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Migranti, rapporto Cild sui Centri di permanenza per i rimpatri: 6 morti in 2 anni, mai così tanti

Il rapporto ‘Buchi neri – La detenzione senza reato nei Centri di permanenza per i rimpatri’, realizzato da Cild, fotografa la situazione all’interno dei 10 Cpr che risultano attivi in questo momento in Italia. L’associazione denuncia che tra giugno 2019 e maggio 2021, “sei cittadini stranieri hanno perso la vita mentre scontavano una misura di detenzione amministrativa”.
A cura di Annalisa Cangemi
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Il numero delle morti nei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) non è mai stato così alto come negli ultimi anni. Il rapporto ‘Buchi neri – La detenzione senza reato nei Centri di permanenza per i rimpatri‘, realizzato da Cild – Coalizione italiana libertà e diritti civili e presentato oggi, che fotografa la situazione nei 10 Cpr che risultano attivi in questo momento (Milano, Torino, Gradisca d’Isonzo, Roma-Ponte Galeria, Palazzo San Gervasio, Macomer, Brindisi-Restinco, Bari-Palese, Trapani-Milo, Caltanissetta-Pian del Lago), e che hanno una capienza di circa 1100 posti. Cild denuncia che tra giugno 2019 e maggio 2021, "sei cittadini stranieri hanno perso la vita mentre scontavano una misura di detenzione amministrativa".

"Le specifiche vicende – si legge nel rapporto – sono diverse per cause e circostanze: ad accomunarle, spesso, vi è la poca chiarezza rispetto a ciò che è accaduto; dei dubbi circa l'idoneità di tali persone alla vita in comunità ristretta ed i rischi derivanti da una non adeguata tutela della salute dei trattenuti". 

Le vittime sono tutte giovani. Il rapporto racconta di E.H., ragazzo nigeriano di vent'anni, suicida nel Cpr di Brindisi, il 2 giugno 2019. Il Centro di salute mentale di Bolzano aveva segnalato "la forte vulnerabilità psichiatrica, con pregressi episodi di autolesionismo e tentativi di suicidio"; Hossain Faisal, cittadino bengalese di 32 anni, morto nei locali dell'Ospedaletto del Cpr di Torino, l'8 luglio 2019 per un improvviso attacco cardiaco; Aymen Mekni, cittadino tunisino di 34 anni, stroncato da un malore, nel Cpr di Caltanissetta, il 12 gennaio 2020; Vakhtang Enukidze, cittadino georgiano, deceduto nel Cpr di Gradisca d'Isonzo, il 18 gennaio 2020 dopo aver manifestato, il giorno prima, un malessere e forti dolori; Orgest Turia, albanese di 28 anni, ucciso nel Cpr di Gradisca d'Isonzo il 14 luglio 2020 da un'overdose di metadone; Moussa Balde, 23enne originario della Guinea, suicida nei locali dell'Ospedaletto del Cpr di Torino, il 22 maggio 2021. "Nei giorni precedenti all'ingresso nel Centro – dice ancora il rapporto – Balde era stato oggetto di una violenta aggressione a Ventimiglia ed è stato detenuto nel Cpr senza alcuna valutazione preliminare sulla idoneità psichica al trattenimento". 

Criticità nei centri

Il dossier metter in evidenza carenze non solo nelle strutture, ma anche tra il personale: criticità che si ripercuotono sulla tutela dei diritti di chi è costretto a vivere all'interno. Tra le pagine del report si sottolinea "un drastico calo di tutti i servizi destinati alla persona, con la riduzione del monte ore del personale dipendente degli enti gestori dei Centri", dagli operatori diurni e notturni, passando per i servizi di informazione normativa e mediazione, fino allo stesso personale sanitario. Ciò, si legge nel rapporto, "ha determinato nei diversi Cpr una strutturale carenza di personale".

Ad esempio Cpr con una capienza fino a 50 posti, osserva Cild, "nel passaggio dal 2017 al 2018/2021 si è avuta una riduzione del monte ore prestato dai medici del 41,7% e dagli psicologi del 55,6%". Il "drastico calo di tutti i servizi destinati alla persona – rileva l'associazione – ha comportato delle gravi criticità in ordine all'effettiva tutela dei diritti fondamentali dei trattenuti". Inoltre, in quasi tutti i 10 Cpr attivi sul territorio, "non sembrano essere previsti locali di pernottamento differenziati per i richiedenti asilo", come invece espressamente richiesto dalla legge nonché dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura.

In alcuni casi, i metri quadri delle singole stanze non rispettano lo standard dello spazio vitale minimo richiesto dalla Corte di Strasburgo: nel Cpr di Torino, si legge nel testo, "ogni locale di pernotto di 20/24 mq ospita ben 7 persone". Il maggiore elemento di criticità riscontrato in alcuni Cpr (Milano, Torino, Gradisca, Palazzo San Gervasio) risulta essere poi la "mancanza di porte nei locali di servizio" (bagni alla turca e docce), con una "violazione delle privacy dei trattenuti": a ciò si aggiungono in taluni casi, afferma Cild, "pessime condizioni igieniche" dei locali di servizio (Milano, Bari, Brindisi) e ulteriori criticità, come "la mancata possibilità di regolare la temperatura dell'acqua nelle docce nelle strutture di Gradisca e Brindisi".

Un'altra anomalia rilevata riguarda gli spazi di vita comune: nella maggior parte dei Cpr, si legge nel rapporto, "oltre a dei cortili esterni in cemento non attrezzati, non esistono campetti da calcio o biblioteche, locali adibiti al culto, attività ricreative e culturali e convenzioni con associazioni della società civile che possano svolgere servizi ed attività aggiuntive". Tutto ciò, secondo Cild, "sembra rappresentare una violazione sia di quanto previsto dal Regolamento unico Cie sia delle stesse prescrizioni del Comitato europeo per la prevenzione della tortura ma soprattutto, come ben evidenziato dal Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, ciò rende tali strutture dei veri e propri ‘involucri vuoti', in cui le persone perdono la propria identità".

Trattenimenti illegittimi durante la pandemia di Covid

L'anno scorso, nonostante le due ondate di Covid-19 rendessero i trattenimenti illegittimi, il numero complessivo dei transitati nei Cpr è rimasto uguale rispetto agli anni precedenti. "Se si osservano i dati degli ultimi sei anni rispetto alle persone transitate nei Centri di trattenimento – spiegano gli autori del rapporto – si evince come i periodi in cui sono stati registrati più ingressi risultano essere il 2019 (6.172), il 2015 (5.242) e proprio il 2020 (4.387). Stupisce che anche nel periodo della pandemia vi siano stati tanti transiti, stante l'impossibilità di effettuare i rimpatri (3.351 nel 2020 rispetto ai 6.531 dell'anno precedente) con la conseguenza di rendere nella stragrande maggioranza dei casi il trattenimento ingiustificato e illegittimo".

In particolare, nel 2020 si registra un sostanziale svuotamento dei Cpr nel corso dei primi mesi di pandemia (iniziata ufficialmente con la dichiarazione dello stato di emergenza dell'8 marzo) e, dal mese di giugno in poi, c'è stato invece un nuovo incremento delle presenze. Le persone trattenute nelle strutture, che erano 425 al 12 marzo scendono fino a 195 il 22 maggio per poi risalire già nei mesi estivi ed arrivare a quota 455 il 12 novembre.

"Se già in tempi ‘normali' – sottolinea Cild – la funzionalità della detenzione amministrativa ai fini del rimpatrio suscita notevoli perplessità, i dubbi sull'utilità di questa misura si fanno ancora più forti in un momento in cui la mobilità internazionale è pressoché interrotta. Va ricordato che la detenzione nei Cpr è esclusivamente propedeutica al rimpatrio e se questo non è possibile ogni trattenimento deve essere ritenuto illegittimo". 

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