7.583 CONDIVISIONI

Perché Matteo Salvini e Steve Bannon hanno dichiarato guerra a Papa Francesco

Tutti schierati contro Papa Francesco, contro le sue idee in tema di immigrazione, il suo impegno contro i cambiamenti climatici, le sue aperture verso gli omosessuali: è questo il tema al centro dell’inchiesta giornalistica condotta da SourceMaterial e pubblicata in esclusiva per l’Italia da Fanpage.it.
A cura di Stefano Vergine
7.583 CONDIVISIONI
Immagine

La guerra interna al Vaticano. L'alleanza fra Steve Bannon, Matteo Salvini, il cardinale Raymond Burke, diversi personaggi della destra internazionale e alcuni russi molto vicini a Vladimir Putin. Tutti schierati contro Papa Francesco, contro le sue idee in tema di immigrazione, il suo impegno contro i cambiamenti climatici, le sue aperture verso gli omosessuali. È questo il tema al centro dell'inchiesta giornalistica internazionale realizzata da SourceMaterial e pubblicata in esclusiva per l'Italia da Fanpage.it. Per capire com'è nata l'alleanza globale contro Jorge Mario Bergoglio bisogna partire dalla primavera del 2016. Il 25 aprile, poco dopo Pasqua, il leader della Lega Matteo Salvini è negli Stati Uniti per conoscere Donald Trump. Della comitiva fanno parte l'attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti; il sottosegretario agli Esteri, Guglielmo Picchi; l'imprenditore italo-americano Amato Berardi, già deputato del Pdl per la circoscrizione estero.

Verso Wilkes Barre dove incontreremo @realdonaldtrump

A post shared by Guglielmo Picchi (@guglielmopicchi) on

Salvini si fa fotografare con Trump alla Mohegan Sun Arena di Wilkes-Barre, Pennsylvania. È la cittadina alla periferia di Filadelfia dove in quei giorni si sta tenendo un evento della campagna elettorale dei repubblicani. Quella foto scatenerà parecchie polemiche: i leghisti la esibiranno come prova del sostegno di Trump a Salvini; lo stesso Trump qualche tempo dopo affermerà di non sapere chi fosse allora quell'italiano interessato a farsi immortalare con lui. Come rivelato ne "Il Libro Nero della Lega" (Laterza), ad avere ragione era l'attuale inquilino della Casa Bianca. Secondo Leonardo Zangani, imprenditore italo-americano presente il 25 aprile alla Mohegan Sun Arena, «quella era una photo opportunity….paga 50 dollari e fatti una fotografia con Trump». Insomma, Salvini si sarebbe imbucato al comizio dei repubblicani e avrebbe pagato per farsi immortalare con l'astro nascente della destra statunitense.

Immagine

Ciò che conta, tuttavia, è quello che succede nei giorni seguenti. Nelle 48 ore successive Salvini e i suoi accompagnatori si spostano a Washington DC. Dove l'attuale vicepremier, all'interno del Campidoglio, incontra per la prima volta riservatamente Bannon. Già capo del sito d'informazione di estrema destra Breitbart, Bannon all'epoca è il direttore esecutivo della campagna elettorale di Trump, mentre oggi – dopo essere stato ufficialmente scaricato dal presidente Usa – si presenta come l'animatore nero dell'internazionale sovranista, il trait d'union tra i vari movimenti nazionalisti sparsi in giro per il mondo. Buona parte di quella conversazione fra Bannon e Salvini resta ancora oggi un mistero, ma c'è un aspetto inedito che possiamo rivelare. Secondo una fonte interna alla Lega a conoscenza degli eventi di quei giorni – che ha scelto di parlare con SourceMaterial a condizione di rimanere anonima – da quell'incontro Salvini è uscito con un consiglio fondamentale: iniziare ad attaccare Papa Francesco.

"A quanto pare Steve Bannon non sceglie obiettivi piccoli. Ha contribuito a far diventare Trump presidente e ora vuole minare la leadership del Papa", ci ha detto John Carr, ex capo politico della Conferenza dei vescovi cattolici negli Stati Uniti. Tornato in Italia da Washington, Salvini non ci ha messo molto a mettere in pratica i consigli di Bannon. "Il Papa dice che i migranti non sono un pericolo. Mah!", ha twittato il 28 maggio 2016.

A settembre, durante il tradizionale raduno di Pontida, il leader leghista è andato oltre. Si è fatto fotografare con in mano la maglietta “Il mio Papa è Benedetto”. Lo slogan ricalca quello usato da Trump per attaccare l'allora presidente Barack Obama. E ne riprende il messaggio di fondo, spostando però l'obiettivo su Bergoglio: le irregolarità nel conclave che ha eletto Francesco rendono illegittimo il suo papato, per questo il suo predecessore, Benedetto XVI, residente a Roma da quando è andato in pensione nel 2013, rimane il vero pontefice.

Per gli esperti che studiano il fenomeno Trump, le analogie comunicative non finiscono qui. Secondo un'analisi condotta per SourceMaterial dall'Institute of Strategic Dialogue, un'organizzazione internazionale che lavora per contrastare l'estremismo di destra, ci sono parecchi account Twitter considerati probabili bot, cioè profili finti che ai tempi della campagna elettorale americana producevano in continuazione messaggi pro-Trump e ora, nell'ultimo anno, si sono invece concentrati sugli attacchi a Papa Francesco.

Le differenze tra Francesco e Benedetto XVI sono lampanti, a partire dall'aspetto esteriore. Mentre il tedesco prediligeva abiti e oggetti sfarzosi, l'argentino ha voluto fin dal primo giorno del suo pontificato presentarsi in pubblico con una semplice veste bianca. Più che l'abbigliamento, però, sono state le idee ad attirare su Francesco le critiche dell'ala più conservatrice del cattolicesimo. Cinque mesi dopo l'inizio del suo pontificato, Bergoglio ha infatti scelto di recitare la messa a Lampedusa, per commemorare le migliaia di migranti annegati nel Mediterraneo. Tre settimane più tardi, durante un volo di ritorno dal Brasile, ha di fatto aperto le porte della Chiesa agli omosessuali con la frase "Chi sono io per giudicare?". Poi è arrivata Laudato Si', l'enciclica del 2015 in cui auspicava una "azione globale, rapida e unitaria" per combattere i cambiamenti climatici. Insomma, in pochi mesi Papa Francesco si è fatto parecchi nemici: dalle lobby dell'energia fossile ai tradizionalisti cattolici. Ed è proprio in questo contesto che si è inserito Bannon, coinvolgendo nella guerra contro Bergoglio la destra politica internazionale, a partire dalla Lega di Salvini.

Torniamo dunque alla metà del 2016, dopo l'incontro riservato a Washington. Mentre il leader leghista inizia a scagliarsi apertamente contro il Papa sui social, Bannon comincia a costruire la sua rete anti Francesco a Roma. A gennaio 2017 diventa ufficialmente un sostenitore (patron) dell'Istituto Dignitatis Humanae, un think tank il cui obiettivo è "promuovere la dignità umana basata sulla verità antropologica che l’uomo è nato ad immagine e somiglianza di Dio". L'Istituto gestisce oggi la certosa di Trisulti, scelta da Bannon come sede della sua scuola politica sovranista e finita al centro delle polemiche perché sospettata di essere stata assegnata irregolarmente all'Istituto della destra cattolica.

Arroccato sulle colline a circa un'ora da Roma, il pensatoio ospita alcuni dei nemici più implacabili di Francesco. Primo fra tutti è il presidente onorario dell'Istituto, il cardinale Burke, un porporato statunitense ultra-conservatore, secondo cui "reti organizzate" di gay stanno diffondendo una "agenda omosessuale" all'interno del Vaticano. Burke ha fatto qualcosa di decisamente insolito per un personaggio del suo calibro: ha accusato il Papa di eresia, dopo che Francesco aveva aperto alla possibilità di concedere l'eucarestia ai divorziati risposati, nell'esortazione apostolica Amoris laetitia.

Presiedente del comitato direttivo dell'Istituto Dignitatis Humanae è Luca Volontè, ex parlamentare dell’Udc, rappresentante italiano presso il Consiglio d’Europa fino al 2013, membro storico di Comunione e Liberazione, sotto processo a Milano per corruzione dopo aver intascato circa due milioni di euro per fare lobbying in Europa a favore del regime dell’Azerbaijan. Soldi provenienti da Baku, ma anche dalla Russia. Coincidenza: tra i partner dell’Istituto Dignitatis Humanae c’è ancora oggi Novae Terrae, la fondazione di Volontè. La stessa che, secondo gli atti dell’indagine condotta dai pm milanesi Adriano Scudieri ed Elio Ramondini, è stata usata per incassare buona parte di quei denari. La fondazione di Volontè ha girato il denaro russo e azero a varie persone e associazioni anti-gay, anti-aborto e anti-divorzio in Europa negli ultimi anni. Come ha raccontato L'Espresso, la lista dei beneficiari è lunghissima. Ma alcuni nomi portano proprio al gruppo di persone che più si sta schierando contro Papa Francesco. Tra i beneficiari c’è ad esempio Benjamin Harnwell, fondatore e anima dell'Istituto Dignitatis Humanae. Nella lista troviamo poi Antonio Brandi, leader di ProVita, onlus cattolica molto vicina alla famiglia di Roberto Fiore, il leader di Forza Nuova condannato in Cassazione negli anni Ottanta per associazione terroristica e banda armata.

A ricevere i misteriosi denari di Volontè c'è anche Edward Pentin, corrispondente da Roma del quotidiano statunitense National Catholic Register, una delle testate cattoliche più critiche verso Bergoglio. Pentin, che è anche consulente per la comunicazione dell'Istituto Dignitatis Humanae, di recente ha firmato uno scoop giornalistico mondiale. È stato infatti tra i primi, nell'agosto del 2018, a pubblicare la lettera con cui l'arcivescovo Carlo Maria Viganò, ex nunzio apostolico negli Stati Uniti, attaccava Francesco accusandolo di voler mettere a tacere gli abusi sessuali perpetrati da Theodore McCarrick, il cardinale americano costretto nel febbraio di quest'anno alle dimissioni dallo stato clericale perché sospettato di aver commesso svariati abusi su minorenni. La pedofilia in realtà perseguita da tempo il Vaticano. Le polemiche pubbliche sono iniziate nel 2003, quando un'inchiesta del Boston Globe ha portato a galla una quantità enorme di abusi su minori perpetrati da sacerdoti americani. Anche le accuse a McCarrick risalgono a molto tempo prima del papato di Francesco, così come quelle nei confronti di George Pell, il cardinale australiano condannato nel marzo scorso a sei anni per abusi sessuali su minorenni.

Bergoglio ha aspettato fino all'ultimo per scaricare Pell, scelto proprio da lui nel 2014 come Capo della Segreteria per l’Economia del Vaticano. E anche per questo ritardo sono stati proprio gli scandali sulla pedofilia a diventare lo strumento di critica principale verso Francesco. Per persone come l'ex nunzio Viganò, la crisi degli abusi sessuali all'interno della Chiesa ha una sola causa: la tolleranza verso l'omosessualità. Negli ultimi giorni è stato addirittura Benedetto XVI ad affermare qualcosa di simile: in una lettera pubblicata l'11 aprile su alcune testate cattoliche conservatrici, ha spiegato che secondo lui la pedofilia nella Chiesa ha avuto origine con la rivoluzione sessuale del ʼ68. Ad alcuni sembrerà strano, ma tra i cattolici sono in molti a credere che la Chiesa oggi sia fortemente influenzata da una lobby gay. I sostenitori della teoria la chiamano "mafia alla lavanda". "Ci sono cardinali omosessuali o comunque vicini alle istanze dei gay che stanno avendo molto successo oggi", ci ha detto ad esempio Michael Voris, che gestisce il sito web anti-Francesco Church Militant, e ha chiesto apertamente al Papa di dimettersi. "L'idea che ci sia una mafia gay che sta prendendo in consegna la Chiesa non ha alcun senso: stanno usando queste persone come capri espiatori", sostiene invece Jim Martin, portavoce del Vaticano.

Nonostante le rassicurazioni della Santa Sede, la teoria della "mafia alla lavanda" sta prendendo piede soprattutto nell'estrema destra. Alla fine dello scorso anno Milo Yiannopoulos, un ex fedelissimo di Bannon al sito Breitbart, ha pubblicato un libro proprio sul fenomeno della "Mafia alla lavanda": s'intitola Diabolical e sostiene che la lobby gay abbia preso il controllo della Chiesa sotto Francesco, per questo invita a Trump a rimettere in sesto il Vaticano ("make the Vatican straight again”). Tra i personaggi di spicco dell'Istituto Dignitatis Humanae i pensieri non sembrano molto diversi. "La piaga dell'agenda omosessuale è stata diffusa all'interno della Chiesa", ha scritto a febbraio in una lettera il cardinale Burke insieme a un altro porporato associato all'Istituto, il cardinale Walter Brandmueller. Leggendo gli altri nomi del comitato dei garanti dell'Istituto Dignitatis Humanae si comprende la dimensione politica e internazionale del progetto. C'è ad esempio Christian Sweeting, anni fa candidatosi al Parlamento britannico con il Partito conservatore.

È però nel cosiddetto "comitato sulla dignità umana" che si ritrova mezza Europa. O almeno si ritrovava, perché da quando l'Istituto è finito al centro delle cronache di mezzo mondo, i nomi di alcuni esponenti politici sono scomparsi dal sito internet. È rimasto solo quello di Nirj Deva, britannico, membro al Parlamento europeo del gruppo dei Conservatori e Riformisti. Fino a pochi mesi al suo fianco c'erano però parecchi altri colleghi. C'era l’olandese Bas Belder, anche lui europarlamentare del gruppo dei Conservatori e Riformisti; il lituano Mantas Adomėnas, dal 2017 vicepresidente dell’Unione Patriottica, partito cattolico e nazionalista; Mircea Lubanovici, eletto negli Stati Uniti come membro del Parlamento romeno per il Pnl, partito di destra che fa parte dei popolari europei; Endre Spaller, deputato di Fidesz, che governa in Ungheria sotto la guida di Viktor Orbán e aderisce – anche lui – al Partito Popolare Europeo. L’organizzazione cattolica tiene dunque insieme pezzi diversi delle forze conservatrici europee, dai vecchi democristiani ai nuovi sovranisti. Tutti accomunati da una visione molto negativa del papato di Bergoglio. Tra gli amministratori dell'Istituto c'è infatti Austin Ruse, americano, ex collaboratore di Breitbart e tra i critici più ferventi dell'attuale Papa. Ruse, che per primo ha introdotto Bannon a Harnwell, gestisce C-FAM, un gruppo anti-aborto il cui fondatore era incline a discorsi antisemiti. È inoltre un sostenitore del Congresso mondiale delle famiglie, l'evento andato in scena poche settimane fa a Verona, raduno che unisce forze di estrema destra e gruppi cristiani anti-gay sostenuti tra gli altri da Konstantin Malofeev, un oligarca russo vicino al presidente Vladimir Putin. "Austin è uno di quelli che ha preso le istanze pro-vita e le ha connesse ad un'agenda conservatrice molto più ampia. È un alleato di chi sta provando a minare papa Francesco", ci ha detto Carr, secondo cui esistono "persone che stanno usando la crisi degli abusi sessuali per raggiungere i propri obiettivi ideologici ed economici".

Tra questi ci sarebbe ovviamente proprio Bannon. Sull'incontro riservato avvenuto nell'aprile del 2016 con Salvini, l'ex direttore della campagna elettorale di Trump non ci ha risposto. Su Papa Francesco, invece, la sua posizione ufficiale è piuttosto sfumata. "Per quanto riguarda il Papa, non ho davvero problemi: è il vicario di Cristo sulla terra", ha dichiarato in un'intervista registrata a Roma da SourceMaterial e dalla tv americana NBC. Bannon distingue però attentamente tra Francesco leader spirituale e Francesco leader politico. E su quest'ultimo il suo parere è tutt'altro che lusinghiero. "È deplorevole", ha detto di lui nel dicembre del 2018. Una guerra dichiarata al capo della Chiesa cattolica, che l'ex consigliere di Trump ha scelto di combattere su scala globale, con alleati in Vaticano, negli Usa e in tutta Europa. Compresa l'Italia, dove può contare sul politico più popolare del momento: Salvini.

7.583 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views