video suggerito
video suggerito

Migranti, scontro governo-magistratura dopo sentenza Ue: Meloni accelera sui rimpatri e rilancia i centri in Albania

Dopo la sentenza della Corte di Giustizia Ue che limita l’uso automatico della lista dei “Paesi sicuri”, il governo italiano rilancia il piano rimpatri e prova ad anticipare le nuove regole europee. Ma lo scontro con la magistratura si riaccende e si allarga al protocollo con l’Albania.
A cura di Francesca Moriero
0 CONDIVISIONI
Immagine

L'immigrazione continua a essere al centro del confronto politico e giuridico in Europa, e l‘Italia si posiziona ancora una volta sulla linea del rigore: a rimettere benzina sul fuoco è la sentenza della Corte di Giustizia europea dello scorso 26 luglio, che ha messo in discussione la possibilità, per gli Stati membri, di utilizzare automaticamente la nozione di "Paesi di origine sicuri" per rifiutare in modo accelerato le richieste d'asilo. Un principio che mina alla base uno dei pilastri della strategia italiana sui rimpatri, rilanciata proprio in queste ore da Palazzo Chigi. Il governo Meloni sarebbe così intenzionato a rimettere in moto le procedure accelerate per il rientro forzato nei Paesi d'origine, anche attraverso un'eventuale riconversione dei centri costruiti in Albania. La lettura dell'esecutivo è che, non essendo mai stati citati esplicitamente nella sentenza, quei centri (previsti dal controverso accordo bilaterale con Tirana) non sarebbero stati giudicati illegittimi dalla Corte. Un'interpretazione tutta politica, che incontra la resistenza di giudici e giuristi.

L'Unione europea tra retromarce e accelerazioni

A Bruxelles, intanto, la Commissione europea cerca di correre ai ripari: dopo aver cambiato posizione più volte nel corso del procedimento davanti alla Corte, prima negando, poi ammettendo la possibilità di considerare "sicuri" Paesi in cui esistano forme di persecuzione sistemica, ora pare spingere per l'adozione anticipata del nuovo Patto europeo su immigrazione e asilo: "Incoraggiamo Parlamento e Consiglio ad agire il più rapidamente possibile", ha dichiarato un portavoce alla testata AGI, ammettendo implicitamente che con le regole attuali il governo italiano ha superato i limiti imposti dal diritto europeo. Il nuovo Patto, atteso per l'entrata in vigore a giugno 2026, dovrebbe includere la possibilità di utilizzare procedure di frontiera più snelle, introdurre una lista comune di Paesi sicuri e consentire rimpatri più veloci; una proposta per anticiparne l'attuazione è stata presentata dalla Commissione già lo scorso aprile, ma la sua approvazione richiede l'accordo tra Parlamento, Consiglio e Commissione, attraverso il cosiddetto "trilogo". Non basteranno quindi poche settimane: serviranno passaggi formali, discussioni politiche e mediazioni, e il tempo stringe.

Magistrati e avvocati contro: "I diritti vengono prima"

In Italia la reazione del mondo giuridico alla sentenza Ue è stat netta: per l'Associazione nazionale magistrati (Anm), rappresentata dal segretario Rocco Maruotti, la decisione della Corte ha valore strutturale, e non verrà superata neppure dopo l’entrata in vigore del nuovo Patto europeo: "Il principio secondo cui è il giudice a decidere se un Paese è sicuro non può essere cancellato da nessuna norma", ha spiegato Maruotti in un'intervista al Corriere della Sera. Anche l'Unione delle Camere Penali Italiane si schiera apertamente: "I diritti fondamentali devono essere sempre sottoposti al controllo giurisdizionale. Il migrante deve poter contestare la designazione del proprio Paese di origine come sicuro, e il giudice deve poterlo verificare". Una presa di posizione che mette in discussione sostanzialmente tutto l'intero impianto su cui si fondano i decreti sicurezza e le politiche di rimpatrio veloce.

Gjader e Shengjin

Insomma, i centri costruiti a Gjader e Shengjin, in Albania, diventano così ancora una volta il nodo del dibattito: nati per "accogliere" i migranti salvati in mare da navi italiane fuori dal territorio dell'Unione Europea, oggi vengono considerati dal governo Meloni come possibile snodo logistico per le operazioni di rimpatrio. Ma la Corte Ue, pur senza menzionarli direttamente, ha ribadito che ogni decisione in materia di sicurezza e asilo dev'essere soggetta a un controllo effettivo da parte di un'autorità giurisdizionale. E questo non può essere garantito su suolo extra-Ue, dove il diritto europeo non si applica pienamente.

Secondo il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi, però, "la linea del governo non cambia". E anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani, pur più moderato, definisce "senza senso" la sentenza della Corte e ha attaccato duramente il principio secondo cui debbano essere i magistrati a stabilire se un Paese è sicuro o meno: "Come si può pensare che un magistrato decida se un Paese è sicuro? Alla lista lavorano tante persone tutto l’anno per valutare i vari parametri, con ambasciate e diplomatici. Non è una decisione individuale, non è un ministro che decide da solo. È frutto del lavoro dei ministeri, Palazzo Chigi, Interni, ambasciatori, funzionari… Vogliamo mettere alla Farnesina un magistrato? Solo nelle dittature giudiziarie tutti sono sindacabili tranne i giudici, è una cosa da giacobini. Il giudice deve applicare la legge, non scegliere le destinazioni sicure. Questa non è certezza, ma incertezza del diritto", ha dichiarato Tajani al Corriere della Sera. E ha aggiunto che, in attesa dell'entrata in vigore del nuovo Patto europeo, il governo "intende andare avanti".

È la Lega, però, come spesso accade, a spingere sull'acceleratore dello scontro: "Toghe rosse contro i confini dell'Italia", tuona il partito di Matteo Salvini, che preannuncia una mozione di sfiducia contro la presidente Ursula von der Leyen per l'autunno. Un attacco che tiene dentro non solo le politiche migratorie ma anche il Green Deal, definito "folle e dannoso per le imprese".

Uno scontro che nasconde un problema strutturale

Nel cuore del braccio di ferro tra governo e magistratura e tra Italia e Bruxelles, resta una verità difficile da ignorare: l'attuale sistema europeo sull'asilo non sembra reggere alla pressione politica e sociale; la sentenza della Corte di Lussemburgo non blocca i rimpatri, ma stabilisce dei limiti giuridici chiari: non si può negare protezione in modo automatico. Ogni caso deve essere valutato nel merito. Questo principio, garantista ma fondamentale in uno Stato di diritto, contrasta con la visione securitaria portata avanti dall'Italia; il rischio è infatti che la questione diventi terreno di campagna elettorale permanente: con il governo impegnato a forzare le regole esistenti, la magistratura a rivendicare la propria autonomia, e l'Europa costretta a fare i conti con le proprie ambiguità.

Nel frattempo, centinaia di migranti restano sospesi nei limbi amministrativi dei Cpr italiani, o rischiano di essere trasferiti in strutture extra-Ue, il cui status giuridico è tutto da verificare.

0 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views
Immagine

Iscriviti alla newsletter Evening Review.
Ricevi l'approfondimento sulle news più rilevanti del giorno

Proseguendo dichiari di aver letto e compreso l'informativa privacy