Sbarcato con la Diciotti, migrante nel Cpr di Trapani-Milo per ‘presunta pericolosità’: “Non posso chiamare mia madre”

“La cosa più brutta che esiste al mondo è togliere la libertà alle persone ingiustamente”, scriveva Mohammed Ezet Al Jezar in una lettera datata aprile 2022 e spedita dal carcere Pagliarelli di Palermo alla sede dell’ Arci Porco Rosso.
Mohammed ha trent'anni, di cui più di sette vissuti dietro le sbarre: prima la prigione in Egitto, suo paese natale, poi in Italia e adesso il Cpr di Trapani-Milo. Ha la voce stanca mentre parla a Fanpage.it dal Cpr siciliano: “Le condizioni di questo posto sono orribili. Il posto dove siamo è completamente disagiato, è disumano, ci sono persone che non hanno il diritto di vedere la propria famiglia neanche per videochiamata, siamo trattenuti qui per mancanza di documenti non perché abbiamo commesso reati”, racconta l’uomo, “mia madre ha un problema di salute grave, è da quattro mesi che non la vedo, vorrei farle una videochiamata breve, almeno per tranquillizzarla, l’ho richiesto ma nessuno mi ha mai dato una risposta. Mi sento male perché da sette anni sto vivendo un’ingiustizia, senza alcuna ragione”.
Mohammed è un carpentiere ma è stato costretto a fare il militare in Egitto. Un giorno, mentre è di guardia – non si sarebbe potuto muovere senza autorizzazione – sente gridare una donna e si accorge che sta per essere violentata. Non ci pensa due volte: corre in suo aiuto lasciando la sua postazione. Questo episodio gli costerà una condanna militare per diserzione e insubordinazione. Quando riesce ad uscire dal carcere, grazie al suo avvocato, decide di scappare: l’Egitto non era più sicuro per lui. Parte dalla Libia su un'imbarcazione di fortuna e il 28 agosto del 2018 arriva in Italia a bordo della nave Diciotti della guardia costiera italiana. All’esito dello sbarco e del procedimento penale, Mohammed viene condannato come scafista il 24 luglio 2020. Secondo le ricostruzioni di quanto avvenuto sull'imbarcazione, Mohammed insieme ad un altro ragazzo si sono adoperati per dare una mano a bordo durante la traversata e per questo, in Italia, vengono accusati di scafismo. Nessuna delle altre persone a bordo dell'imbarcazione, però, ha mai accusato Mohammed di aver condotto la barca.
Il giovane egiziano sarà costretto a scontare una pena di 7 anni, poi ridotta a 5 grazie alla sua buona condotta, nel carcere Pagliarelli di Palermo. Lo scorso 28 gennaio, fa la richiesta d’asilo, ma quando esce dal carcere, il 5 marzo, viene richiuso immediatamente in Cpr.
"È stato messo in Cpr per ‘presunta pericolosità'", racconta l’avvocato Gaetano Pasqualino da poco subentrato nella difesa di Mohammed, "pericolosità smentita dal fatto che gli sia stata riconosciuta la scarcerazione anticipata, e che anche durante la detenzione abbia ricevuto diversi permessi premio per andare a lavorare, insomma ci sono i documenti che attestano l’assenza di pericolosità e l’ottima condotta del mio assistito".
L'avvocato ha provato a fargli ottenere le misure alternative al trattenimento, ma la normativa italiana impone come condizione preliminare per l’esame e la concessione delle misure alternative al trattenimento, il possesso del passaporto. “Chiaramente gli è stato sequestrato all'arresto in Egitto”, continua Pasqualino, “se no non sarebbe stato costretto ad arrivare in Italia illegalmente”.
"Noi siamo entrati in contatto con Mohammed nel contesto del progetto Dal Mare al Carcere, per cui nella nostra associazione ci incontriamo da anni per scrivere lettere alle persone detenute, specialmente quelle accusate di aver condotto le imbarcazioni attraverso il Mediterraneo”, spiega Sara Traylor, attivista dell’Arci porco Rosso di Palermo, “è così che nel 2021 è cominciata la nostra lunga corrispondenza, nel corso della quale abbiamo avuto modo di conoscere la sua storia e la sua personalità. In carcere Mohammed ha sviluppato una rete forte, composta non solo da noi, ma anche dai suoi compagni detenuti che, riconoscenti di tutto il supporto ricevuto da lui mi telefonano per ribadire la loro disponibilità a offrirgli ospitalità. Ma non sono solo ex-detenuti a contattarmi, anche un’operatrice nel carcere che lo ha seguito e lo ha supportato soprattutto negli ultimi anni. È anche tramite il rapporto saldo stabilito con le operatrici che un datore di lavoro si è interessato a Mohammed e ha messo per iscritto la sua volontà di assumerlo nella sua ditta edile”.
Il suo avvocato definisce quella di Mohammed una “storia allucinante”: “Per lui – racconta – si sono attivati tutti. Ha avuto da subito offerte di lavoro e di ospitalità”. Tuttavia il 2 luglio scadrà il termine del trattenimento e a breve ci sarà – quindi – l'udienza per la proroga.
“Ho tutto il necessario per andare via da qui ma non capisco perché sono ancora rinchiuso in questo posto disumano”, continua l’uomo ai microfoni di Fanpage.it, “siamo in Europa, non in Africa. Qui dicono ci siano i diritti umani ma io non li vedo. Qui sono stato condannato senza una prova, in Italia, un paese europeo, il paese die diritti. Dicono che in Europa accolgono ma io non ho visto questo. Dopo che sono uscito dal carcere, dopo anni di grande sofferenza, avrei dovuto essere liberato, invece mi hanno portato in un posto ancora più disumano della galera”.