Migranti, Consulta promuove il fermo delle navi ONG voluta da Piantedosi: “Misura in linea con la Costituzione”

La Corte costituzionale ha dato il suo via libera a una delle norme più controverse introdotte negli ultimi anni in materia di soccorso in mare. Si tratta del fermo amministrativo delle navi umanitarie che non rispettano le istruzioni delle autorità italiane: una misura fortemente voluta dal governo Meloni e prevista dal cosiddetto decreto Piantedosi, oggi ritenuta legittima dalla Consulta. Secondo i giudici costituzionali, questa sanzione è compatibile con i princìpi fondamentali della Costituzione e con gli obblighi internazionali in materia di salvataggio e diritti umani; una conclusione che segna un passaggio importante nella giurisprudenza italiana, perché attribuisce valore punitivo ma non arbitrario alla misura del fermo e, di fatto, riconosce allo Stato una più ampia facoltà di controllo sulle ONG attive nel Mediterraneo.
La Consulta, cioè, non cancella i margini di tensione: pur riconoscendo il valore punitivo della norma, sottolinea che nessun ordine può giustificare la messa in pericolo della vita umana. Un'indicazione chiara: il principio di soccorso resta intangibile, e l'obbligo di salvare vite prevale su ogni altra disposizione. Ma dietro la cornice giuridica si intravede un rischio politico e operativo tutt'altro che trascurabile: la possibilità che la legalità si trasformi in deterrenza. Se l'effetto delle norme, per quanto legittime, è infatti quello di limitare o scoraggiare le attività di ricerca e soccorso, allora la questione potrebbe spostarsi facilmente dal diritto alla responsabilità. E mentre la Consulta parla di equilibrio tra cooperazione e salvataggio, alcune organizzazioni temono che la giustizia, stavolta, sia scesa dalla nave prima dei naufraghi.
Il contesto: soccorsi in mare e nuove regole
Il caso che ha portato la questione davanti alla Corte risale al febbraio 2024, quando la Ocean Viking, nave della ONG Sos Méditerranée, ha effettuato tre operazioni di soccorso salvando 261 persone, tra cui quasi 70 minori. Secondo il Viminale, l’imbarcazione avrebbe dovuto limitarsi a un solo intervento e dirigersi immediatamente verso il porto assegnato. A rafforzare la posizione del governo, una comunicazione della Guardia costiera libica, che accusava i soccorritori di aver interferito con "un'operazione in corso". L'episodio ha portato al fermo amministrativo della nave, poi annullato dal Tribunale di Brindisi, che ha sollevato dubbi di costituzionalità sulla norma. Da qui la questione è arrivata alla Consulta.
La Corte: misura punitiva, ma legittima
Nel suo pronunciamento, la Corte costituzionale ha confermato la legittimità del provvedimento previsto dal decreto Piantedosi. I giudici riconoscono che il fermo ha natura punitiva, ma precisano che non per questo è incostituzionale. La norma, secondo la Corte, è sufficientemente chiara, rispetta il principio di legalità e stabilisce confini netti tra comportamento lecito e illecito, escludendo dunque arbitrarietà nell’applicazione. La Consulta aggiunge che la misura si inserisce nel quadro di cooperazione internazionale stabilito da convenzioni come quella di Amburgo e la SAR (Search and Rescue), che fissano regole comuni per le operazioni di salvataggio.
Il principio di soccorso rimane intatto
Un punto centrale della sentenza riguarda la salvaguardia della vita umana. I giudici affermano con chiarezza che nessun ordine delle autorità può essere considerato vincolante se mette in pericolo delle vite. In altre parole, l'obbligo di soccorso prevale su qualunque altra disposizione e chi lo esercita in buona fede non può essere punito. Allo stesso tempo, però, la Corte difende la necessità di coordinamento tra gli attori coinvolti nei salvataggi, sostenendo che ignorare gli ordini delle autorità può compromettere la fiducia reciproca e l’efficacia complessiva delle operazioni.
Il diritto internazionale come cornice
La Consulta ha respinto anche le eccezioni di incostituzionalità basate sugli articoli 10 e 117 della Carta, che richiamano il rispetto degli obblighi internazionali e dei trattati. Secondo i giudici, la norma va interpretata in armonia con i princìpi costituzionali e i vincoli internazionali, tra cui il divieto di respingimento e il diritto alla protezione. Non è dunque irragionevole, secondo la Corte, prevedere sanzioni per chi, in assenza di urgenze reali, compromette il sistema di cooperazione e coordinamento. Il fermo, insomma, è legittimo solo se applicato a chi agisce al di fuori del perimetro del salvataggio umanitario.
Un equilibrio fragile: il diritto tra norma e deterrenza
Con la sentenza, la Consulta ha anche restituito gli atti al Tribunale di Brindisi, che dovrà valutare le modifiche legislative intervenute nel frattempo, in particolare quelle contenute nel decreto-legge n. 145 del 2024; un passaggio che potrebbe aprire a ulteriori interpretazioni giuridiche. Ma il segnale più forte arriva sul piano politico: il verdetto conferma la svolta restrittiva adottata dal governo Meloni in tema di gestione dei soccorsi. Se da un lato viene riaffermato il principio di legalità, dall'altro sembra rafforzarsi una lettura del soccorso come attività soggetta a controllo, se non a sospetto.
In un Mediterraneo dove le partenze continuano e i naufragi non si arrestano, la domanda di fondo resta aperta: può una norma, pur legittima, produrre effetti contrari al suo stesso spirito? La Corte dice no, ma la realtà operativa delle missioni umanitarie sembra lasciare spazio a molti più interrogativi di quanti la sentenza sia riuscita, forse, a chiudere.