Migranti, Tribunale di Agrigento sospende il fermo di Mediterranea: illegittime le misure del Decreto Piantedosi

Appare come una strategia quella che mira a ostacolare il soccorso civile in mare e perfino a confiscare le navi delle ONG. Una strategia che, ancora una volta, viene però smentita dai tribunali. Il Tribunale di Agrigento ha infatti sospeso il fermo amministrativo imposto alla nave Mediterranea lo scorso 12 novembre dalla Prefettura: un provvedimento particolarmente gravoso, che prevedeva 60 giorni di detenzione della nave e una sanzione di 10 mila euro per comandante e armatore. La decisione del giudice è arrivata con un decreto d'urgenza, inaudita altera parte, cioè senza neppure ritenere necessario convocare l'Avvocatura dello Stato. Un elemento che rafforza la valutazione del Tribunale: l'applicazione del Decreto Piantedosi, ancora una volta, appare illegittima.
Quando era scattato il fermo a Mediterranea
Il fermo era scattato dopo le operazioni di soccorso del 2 e 3 novembre, tre interventi in zona SAR libica e a sud di Lampedusa, in cui Mediterranea aveva messo in salvo 92 persone, tra cui 31 minori non accompagnati (bambini). Secondo il Viminale, l'equipaggio non avrebbe obbedito all'ordine di dirigersi immediatamente verso il porto assegnato di Livorno, molto distante dalla zona di intervento. In realtà, però, lo sbarco a Porto Empedocle – più vicino e adeguato per persone in condizioni di particolare vulnerabilità – era stato disposto dalle procure competenti: la Procura per i Minorenni di Palermo e quella di Agrigento avevano ordinato infatti l'immediata discesa a terra di tutte le persone soccorse, avvenuta il 4 novembre.
Decreto Piantedosi e rischi per il soccorso civile
Secondo Mediterranea, il fermo amministrativo conferma come il Decreto Piantedosi sia solo uno strumento punitivo e arbitrario, usato esclusivamente per ostacolare le ONG impegnate nel Mediterraneo centrale. Il decreto, emanato per limitare presunti comportamenti illeciti delle navi straniere o delle ONG, permette infatti al Ministero dell'Interno di imporre fermi amministrativi fino a 60 giorni, sanzioni pecuniarie e altre misure restrittive senza un immediato intervento giudiziario. Nella pratica, questo significa che una nave impegnata in soccorso può essere bloccata o messa sotto pressione economica e amministrativa semplicemente per aver scelto il porto più sicuro o più vicino per mettere in salvo persone vulnerabili. Il rischio, sottolinea Mediterranea, è duplice: da un lato si ostacola il soccorso civile e si rallenta la protezione dei migranti; dall'altro si mettono a repentaglio testimoni e prove delle violazioni dei diritti umani lungo la rotta libica, creando così un effetto deterrente nei confronti delle ONG.
In questo contesto, insomma, il decreto rischia di trasformarsi in uno strumento di pressione politica e non di sicurezza: ogni scelta operativa della nave diventa potenzialmente punibile, anche quando motivata esclusivamente dalla tutela della vita e della salute delle persone soccorse. La sospensione del fermo da parte del Tribunale conferma però, che, almeno in questo caso, la legge tutela la solidarietà e la protezione dei più vulnerabili.