Mamdani primo sindaco musulmano di New York: per Vannacci la sua vittoria è una sconfitta per l’Occidente

"24 anni dopo l'11 settembre, New York ha un sindaco musulmano. Così l'Occidente celebra la propria resa culturale chiamandola progresso", a scriverlo è stato l'europarlamentare e vicesegretario della Lega, Roberto Vannacci, che ha commentato così la storica elezione di Zohran Mamdani. Le sue parole suonano come un avvertimento, ma finiscono per descrivere – loro malgrado – l'esatto opposto: una città che sceglie la politica come strumento di cambiamento sociale, non come trincea identitaria, proprio nel cuore del mondo che più di ogni altro rivendica il primato dei valori liberali.
Per l'ex generale, invece, il punto resta l'origine e la fede del nuovo sindaco. È lì che si concentrano le sue paure, nel fatto stesso che Mamdani sia musulmano: un segno, secondo la sua lettura, della presunta "invasione culturale" dell'Occidente. L'identità religiosa diventa cioè il filtro attraverso cui leggere tutto il resto, riducendo una campagna costruita su casa, salari e giustizia sociale a una questione di identità.
Le destre: tra allarme e diffidenza
Tra le tante voci del centrodestra che hanno espresso dubbi riguardo all'elezione di Mamdani, concentrandosi sulle differenze culturali e sulle politiche che il nuovo sindaco potrebbe portare avanti, c'è poi quella di Matteo Salvini che ha parlato di un "primo sindaco islamico a New York", definendo Mamdani "pro-Pal" e "pro-gender" e rievocando vecchi fantasmi di insicurezza e divisione.
Anche Ivan Scalfarotto di Italia Viva ha espresso scetticismo, definendo Mamdani "l'altra faccia di Trump": due poli opposti di una stessa polarizzazione che, a suo giudizio, svuoterebbe la politica del senso del compromesso.
La sinistra: "Una vittoria della speranza contro la paura"

Il giudizio di Vannacci si colloca all'opposto di quello espresso dal centrosinistra italiano, che ha invece accolto l'elezione del neo sindaco come un segnale di "risveglio politico". La segretaria del Pd, Elly Schlein, ha esaltato il valore di una campagna "costruita attorno a questioni concrete e quotidiane: stipendi dignitosi, diritto alla casa, sanità e servizi pubblici", e ha parlato di una vittoria "contro la politica della paura che individua nemici e capri espiatori". Sulla stessa linea, Chiara Braga, capogruppo dem alla Camera, ha ricordato che "occuparsi delle persone e dare risposte concrete è la forma più progressista della politica".
Da Più Europa, Riccardo Magi ha salutato New York come "la capitale del mondo libero e del progressismo", mentre Nicola Fratoianni di Alleanza Verdi Sinistra ha letto il voto come "la dimostrazione che si può vincere nell'interesse del 99%, non dell’1%". Per Marco Furfaro, deputato Pd e responsabile Welfare, Mamdani ha riportato la politica "dove deve stare: per strada, tra la gente", affrontando i problemi reali senza paura di sfidare i poteri forti.
L'eco internazionale: da Obama a Ocasio-Cortez

Oltreoceano, le reazioni hanno assunto toni molto diversi. Barack Obama ha salutato i candidati democratici vittoriosi, sottolineando che quando "ci si unisce attorno a leader forti e lungimiranti, si può vincere". Alexandria Ocasio-Cortez, che ha sostenuto Mamdani sin dall’inizio, ha parlato di un voto che smentisce le minacce di Trump e riafferma "il sostegno alle famiglie lavoratrici e alle giovani coppie". Non sono mancate, però, anche grosse critiche, come quelle del console generale israeliano a New York, Ofir Akunis, che ha definito Mamdani "un pericolo per la comunità ebraica" per il suo sostegno alle manifestazioni pro-palestinesi.
Ma al di là delle critiche e delle paure, la lezione che arriva da New York appare limpida: la politica può ancora parlare di giustizia sociale, di casa, di salari, di diritti, senza cedere alla retorica della purezza o dell'appartenenza. E forse è proprio questo, oggi, il suo significato più rivoluzionario.