
Per chi si diploma quest’anno la maturità è ormai agli sgoccioli. Lasciati alle spalle gli scritti, gli studenti stanno affrontando forse il momento più temuto di tutti, vissuto quasi come una resa dei conti finale: l’esame orale. Sui casi dei due studenti – un ragazzo e una ragazza, di due scuole diverse – che hanno deciso di fare scena muta per protestare contro l’attuale sistema di valutazione è scoppiata la polemica. Al punto da scomodare il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, che ieri ha annunciato provvedimenti contro queste forme di “boicottaggio”. Il concetto di fondo è che “chi si rifiuterà di rispondere verrà bocciato”. Ma su come sarà possibile distinguere tra studenti ribelli e quelli semplicemente ‘impreparati’ e quindi, applicare in concreto questa misura, beh.. ci sono un po’ di perplessità.
L’esame di maturità è uno di quegli argomenti che, indipendentemente da quanti anni sono passati da quando lo si ha sostenuto, genera un grande interesse. Probabilmente perché è una sorta di rito di passaggio, uno di quei momenti della vita che difficilmente si dimenticano, anche quando magari non lo si è vissuti con chissà quale carico di ansia e timori (non è il caso di chi scrive). Ma è anche un momento di cui ciclicamente si torna a parlare nel dibattito pubblico perché un po’ il simbolo del sistema di valutazione su cui si basa la scuola italiana e che spesso viene criticato dagli studenti.
È il caso di due alunni di due istituti diversi che, arrivati all’orale con il minimo sufficiente per poter essere promossi, hanno deciso di non rispondere alle domande della commissione perché in disaccordo con le modalità con cui vengono valutate le competenze degli studenti. E a questi, è notizia di oggi, si aggiungerebbe anche un terzo episodio simile, avvenuto in un liceo classico a Treviso. Sia Maddalena Bianchi del liceo scientifico di Belluno, che Gianmaria Favaretto, del liceo Fermi di Padova, si sono presentati all’orale ma si sono rifiutati di sostenerlo, condividendo più o meno le stesse ragioni: il sistema di valutazione non va bene, si dà troppo peso ai voti e poco all’individuo, aumentando lo stress e la competizione tra i ragazzi.
Valditara è intervenuto per annunciare che probabilmente già dal prossimo anno comportamenti come questi verranno puniti, con la bocciatura. E proprio a Fanpage.it il ministro ha spiegato qualcosa in più di come intende cambiare l’esame di Stato, che tornerà a chiamarsi ‘maturità’. Chi non sarà collaborativo e non risponderà alle domande dei docenti come atto di sfida – ci ha detto – dovrà ripetere l’anno. Non cambierà quindi il peso delle tre prove (che rimarrà di 20 punti per ciascuna) e neppure il calcolo dei crediti accumulati nei tre anni, che possono arrivare fino a un massimo di 40. Semplicemente, chi si rifiuterà di fare l’orale non passerà la maturità. Finora il ministro si è limitato a degli annunci, ha detto di star studiando una norma ad hoc, ma applicarla sembra tutt’altro che semplice.
I problemi sono diversi, sia nel metodo che nel merito. In primo luogo, come si capirà che uno studente sta facendo scena muta per protesta o perché non conosce la risposta? Per il ministro la differenza tra chi non vuole rispondere e chi è in difficoltà è evidente e quindi sarà semplice distinguere i casi. Ma non è chiaro che criteri dovranno usare i docenti per stabilire questa differenza ed eventualmente, bocciare lo studente. Per di più c’è un altro problema: se il peso delle prove resta lo stesso, come sarà possibile far scattare comunque la bocciatura anche quando i ragazzi, come Maddalena e Gianmaria, hanno raggiunto prima la sufficienza, ovvero i 60 punti necessari alla promozione? Si rischia di aprire la strada a ricorsi.
Poi c’è una questione di merito. La bocciatura per chi fa scena muta all’orale è davvero un provvedimento giusto per educare al rispetto della scuola e delle istituzioni come sostiene Valditara? Sembra piuttosto, una misura punitiva che vuole colpire gli studenti che consapevolmente manifestano il proprio dissenso nei confronti di un sistema che vorrebbero venisse riformato.
Al di là delle controversie che potrebbero generarsi se la norma dovesse mai vedere una luce, le proteste degli studenti hanno riaperto il dibattito e ci danno un’idea di come le giovani generazioni stiano prestando sempre più attenzione a concetti come quelli di burnout, produttività, esaltazione della performance che generano insicurezza e angoscia nei ragazzi. E che alimentano un clima tossico fatto di continua ricerca della "prestazione perfetta" e di forte insoddisfazione quando poi quelle aspettative – che un po’ costruiamo noi e un po’ subiamo dall’esterno – vengono inevitabilmente disattese.
Chi sostiene la validità della prova di maturità così com’è strutturata, accusa gli studenti di oggi di essere "troppo fragili" e ricorda che l’esame non è altro che una sorta di anticipazione di come si verrà valutati in altri contesti al di fuori della scuola, prima all’università, poi al lavoro e in generale nella società. Della serie: prima ti ci abitui e meglio è. Ma chi dice che l’esame andrebbe riformato, se non addirittura abolito, sostiene che la logica dei voti – numeri che poco o nulla ci dicono della persona che abbiamo davanti – vada ormai superata. Perché l’esame non dovrebbe essere vissuto come il momento del giudizio, la resa dei conti, ma come un momento che suggella la fine di un percorso di crescita, fatto di esperienze, persone, rapporti, conoscenza, dove al centro restano comunque gli studenti e non i loro voti.
