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Manovra 2024

Perché sulla sanità la manovra del governo Meloni è insufficiente e inadeguata, secondo Gimbe

La legge di bilancio del governo Meloni ha stanziato circa 3 miliardi di euro per la sanità. È un punto su cui le opposizioni e le associazioni di categoria hanno criticato molto l’esecutivo, che si è difeso dicendo che si tratta di una cifra record. La fondazione Gimbe ha fatto un quadro delle misure e degli effetti che potrebbero avere, e il giudizio è decisamente negativo.
A cura di Luca Pons
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La legge di bilancio del governo Meloni lascia moltissime incertezze per quanto riguarda la sanità, e anche dove decide di intervenire non lo fa in modo risolutivo, ma solo tamponando "in maniera insufficiente e inadeguata" le emergenze e continuando a finanziare sempre di più il settore privato. Lo indica un rapporto della fondazione Gimbe che ha analizzato le cifre reali della manovra e i suoi possibili effetti concreti. Dai fondi stanziati per la sanità, al rinnovo dei contratti del personale, fino all'abbattimento delle liste d'attesa.

Quanti soldi ci sono per la sanità pubblica

Il primo punto, il più generale e anche dibattuto, è quello sui fondi alla sanità: il governo ne ha messi tanti o pochi? Giorgia Meloni ha rivendicato che si arriverà alla cifra "mai vista" di 136 miliardi di euro, mentre le opposizioni hanno attaccato dicendo che il rapporto con il Pil calerà parecchio. Entrambe le cose sono vere, come ha spiegato il presidente della fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta: "In termini assoluti gli incrementi del Fondo sanitario nazionale rappresentano senza dubbio un’importante iniezione di risorse per la sanità pubblica". Si parla di tre miliardi per il 2024, quattro miliardi per il 2025 e 4,2 miliardi per il 2026.

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Tuttavia, mettendo da parte i soldi che servono per il rinnovo dei contratti pubblici restano dei fondi "insufficienti" sia per raggiungere gli obiettivi che la manovra si fissa, sia per gestire il continuo aumento dei prezzi dei materiali sanitari. Insomma, "non si intravede per la sanità pubblica alcun progressivo rilancio del finanziamento pubblico", perché gli aumenti "sono talmente esigui che non riusciranno nemmeno a compensare l’inflazione, né l’aumento dei prezzi di beni e servizi". E per quanto riguarda il rapporto tra spesa e Pil, ci sarà un vero e proprio "crollo".

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Così, si torna sui livelli di finanziamento che "negli ultimi quindici anni hanno contribuito a disgregare i princìpi di universalismo, uguaglianza ed equità, erodendo il diritto costituzionale alla tutela della salute. In altre parole, dalla manovra "non emerge alcun potenziamento strutturale del Ssn, ma solo il tentativo di risolvere, peraltro in maniera insufficiente e inadeguata, le criticità contingenti".

Rinnovo dei contratti e riforma delle pensioni

C'è poi l'altra questione che ha fatto molto discutere, cioè il rinnovo dei contratti collettivi del personale sanitario. Ci sono 2,4 miliardo di euro, ma non si conosce "la distribuzione delle risorse". Cioè, non si sa quanti soldi andranno a chi tra dirigenti medici, infermieri, pediatri di libera scelta, medici di medicina generale eccetera. In generale, rinnovare i contratti è "indispensabile", ma è una soluzione che "a breve termine è insufficiente per risolvere la grave carenza di personale sanitario, in particolare di quello infermieristico". Le nuove assunzioni partiranno, con pochi fondi, solo dal 2025 e senza abolire il tetto di spesa.

A una situazione in cui manca il personale si aggiunge poi la riforma delle pensioni, che per i medici è stata la "goccia che ha fatto traboccare il vaso" (come detto dal sindacato Anaao-Assomed a Fanpage.it) e ha portato allo sciopero. Questa, tagliando gli assegni di chi lascerà il lavoro a partire dal 2024, secondo Gimbe rischia di portare molti a "chiedere il pensionamento anticipato per non incappare nella tagliola, provocando un’emorragia di medici e infermieri che metterebbe definitivamente in ginocchio il Ssn". Il governo Meloni, infatti, ha già annunciato che prevede di intervenire in qualche modo.

Perché le misure per tagliare le liste d'attesa non bastano

Il terzo capitolo principale della legge di bilancio sulla sanità riguarda il taglio delle liste d'attesa. Questo è l'obiettivo dichiarato del governo Meloni, ma il modo in cui tenta di raggiungerlo secondo la fondazione è sbagliato. Si parte permettendo alle Regioni di usare più soldi (fino a 500 milioni di euro) per una serie di misure: tra queste c'è un aumento della tariffa oraria per gli straordinari di medici e infermieri, ma anche un incremento della spesa per pagare i privati che lavorano nel pubblico.

Quest'ultimo intervento, più che a ridurre le liste d'attesa sembra soprattutto avere lo scopo di "sostenere le strutture private accreditate già esistenti". Anche perché il finanziamento rivolto a queste strutture aumenterà fino al 2026 e poi resterà fisso, diventando strutturale. Così, dal 2026 una Regione come la Lombardia potrà spendere più di 3,3 miliardi di euro per il settore sanitario privato accreditato a lavorare nel pubblico. Il Lazio 1,7 miliardi, la Campania 1,4 miliardi, la Sicilia 1,2 miliardi e da lì a scendere. In quanto a spesa media per cittadino, il Molise salirà a 369 euro a persona, seguito da Lombardia (335 euro) e Lazio (305 euro).

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Insomma, le misure per per abbattere le liste d'attesa "appaiono insufficienti". Sia perché nessun intervento cerca di ridurre le prescrizioni mediche inappropriate, sia perché tutti gli eventuali miglioramenti delle prestazioni del servizio sanitario vengono "scaricate sul tempo dei professionisti". Cioè, si chiede semplicemente di lavorare di più a medici e infermieri per coprire i buchi, senza chiuderli davvero.

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