Perché con il nuovo decreto Scuola i precari della ricerca e dell’università sono meno tutelati

Cattive notizie per i ricercatori: il centrodestra ha varato due nuovi tipi di contratti precari che serviranno a rendere ancora più instabile la vita di chi fa ricerca e non riesce a ottenere un posto di lavoro stabile. Si tratta dell'incarico post-doc e dell'incarico di ricerca, che di fatto sostituiscono rispettivamente il cosiddetto Rtd-A (contratto ricercatori a tempo determinato di tipo A) e l'assegno di ricerca, cancellato con una legge del 2022 e sparito definitivamente dall'inizio di quest'anno.
La novità arriva dal decreto Pnrr Scuola, convertito in legge dal Senato. E arriva da un emendamento a prima firma del senatore di Forza Italia Mario Occhiuto, autore anche della modifica ai requisiti per il bonus affitto per i fuori sede. In passato la ministra dell'Università, Anna Maria Bernini, aveva portato avanti la stessa iniziativa ma aveva fatto un apparente passo indietro dopo le proteste dei precari. Ora, però, i due contratti sono stati varati comunque.
I due nuovi contratti precari per chi fa ricerca e insegna
Il primo è chiamato incarico post-doc. È un contratto che può durare da uno a tre anni – mentre i ‘vecchi' Rtd-A hanno durata triennale – e che può essere utilizzato anche per svolgere attività di insegnamento. La durata non può superare i tre anni (anche non continuativi) per ciascuna persona, anche se li effettua con istituzioni diverse. Parlando di soldi, l'indennità non potrà essere più bassa del trattamento iniziale che spetta ai ricercatori confermati a tempo definito, cioè part time (circa 28mila euro lordi all'anno).
Il secondo è l'incarico di ricerca che corrisponde di fatto a un co.co.co., senza garanzie né tutele di alcun tipo, simile agli assegni di ricerca che sono stati aboliti con una legge del 2022, e sono del tutto spariti a partire dal gennaio 2025. L'incarico di ricerca ha una durata minima di un anno e può arrivare fino a tre anni non continuativi con tutte le proroghe e i rinnovi. Possono sottoscriverlo coloro che hanno una laurea magistrale. Sulla carta servono alla "introduzione alla ricerca e all'innovazione sotto la supervisione di un tutor". La paga in questo caso partirà da un "importo minimo" stabilito dal ministero di anno in anno.
L'intervento su questi contratti è legato al fatto che, con la fine degli assegni di ricerca, molti ricercatori si sono trovati in bilico. In particolare, erano a rischio i beneficiari dei dottorati europei del programma Marie Sklodowska-Curie.
Dato che non c'erano dei contratti per assumere i ricercatori in questione, questi rischiavano di essere esclusi dal dottorato. Il centrodestra avrebbe potuto decidere di aumentare i fondi a disposizione per i contratti più stabili che già esistono, invece ha scelto di istituire due nuovi contratti precari.
L'appello dei precari: "È la conseguenza dei tagli del governo all'università"
Un appello di docenti e ricercatori che si oppongono alla misura ha raccolto più di 2mila sottoscrizioni, nelle scorse settimane. Nel testo, si accusa la ministra dell'Università Bernini di aver "deciso di completare il lavoro di demolizione avviato da Maria Stella Gelmini tra il 2008 e il 2010″.
Secondo i firmatari lo scopo dell'incarico post-doc sarebbe "avere un contratto precario da sostituire all'Rtd-A per sostenere le esigenze didattiche degli atenei", dato che ci sono circa 7.500 persone che hanno questo tipo di contratto in scadenza. Ciascuna di loro in media insegna per 90 ore all'anno in università.
Da una parte i contratti in scadenza, dall'altra i pensionamenti previsti per i prossimi anni, hanno spinto a creare un nuovo tipo di rapporto di lavoro precario. L'incarico di ricerca invece è "senza malattia, ferie, maternità, contributi previdenziali adeguati, ecc", e sembra essere "uno strumento utile per far galleggiare ancora qualche anno, tra agonia e abbandoni, l’immensa platea precaria".
Il punto è che questi interventi sono diventati ‘necessari', per così dire, a seguito del taglio dei fondi per l'università: 173 milioni di euro nel 2024, 246 milioni per il 2025, 238 milioni per il 2026, 216 milioni per il 2027. E per il 2024 i soldi necessari ad aumentare le paghe del personale dipendente non sono arrivati dal governo, quindi hanno dovuto venire dalle tasche degli atenei.
In questa situazione, quindi, le università avevano ‘bisogno' di nuovi contratti precari, perché in molti casi non possono permettersi di assumere ricercatori a tempo indeterminato con contratti solidi. Cosa che però, inevitabilmente, con il tempo contribuirà ad aumentare il numero di chi sceglie di lasciare l'Italia e fare ricerca all'estero.