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Perché è rischioso allentare le misure contenitive prima di fine maggio

“Il governo  è chiamato a prendere una delle decisioni più difficili della storia della Repubblica, con effetti determinanti sulla nostra salute, sulle nostre libertà individuali e sull’economia del Paese”: mentre l’esecutivo inizia a studiare la Fase 2 dell’emergenza e il ritorno alla normalità, la fondazione Gimbe, un think tank che si occupa di ricerca in ambito sanitario, avverte sui rischi di una riapertura troppo frettolosa.
A cura di Annalisa Girardi
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Da ormai diversi giorni i dati sul coronavirus portano buone notizie: i numeri sui nuovi contagi sono in discesa e finalmente anche i ricoveri sono in calo. Il governo ha quindi iniziato a pensare alla Fase 2 dell'emergenza, quella in cui si assisterà a una graduale riapertura e a un allentamento delle misure contenitive. La fondazione Gimbe, un think tank che si occupa di ricerca in ambito sanitario però avverte sui rischi di una ritorno frettoloso alla normalità e spiega perché sia rischioso allentare le misure di contrasto al coronavirus prima della fine di maggio.

"Il quadro progressivamente meno funesto offerto dal bollettino giornaliero della Protezione Civile e l’imminente scadenza del decreto Chiudi Italia fissata per il 13 aprile hanno acceso il dibattito sull’avvio dell’agognata Fase 2, ovvero tempi e modi per allentare il lockdown": ma le decisioni del governo in materia, sottolinea Gimbe, non possono prescindere dai dati e da un modello predittivo scientifico "per informare una delle decisioni più difficili della storia della Repubblica". Il presidente della fondazione, il dottor Nino Cartabellotta, ha quindi deciso di pubblicare i risultati delle analisi condotte da Gimbe e basate su tre domande, le cui risposte sono " utili ad informare le decisioni politiche ed aumentare la consapevolezza della popolazione in un momento estremamente delicato della gestione dell’epidemia nel nostro Paese".

È possibile prevedere il giorno del contagio zero?

Non si può dire con certezza quando arriverà il giorno in cui non si registrerà un solo caso di coronavirus in Italia. Tuttavia, la fondazione Gimbe ha creato un modello predittivo "che ha ormai raggiunto un’adeguata stabilità". Il modello, spiega la fondazione, è basato su due variabili: da un lato è considerato l'incremento percentuale dei nuovi casi, e dall'altro il tempo espresso in giorni. Secondo il modello il prossimo 16 aprile la percentuale di aumento dei casi scenderà al 2%, il 27 aprile all'1% e il 2 giugno allo 0,1%: questa è stata la soglia in cui l'Hubei ha deciso di allentare le misure per tornare alla normalità.

Il dottor Cartabellotta ha precisato: "Il modello viene aggiornato quotidianamente e deve sempre essere maneggiato con cautela perché l’andamento dei contagi potrebbe essere influenzato da variabili non considerate, spesso differenti nelle varie Regioni: insorgenza di nuovi focolai, numero di tamponi effettuati, aderenza alle misure di distanziamento sociale, sovraccarico degli ospedali".

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Quali sono i risultati del distanziamento sociale?

Quando si analizzano i risultati delle misure di distanziamento sociale, rese necessarie per il contrasto alla diffusione del virus, sono diversi i campi da considerare. Per quanto riguarda i nuovi casi, Gimbe sottolinea che nell'ultima settimana l’incremento medio giornaliero è stato del 3,9%, con trend in progressiva riduzione dal 4,5% al 2,3%.

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Rispetto invece alle categorie di casi riportate dalla Protezione Civile, Gimbe differenzia rispetto ai pazienti ricoverati, quelli in isolamento domiciliare, i guariti e i deceduti. Nei giorni scorsi il presidente della fondazione aveva raccontato a Fanpage.it le problematiche riguardanti la comunicazione dei dati da parte della Protezione Civile in merito a specifiche categorie, quella dei guariti e quella dei dimessi: potete leggere l'intervista in merito al dottor Cartabellotta a questo link.

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Per quanto riguarda i pazienti ricoverati con sintomi o in terapia intensiva, Gimbe sottolinea come "il crescente decongestionamento degli
ospedali sia il dato che infonde maggiore ottimismo".

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Il numero di pazienti in isolamento domiciliare, invece, "è in continuo aumento grazie ad una più efficace identificazione dei contatti e di casi sempre meno gravi". Per quanto riguarda i guariti, il numero è in aumento, "ma sovrastimato perché vengono conteggiati in questa
categoria i casi della Regione Lombardia dimessi dall’ospedale, senza informazioni sul loro status di guarigione clinica o virologica (ieri 59,4% dei “guariti”)
", ribadisce Gimbe. Infine, rispetto alle persone decedute, "la curva continua a salire con una minima flessione negli ultimi 2-3 giorni".

I risultati italiani sono in linea con quelli cinesi?

Gimbe ha confrontato i dati registrati in Italia con quelli comunicati per la provincia dell'Hubei, epicentro dell'epidemia che conta 58,5 milioni di abitanti, più o meno la popolazione italiana. Anche se le fasi iniziali dell'emergenza sono state pressoché similari, le curve dei contagi, tuttavia, dimostrano che i risultati delle misure adottate in Italia siano lontani da quelli ottenuti in Cina. "Questa differenza è dovuta almeno a tre motivazioni: da noi misure non tempestive, meno rigorose e più frammentate e minore aderenza della popolazione", ha spiegato Cartabellotta.

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"Il ruolo dei dati nelle decisioni politiche  dipenderà da quali indicatori sceglierà il Governo per stabilire criteri, tempi e modalità per l’avvio graduale della Fase 2, nella consapevolezza che, a differenza della Cina, non siamo in condizioni di applicare una sistematica tracciatura dei contatti tramite tecnologie avanzate e che i test sierologici non permettono ancora di fornire alcun patentino di immunità", ha aggiunto il presidente di Gimbe.

In conclusione dalle analisi della fondazione risulta che sebbene la curva del contagio sia effettivamente rallentata, l'aumento dei nuovi casi sia ancora rilevante. E nonostante le misure di distanziamento sociale abbiano funzionato nell'alleggerire il carico sugli ospedali, evitandone il collasso, dobbiamo ancora vedere l'effetto sul numero totale dei casi. Date queste rilevazioni, secondo Gimbe, l'allenamento delle misure restrittive dovrà essere graduale e, se possibile, su base regionale. Durante la Fase 2 bisognerà inoltre prestare enorme attenzione alla possibile insorgenza di nuovi focolai.

Secondo il think tank il governo, "con una certa dose di spavalderia", potrebbe decidere di avviare questa seconda fase dell'emergenza già a partire da fine aprile o inizio maggio: in questo caso bisognerebbe però accettare l'eventualità di una nuova impennata dei contagi. Invece, se si volesse agire con prudenza e seguire le dinamiche del contagio in Italia, sarebbe meglio posticipare qualsiasi riapertura a fine maggio. "Il governo  è chiamato a prendere una delle decisioni più difficili della storia della Repubblica, con effetti determinanti sulla nostra salute, sulle nostre libertà individuali e sull’economia del Paese. Guardando ai numeri è fondamentale conoscere quale indicatore guiderà la politica per l’attuazione della Fase 2: sarà, auspicabilmente, la riduzione dei contagi al di sotto di una soglia più bassa possibile? Oppure, ci si limiterà a contenere il verosimile aumento dei ricoveri e dei decessi, per il timore che la popolazione e l’economia non sono in grado di reggere un rigoroso prolungamento del lockdown?", conclude Cartabellotta.

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