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Guerra in Ucraina

Mariupol come Genova, così Zelensky ci ha chiesto di non abituarci all’orrore della guerra

Zelensky non ha parlato di ingresso nell’Unione Europea, di Nato, di no fly zone, di invio di armi e rifornimenti. Ha scelto di sbatterci in faccia l’orrore della guerra di Putin, perché nessuno si volti dall’altra parte.
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Cosa fareste se invece di Mariupol stessimo parlando di Genova? Quale sarebbe il vostro atteggiamento se le immagini del porto distrutto, degli edifici rasi al suolo e delle centinaia di migliaia di sfollati provenissero da Genova? Come vi comportereste se invece di Kiev fosse Roma a essere minacciata? Cosa direste ai vostri figli se secoli di storia e cultura fossero in pericolo di crollare sotto i bombardamenti di un esercito invasore?

Non era probabilmente necessario averne conferma, ma con il suo discorso al Parlamento italiano, Zelensky ha ancora una volta dimostrato di conoscere perfettamente la macchina comunicativa e di sapere sempre quali corde toccare. In una sede formale, il Presidente ucraino ha usato un registro estremamente colloquiale, rivolgendosi non tanto ai parlamentari, quanto all’opinione pubblica italiana. È stato attento a evitare argomenti potenzialmente divisivi, non ha citato la Nato, né le richieste ucraine all’Unione Europea, non ha fatto alcun cenno alla necessità di ottenere più armi o l’imposizione della no-fly zone (è stato semmai Draghi a parlare di resistenza, di eroismo, delle gravissime perdite inflitte ai russi). Ha raccontato l’orrore della guerra, ha chiesto un impossibile sforzo nell’immaginare “una Genova completamente bruciata dopo tre settimane di bombardamenti incessanti”, nel sentire la sofferenza di chi scappa per cercare un rifugio sicuro, nel pensare a cosa potrebbe significare la distruzione di Kiev. Ha giocato su quello che è il vero dilemma di questi giorni, soprattutto tra i pacifisti, sbattendoci in faccia la concretezza di una realtà che viviamo solo indirettamente. Sentire tali parole ci ha fatto vacillare, empatia e lucidità non vanno sempre a braccetto.

Non si è trattato quindi di un mero esercizio retorico. Zelensky non si è limitato a disegnare uno scenario di guerra lontano e improbabile, ma ha prospettato come concreta e vicina la perdita di ogni certezza e riferimento anche per l’Occidente. L’abisso dell’orrore e della morte alle porte dell’Europa è l’impossibile che è diventato possibile, l’Ucraina non è nient’altro che “il cancello” oltrepassato il quale i russi avrebbero campo libero per insidiare anche la nostra quotidianità, la nostra pace. E in questo scenario non possono esserci dubbi sulle responsabilità, che sono di una e una sola persona nella lettura di Zelensky. Non si può cercare la pace senza riconoscere le colpe di Putin, non si può smettere di fare pressione sulla Russia attraverso le sanzioni e gli embarghi agli oligarchi, non si può pensare di aver già fatto abbastanza. La guerra è un orrore che continua, a Mariupol adesso, poi chissà. “Dal primo giorno di questa guerra avete condiviso con noi questo dolore e l’Ucraina lo ricorderà sempre”, ha chiosato il Presidente ucraino, ma non è ancora finita, anzi, le cose non possono che peggiorare, almeno finché “quella sola persona non sarà fermata”.

L’estrema concretezza del suo discorso si misura su questo punto: far diventare permanente la mobilitazione dell’opinione pubblica occidentale, evitare che l’aggressione militare all’Ucraina sia annacquata da mille distinguo, avvertire sul rischio che l’esame della complessità delle cause si trasformi in mezze assoluzioni per i responsabili di quella che è prima di tutto una catastrofe umanitaria. Paradossalmente, Zelensky ha scelto di togliersi l’elmetto per convincere i cittadini occidentali a continuare a indossarlo. L'obiettivo resta però legato a una sola parola, "pace", che viene ripetuta più e più volte anche da Zelensky. Non come parola vuota, non come obiettivo lontano, non come risultato di una guerra ancora lunga e sanguinosa, ma come valore assoluto nella cui ricerca si distinguono con chiarezza aggressori da aggrediti. Ed è proprio questa ricerca che forse dovrebbe guidare sempre le nostre considerazioni e le nostre iniziative. Perché isolare Putin è anche isolare chi vuole la guerra, chi disprezza il valore profondo della vita e il destino delle persone.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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