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Migranti, sei militari vanno a processo per il naufragio di Cutro: di cosa sono accusati

È arrivato il rinvio a giudizio per sei militari – quattro della Guardia di finanza e due della Guardia costiera – imputati nell’inchiesta sulla strage di Cutro: il 26 febbraio 2023 nel naufragio di un barcone vicino alle coste calabresi morirono 94 persone migranti, di cui 35 bambini. Tra le accuse quelle di naufragio colposo e omicidio colposo plurimo.
A cura di Luca Pons
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Sei militari, di cui quattro agenti della Guardia di finanza e due della Guardia costiera, sono stati rinviati a giudizio nell'indagine sul naufragio di Cutro del 2023. Andranno a processo, accusati di naufragio colposo e omicidio colposo plurimo per non essere intervenuti in soccorso del barcone che stava affondando. La notte del 26 febbraio morirono almeno 94 persone migranti, tra cui 35 minorenni. L'ipotesi è che i sei imputati non abbiano rispettato le procedure per la ricerca e il salvataggio in mare. Oggi si è tenuta l'udienza preliminare e la giudice di Crotone Elisa Marchetto ha deciso per il rinvio a giudizio.

Chi sono i militari indagati per la strage di Cutro

Per la Guardia costiera sono indagati Francesca Perfido, ufficiale di ispezione della Capitaneria di porto di Reggio Calabria, e Nicola Nania, ufficiale di ispezione al Centro di coordinamento soccorso marittimo di Roma. Per la Guardia di finanza invece ci sono Giuseppe Grillo, capo turno della sala operativa di Crotone; il comandante Alberto Lippolis, responsabile controllo tattico a Vibo Valentia; Antonino Lopresti; e il comandante del gruppo aeronavale di Taranto Nicolino Vardaro. Moltissime saranno le parti civili, tra cui i sopravvissuti e i familiari delle vittime.

L'inchiesta si è occupata solamente di quello che è accaduto sul campo, e non delle potenziali responsabilità politiche per le direttive giunte dall'alto sul soccorso alle persone migranti. Il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti, ha espresso la sua solidarietà "ai militari delle fiamme gialle e della guardia costiera rinviati a giudizio per il naufragio di Cutro nella convinzione che tutto sarà chiarito e riusciranno a dimostrare la loro innocenza".

La richiesta di andare a processo era arrivata a novembre dello scorso anno. Poche settimane dopo si era concluso un altro processo legato alla vicenda di Cutro: tre persone che aiutarono gli organizzatori della traversata, considerate ‘scafisti', furono condannate con pene dagli 11 ai 16 anni di carcere.

Come sono andate le cose la notte del naufragio di migranti a Cutro

L'accusa nei confronti dei sei militari, come detto, è di naufragio colposo (che prevede fino a due anni di carcere come sanzione massima) e di omicidio colposo (fino a quindici anni, se è plurimo come in questo caso). Concretamente, la Procura ha ricostruito una serie di omissioni o mancanze che avrebbero contribuito alla strage di Cutro. O meglio, una "grave negligenza, imprudenza, imperizia".

Proprio nei momenti in cui l'emergenza diventava evidente, i sei si sarebbero scaricati la responsabilità dall'intervento a vicenda. Visto che non si trattava ancora ufficialmente di un naufragio – l'agenzia europea Frontex aveva segnalato un'imbarcazione che procedeva senza problemi – avrebbe dovuto partire la Guardia di finanza. Che però, a causa delle condizioni meteo, tornò in porto e rinunciò. Il mare era a forza 4, il vento a forza 7: navigare era difficilissimo per le motovedette dei finanzieri.

Ma la Finanza non tenne d'occhio il barcone, per valutare se ci fosse bisogno di un intervento, e nemmeno avvisò la Guardia costiera, che avrebbe avuto i mezzi per affrontare il mare mosso. Da parte sua, la Guardia costiera restò "inerte per tutta la notte", secondo gli inquirenti, senza assicurarsi che la Finanza avesse il controllo della situazione.  Così, i soccorsi non partirono e il barcone si schiantò al largo di Steccato di Cutro.

Secondo gli inquirenti, si sarebbero potute evitare decine di vittime se le operazioni fossero partite per tempo, cioè quando l'imbarcazione era stata avvistata ed era evidente che aveva bisogno di aiuto. Già nella fase delle indagini aveva fatto scalpore uno dei messaggi inviati da un tenente della Guardia di finanza a un suo superiore: "So' migranti". I sei imputati avrebbero anche successivamente falsificato delle informazioni – come i registri di bordo – per evitare di essere coinvolti nell'inchiesta.

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