella peggiore dimettere pazienti o ridurre la capacità di cura per le altre patologie. Peggio ancora per quel che concerne la questione delle terapie intensive. Attivare un posto in terapia intensiva comporta la presenza di personale qualificato e di risorse adeguate, questione già sollevata tempo addietro dall’Anaao-Assomed: “Non basta avere un letto con le sponde e un ventilatore per fare un posto di terapia intensiva, ma è necessario un background che ne permetta un buon funzionamento, dagli spazi alla strumentazione elettronica, all’organizzazione, al personale medico, infermieristico e ausiliario”.

L’elemento che preoccupa maggiormente è quello relativo al personale, dal momento che rischiano di venire allo scoperto tutte le contraddizioni del rapido processo di adeguamento della resilienza del sistema sanitario impostato dal governo Conte per far fronte alla pandemia. All’aumento dei posti di terapia intensiva disposto principalmente dal decreto Rilancio non è seguito un corrispettivo rafforzamento del personale specializzato, non tanto per ragioni economiche quanto strutturali: in Italia, semplicemente, non c’è una “platea” di anestesisti e rianimatori cui attingere e in alcune regioni si faceva fatica anche a garantire l’ordinario in epoca pre Covid.

Negli ultimi giorni, mentre alcune Regioni hanno lasciato giustamente inalterato il numero dei posti in terapia intensiva, altre hanno comunicato giornalmente al ministero della Salute numeri sempre diversi. La Sicilia il 17 dichiarava 762 posti in terapia intensiva e 196 attivabili; due giorni prima i posti in TI erano 754, mentre gli attivabili sempre 196. Ma simili oscillazioni (che sono ancora più ampie per i posti letto) possono essere riscontrate anche per altre Regioni italiane, come mostrano i dati recuperati dall’associazione Ondata (che in pratica fa ciò che dovremmo attenderci dalle istituzioni).

Ricapitolando, dunque, abbiamo una situazione che definire confusa appare riduttivo: i cambi di colore sono determinati da un decreto che individua delle soglie, ma il cui raggiungimento dipende da numeri comunicati dalle Regioni che difficilmente possono essere controllati e verificati (il caso Campania, quello del Veneto eccetera); la Cabina di Regia dovrebbe considerare i numeri di posti letto e terapie intensive comunicati dopo il decreto di luglio ed eventualmente aggiornati solo su base mensile (non quelli comunicati giornalmente ad Agenas) ma non sappiamo se sia effettivamente così. Nel frattempo, alcune Regioni danno letteralmente i numeri, giocando col denominatore in modo da ritardare l'arrivo della zona gialla, che in teoria dovrebbe servire non a punire i cittadini di una regione, ma a proteggerli dalle ripercussioni dell'aumento del contagio, preservando la stabilità delle strutture sanitarie.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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