Pagano 15mila euro per il decreto Flussi ma è una trappola: “Sfruttato 12 ore al giorno per 2 euro l’ora”

Si chiamano Rubel, Harun e Mohammad. Sono sbarcati in Italia a ottobre, in aereo, con un visto stagionale in tasca ottenuto tramite il decreto Flussi. Destinazione: un hotel a Rimini. Per quel visto, per quella promessa di un lavoro legale in Italia, hanno pagato 15.000 euro a testa a un intermediario bengalese, prima ancora di partire.
Ma il sogno si è infranto la sera stessa del loro arrivo. L'intermediario, dopo averli ospitati la prima notte e incassato l'enorme somma, ha cambiato versione: il datore di lavoro di Rimini "non era disponibile" ad assumerli. Li ha messi su un pullman e li ha spediti in Sicilia, con la vaga promessa che lì avrebbero trovato "maggiori opportunità".
La loro storia non è un caso isolato ma l'esempio perfetto di un sistema che, all'ombra dell'unica via d'accesso legale per lavoro in Italia, sta creando una gran quantità di "irregolari", sfruttati e ricattati.
La storia di Sied: pagato 2 euro l'ora per lavorare 12 ore al giorno
Quella di Sied è una storia identica nell'inganno, ma ancora più brutale nelle conseguenze. "Sono arrivato con i decreti Flussi del 2023, esattamente il 30 settembre", racconta a Fanpage.it. "Il mio ingresso è stato gestito da un intermediario bengalese, che mi aveva promesso di farmi assumere e di farmi avere i documenti, dietro il corrispettivo di 19 lakh taka, che all'epoca equivalevano a quasi 19.000 euro", continua.
Come per Rubel e gli altri, il datore di lavoro svanisce: "Una volta arrivato in Italia non mi ha portato dal datore di lavoro e non mi ha fatto avere alcun contratto. L’unica cosa che ha fatto è stata quella di inserirmi in una fabbrica di abbigliamento bengalese", spiega Sied. "Lì ho svolto turni di lavoro di 12 ore giornaliere con la paga oraria di 2 euro l’ora. Sono stato sfruttato e mi hanno trattato male il supervisor e altri. Ho lavorato in queste condizioni perché l’intermediario mi aveva detto che se avessi lavorato lì lui mi avrebbe fatto avere i documenti, ma non mi ha fatto avere nulla", conclude .
Da Napoli a Palermo: l'odissea di Kaium
Il sistema è capillare e non riguarda solo la Sicilia. Kaium, cittadino bengalese, è fuggito dai problemi nel suo paese. I suoi genitori si sono indebitati, hanno venduto terreni per pagare 20.000 euro a un intermediario, Firoz, che vive a Napoli. La promessa: un documento regolare e un buon lavoro.
"Ho le prove di tutti questi pagamenti, lui non prende direttamente i soldi ma li incassa tramite un fratello", spiega Kaium. "Una volta arrivato in Italia nel 2023 a Napoli, mi sono recato presso il suo negozio. Mi ha fatto aspettare un’ora, non è neanche venuto a ricevermi all’aeroporto. Dopo di che mi ha mandato a Palma Campania, lì non c’era lavoro", continua l’uomo.
Lasciato solo, Kaium raggiunge Palermo dove trova un impiego, ma l'azienda chiede i documenti. "Allora provavo a contattare Firoz, ma lui non rispondeva, e quelle poche volte in cui lo faceva mi continuava a dire che mi avrebbe fatto avere i documenti. Alla fine mi ha detto che non me li avrebbe fatti avere e che il datore di lavoro non mi voleva assumere. Non mi ha portato in prefettura per fare il primo ingresso, né mi ha portato dal datore di lavoro".
Quando Kaium minaccia di denunciarlo, l'intermediario risponde con arroganza: "Mi ha detto che la polizia non gli avrebbe fatto niente".
L'avvocato: "Così creiamo irregolari"
Queste storie finiscono tutte sulla scrivania dell'avvocato Antonino Cacioppo del foro di Palermo, che assiste decine di vittime di questo inganno.
"Questi assistiti arrivano in Italia e, di fatto, non trovano il posto di lavoro per cui avevano applicato", spiega Cacioppo a Fanpage.it. "È un sistema che costa quanto la traversata via mare, ma che ti fa entrare da regolare per poi trasformarti in clandestino".
Il meccanismo è rodato: "Ci sono intermediari, spesso connazionali, che trovano datori di lavoro italiani ‘accondiscendenti'. Questi, dietro probabile compenso, si offrono di fare la domanda di nulla osta per assumere due, tre, quattro soggetti". I migranti pagano l'intermediario, in nero, con cifre che variano: "Si va da non meno di 3-4.000 euro fino ad arrivare anche a 20.000 euro", conferma l'avvocato.
“Ho decine se non centinaia di casi che seguo qui in Sicilia”; continua Cacioppo, “si tratta di un sistema simile al traffico di esseri umani di cui sentiamo parlare in Libia, ma non parlerei di traffico perché nel traffico sono altri che gestiscono le rotte, qua sei tu che paghi per fare quella rotta, per seguire quella linea, per prendere l'aereo per venire in Italia con un visto. Ma nonostante non si possa parlare di traffico, quello che riscontro con il decreto Flussi non è molto diverso”.
Ma l’avvocato resta cauto anche nel chiamarla “truffa”: “Qualche datore di lavoro che ci guadagna c'è sicuramente e io penso qualcuno di averlo individuato, ho visto decine di domande fatte dallo stesso datore di lavoro, domande che vengono poi in qualche modo respinte per un motivo o per un altro. Ma noi non siamo mai riusciti a dimostrare che questi datori di lavoro percepiscono il denaro. Servono i poteri della polizia giudiziaria per farlo".
L'inganno si annida nella burocrazia, secondo Cacioppo è la lentezza dello Stato a fornire l'alibi perfetto. Tra la domanda di nulla osta e l'ingresso effettivo dello straniero in Italia, possono passare, infatti, fino a tre anni. Quando il lavoratore finalmente arriva, il datore di lavoro ha la scusa pronta: ‘Io ti volevo assumere tre anni fa, ora non ho più la disponibilità, ho perso l'interesse'. Altri datori di lavoro, semplicemente, spariscono, diventano irrintracciabili.
Dal visto regolare all'asilo politico
Per chi arriva, la conseguenza è un buco nero legale: "Arrivano in Italia e hanno un visto che scade dopo qualche mese. Ma se il datore di lavoro non li assume, la normativa è spietata: non possono cercare un altro lavoro", spiega Cacioppo.
Il risultato è un paradosso drammatico. "Questi lavoratori si ritrovano ad aver pagato somme enormi, ad avere debiti nel loro Paese, e a non poter rinnovare il permesso di soggiorno. Quindi entrano da regolari, diventano irregolari. E quando vengono trovati, vengono portati nei CPR ed espulsi", continua l’avvocato.
Diventano fantasmi pronti per il mercato nero del lavoro, come successo a Sied. L'unica via d'uscita, paradossalmente, è chiedere asilo. "Quando mi è scaduto il visto", conclude Sied, "ho fatto la richiesta di asilo e sono stato messo in contatto con l'ente vittime di tratta. Lì ho fatto la querela contro l’intermediario".
Anche Kaium è stato costretto alla stessa scelta: "Ho fatto la richiesta di protezione internazionale, che mi ha permesso di ottenere un regolare contratto di lavoro, ed ho formalizzato querela. Tutto questo ha generato in me tanto stress e una crisi psicologica".
Le minacce e la difficoltà di denunciare
Denunciare i datori di lavoro "fantasma" è spesso pericoloso. Lo dimostra il caso di Rubel, Harun e Mohammad, i tre ragazzi spediti in Sicilia. Assistiti dall'avvocato Cacioppo, hanno inviato una lettera di diffida e messa in mora al datore di lavoro di Rimini, con copia alla Prefettura. Il datore di lavoro non ha mai risposto alla Pec, ma i tre lavoratori sono stati contattati dall'intermediario – come ci raccontano dallo studio legale – che li ha minacciati.
Ma non solo denunciare è pericoloso, recuperare i soldi spesi per ottenere il nullaosta è quasi impossibile. "Sono pagamenti in nero, non tracciabili", ammette Cacioppo.
Una falla nel sistema
L'avvocato Cacioppo identifica il problema a monte: la lentezza della burocrazia, che fa da scudo alla malafede. Le prefetture, con poco personale, si basano su semplici autodichiarazioni dei datori di lavoro, senza controlli seri sulla loro reale capacità di assunzione o sulla loro fedina penale.
"In Sicilia vediamo numeri grossi", conferma Cacioppo, "la comunità più colpita qui a Palermo è sicuramente quella del Bangladesh, ma seguiamo anche tanti tunisini nelle campagne di Siracusa. Parliamo di decine e decine di persone solo nel mio studio".
Stando a quanto emerge i decreti Flussi rischiano di alimentare l’immigrazione irregolare ma soprattutto il traffico e lo sfruttamento in Italia tanto quanto la tratta via mare. Come si chiede Shaidul Abdul, praticante avvocato e portavoce della comunità del Bangladesh di Palermo: “l’Italia ha davvero bisogno di lavoratori stranieri o, piuttosto, di stranieri irregolari da sfruttare?”

La risposta sta nell’impegno che verrà messo per evitare che datori di lavoro e intermediari approfittino del decreto Flussi. Per l’avvocato Cacioppo la soluzione è molto semplice: "Se vogliamo scardinare questo traffico, dobbiamo efficientare la macchina burocratica. Se io ricevo il nulla osta nel 2023 e il visto nel 2025, il datore di lavoro ha la scusa perfetta per non assumermi. Ma se io pagassi e il visto mi venisse rilasciato dopo tre mesi, il datore di lavoro verrebbe messo con le spalle al muro. Non puoi dirmi ‘non mi interessi più' dopo 90 giorni. Il controllo da parte delle prefetture dovrebbe essere duplice in questo senso, dovrebbero controllare l'attendibilità del datore di lavoro, attendibilità attualmente rilasciata esclusivamente da un'autodichiarazione del datore di lavoro stesso, e dell’intermediario. Solo così il decreto flussi potrebbe funzionare”.