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Perché la nave Humanity è stata multata e fermata dal governo italiano per 20 giorni

La nave Humanity 1 di SOS Humanity è stata bloccata per 20 giorni e sanzionata per il mancato coordinamento con le autorità libiche. Le ONG denunciano una crescente criminalizzazione del soccorso civile, nel frattempo aumentano le morti nel Mediterraneo.
A cura di Francesca Moriero
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La nave Humanity 1 dell'organizzazione tedesca SOS Humanity è stata sottoposta a un nuovo fermo amministrativo da parte delle autorità italiane. Il provvedimento prevede 20 giorni di stop alle operazioni e una sanzione di 10mila euro, a seguito dello sbarco di 85 persone avvenuto il 1° dicembre nel porto di Ortona. Si tratta del secondo blocco in pochi giorni, dopo quello provvisorio di otto giorni imposto subito dopo l'arrivo in porto. "L'attacco al soccorso civile in mare è la cartina tornasole del progressivo restringimento dello spazio di diritto nell’area euro-mediterranea. Il fermo della Humanity 1 mostra l’accanimento del governo contro chi salva vite per rendere sempre più inaccessibile la fortezza Europa", ha detto Giorgia Linardi, Portavoce Sea-Watch, a Fanpage.it. "Mentre la sospensione del fermo di Mediterranea, imposto per ragioni analoghe, conferma che siamo sempre dalla parte del diritto e, oggi più che mai, ne difendiamo i principi contro politiche sempre più disumane. Questi episodi infatti arrivano mentre nei consessi europei si spinge verso un ulteriore restringimento dei diritti. Mentre il diritto viene piegato e chi pratica solidarietà diventa bersaglio, è necessario continuare a esserci", ha poi aggiunto.

I motivi del fermo

Secondo quanto riferito da SOS Humanity, il fermo amministrativo sarebbe stato disposto perché l'equipaggio non avrebbe comunicato con il Centro di coordinamento dei soccorsi libico (Lmrcc) durante le operazioni in mare. Il governo italiano ritiene che, in base alla cosiddetta Legge Piantedosi, infatti, le navi umanitarie siano" tenute a interfacciarsi anche con le autorità libiche", considerate "competenti nell'area in cui avvengono molti dei soccorsi".

Le ONG contestano però proprio questa impostazione, sostenendo che il centro libico non garantisce alcuna condizione minima di sicurezza e non rispetta nessun standard internazionale, e che una collaborazione operativa potrebbe mettere ancor più a rischio naufraghi ed equipaggi.

Le autorità libiche sono un pericolo

SOS Humanity ricorda poi che negli ultimi mesi proprio la cosiddetta Guardia costiera libica ha più volte aperto il fuoco contro navi di soccorso, costringendo gli equipaggi a interrompere le operazioni o a cambiare rotta. Solo la settimana scorsa, la nave Louise Michel sarebbe stata minacciata con colpi di arma da fuoco durante un intervento. Per Marie Michel, esperta politica dell'organizzazione, pretendere che le navi umanitarie comunichino con Tripoli significa ignorare "violazioni sistematiche del diritto internazionale" e il pericolo concreto rappresentato da queste milizie. Mentre l'Europa continua a finanziare e sostenere le autorità libiche, spiega Michel, "chi salva vite viene punito e reso operativamente sempre più fragile".

La risposta del soccorso civile: l'alleanza Justice Fleet

La crescente tensione ha spinto 13 organizzazioni impegnate nel soccorso in mare a creare la Justice Fleet, una piattaforma che denuncia proprio le violenze della guardia costiera libica. L'alleanza ha annunciato la sospensione delle comunicazioni operative con Tripoli, richiamandosi al diritto internazionale. Le ONG sostengono infatti che non sia assolutamente possibile garantire sicurezza e tutela dei diritti collaborando con milizie che mettono in pericolo tanto i naufraghi quanto gli equipaggi. Proprio in seguito a questa presa di posizione, il fermo della Humanity 1, arrivato appena pochi giorni dopo, è stato letto dal mondo del soccorso civile come una reazione diretta delle autorità italiane alla nuova linea della Justice Fleet.

Un clima sempre più restrittivo

Il blocco della Humanity 1 si inserisce insomma in un contesto europeo segnato da norme e prassi sempre più restrittive nei confronti di chi presta soccorso in mare, nonostante quest'anno, secondo le stime, oltre 1.700 persone abbiano già perso la vita nel Mediterraneo centrale, una delle rotte migratorie più letali al mondo.

Le ONG denunciano una crescente criminalizzazione del loro operato, accompagnata da un sostegno politico e finanziario alle autorità libiche, accusate da anni di violenze, torture, abusi e respingimenti illegali. In questo scenario, il caso Humanity 1 diventa l'ennesimo episodio di un confronto sempre più acceso tra governi europei e organizzazioni umanitarie, che continuano a rivendicare il rispetto del diritto del mare e il dovere di soccorrere chi rischia di morire durante la traversata.

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