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Perché l’economia italiana è bloccata e gli stipendi reali restano bassissimi

Il Pil italiano è rimasto sostanzialmente fermo per tre mesi, i salari restano reali ben più bassi rispetto al 2020 e anche l’occupazione, ora, sta rallentando. Nel frattempo gli effetti dei dazi degli Usa iniziano a farsi sentire per le imprese, causando sempre più incertezza. Lo afferma l’Ufficio parlamentare di bilancio.
A cura di Luca Pons
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Immagine di repertorio
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È un momento difficile per l'economia italiana, da tempo tornata a una crescita del Pil molto ridotta. Nel periodo luglio-settembre di quest'anno, il prodotto interno lordo è stato "stagnante". L'occupazione ha continuato a salire, ma di appena lo 0,1%. E i salari hanno rallentato, restando lontanissimi dai livelli del 2020, in termini reali (che tengono conto del potere d'acquisto). Intanto, i dazi statunitensi fanno sentire i loro primi effetti. Sono alcuni dei dati che emergono dalla nuova nota congiunturale dell'Ufficio parlamentare di bilancio.

L'occupazione rallenta, giovani in difficoltà

In primavera l'occupazione ha tenuto: sono scesi i lavoratori dipendenti, ma sono aumentati gli autonomi, quindi il numero di persone con un lavoro è lievemente salito (anche se questo numero va sempre messo nel contesto giusto). In estate, secondo stime preliminari riportate dall'Upb, l'aumento dell'occupazione sarebbe stato di appena lo 0,1%.

Ciò che può preoccupare, però, è l'andamento delle varie fasce d'età. A pochi giorni dal rapporto Istat che certifica l'ennesimo record negativo della natalità nel 2024, si conferma che sul lavoro i giovani sono in difficoltà. Tra gli occupati infatti aumentano i 50-64enni. I motivi sono due: la popolazione invecchia; e andare in pensione è sempre più difficile. Una situazione che certo non migliorerà con la prossima legge di bilancio. Allo stesso tempo, la "quota di lavoratori più giovani" si è ridotta. E si è alzato il numero degli inattivi: quelli che né hanno un lavoro, né lo cercano.

Gli stipendi reali sono ancora lontanissimi dal 2020

Se l'occupazione, cavallo di battaglia del governo Meloni, inizia a mostrare delle crepe, la situazione non è migliore per quanto riguarda gli stipendi. L'aumento dei salari in termini reali è un altro dei risultati che il governo ha rivendicato: ovvero il fatto che, negli ultimi anni, gli stipendi siano saliti più di quanto è aumentata l'inflazione (e quindi i prezzi). È un meccanismo necessario per mantenere il potere d'acquisto.

Il problema è che nel 2022 e 2023 c'è stato un picco dell'inflazione che non si vedeva da decenni. In quel periodo le buste paga hanno perso parecchio potere d'acquisto. I prezzi schizzavano alle stelle, gli stipendi restavano fermi o aumentavano di pochissimo. E di fatto questa situazione non è ancora stata risolta, il ‘buco' che si è creato allora non è stato riempito.

Anzi, nella primavera di quest'anno l'aumento degli stipendi ha rallentato, scendendo al 3,2%. Certo, è comunque un dato più alto dell'inflazione, ferma per ora all'1,6%. Ma il gap enorme rimane. Rispetto al 2020, i salari reali sono più bassi dell'8,8%. Concretamente: se i prezzi non fossero cambiati, è come se uno stipendio da 1.800 euro al mese in questi cinque anni si fosse abbassato a circa 1.640 euro al mese.

Pil stagnante e i dazi di Trump si fanno sentire per le aziende

Le previsioni sul Pil non sono ottimistiche. Era accelerato in inverno, mentre ad aprile-giugno è addirittura sceso (dello 0,1%), cosa che non accadeva da quasi tre anni. In estate, invece, è stato "pressoché stagnante". Ora, ci si aspetta che verso la fine dell'anno ci sia una ripresa. La previsione è che alla fine si arrivi nel 2025 a far crescere il Pil dello 0,5%. Ma ci sono "rischi significativi" che il risultato effettivo sia più basso.

I problemi sono noti. Ad esempio, le famiglie spendono poco: se ricevono soldi in più, preferiscono metterli da parte. Uno dei motivi è l'incertezza nel futuro. L'incertezza di famiglie e imprese calcolata dall'Upb "è su valori prossimi ai massimi storici", se si esclude il periodo della pandemia. In più, l'attività delle industrie si è indebolita ancora. Per di più sono anche scese le esportazioni, soprattutto verso gli Stati Uniti, stando a dati preliminari.

Più incertezza sul futuro, meno esportazioni verso gli Usa: questi sono alcuni dei primi effetti dei dazi imposti dall'amministrazione di Donald Trump. Effetti che comunque "si dispiegheranno nel tempo", specifica l'Ufficio parlamentare di bilancio. È normale che da parte delle imprese – soprattutto in settori come abbigliamento e bevande – ci siano dei timori: l'Upb stima che le tariffe statunitensi, insieme all'indebolimento del dollaro registrato dall'inizio dell'anno, causino una spesa aggiuntiva di circa il 30% per un importatore negli Usa. A queste condizioni, vendere i propri prodotti per le aziende italiane diventa molto più complicato.

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