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Lotito, le cose col nome giusto: dire “pelle normale” non è una gaffe, è razzismo

Le parole di Lotito non sono uno “scivolone” come scrivono sminuendo molti quotidiani oggi: se è vero che più aumenta il “grado” del proprio ruolo e più aumentano le responsabilità in modo direttamente proporzionale, allora Lotito ha semplicemente fallito la sua missione di essere “dirigente” del calcio e della propria squadra.
A cura di Giulio Cavalli
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Fantastico Claudio Lotito, presidente della Lazio e sempre mago nell'essere il prototipo dell'uomo qualunque nella sua accezione peggiore, qualunquista e superficiale: durante un'intervista in cui gli chiedevano dei recenti episodi di razzismo negli stadi ci ha deliziato spiegando che “i buu li fanno anche a chi ha la pelle normale, bianca. Non sempre sono atti discriminatori”. E da presidente di una squadra di calcio ha anche aggiunto che lui compra "giocatori di colore" che è l'accezione calcistica del solito adagio "non sono razzista ho anche amici negri".

Potrebbe essere la solita intervista all'uomo della strada, a uso e consumo di qualche trasmissione televisiva pomeridiana, ma le parole pronunciate ieri sono quelle di un dirigente del calcio italiano che, soprattutto nell'era Tavecchio, era ed è uno degli uomini più potenti nell'ambito calcistico italiano, uno che, per intendersi, decideva le sorti del calcio, le sue trattative, la sua divulgazione. Un pezzo di classe dirigente dello sport più seguito (e con più fatturato) nel Paese ha parlato di "pelle normale", di "buuu" come normale atto di scoraggiamento dell'avversario e di colore della pelle con la stessa grammatica politica di cinquant'anni fa.

E forse è proprio questo il vero problema del calcio qui da noi: una classe dirigente che in qualsiasi altro settore non troverebbe lo spazio nemmeno come galoppini o trovarobe, gente che si ritrova a maneggiare un fenomeno mediatico che ha un peso enorme nell'immaginario educativo dei giovani e dei meno giovani ma che non ha nemmeno idea delle responsabilità e del senso di misura che vengono richieste a un personaggio pubblico. Gente che si ritrova a gestire la propria squadra con approccio padronale (o prettamente finanziario) senza essere in grado di avere cultura sociale e sportiva.

Per questo le parole di Lotito non sono uno "scivolone" come scrivono sminuendo molti quotidiani oggi: se è vero che più aumenta il "grado" del proprio ruolo e più aumentano le responsabilità in modo direttamente proporzionale allora Lotito ha semplicemente fallito la sua missione di essere "dirigente" nel senso più pieno di "dirigere" il calcio e la propria squadra verso una direzione di crescita. Che all'interno degli stadi la questione del razzismo venga continuamente derubricata a goliardia da parte di presidenti incapace di mettere insieme una frase di senso compiuto è la più significativa dimostrazione di come in Italia manchi la cultura (dell'uguaglianza e dei diritti, ma non solo) come prerequisito per accedere a posizioni di potere.

In un'azienda qualsiasi, una di quelle aziende attente alla propria immagine e al regolamento etico dei propri dipendenti, Lotito e quelli come lui finirebbe in panchina. Qui invece ancora lo trattano da campione.

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Autore, attore, scrittore, politicamente attivo. Racconto storie, sul palcoscenico, su carte e su schermo e cerco di tenere allenato il muscolo della curiosità. Collaboro dal 2013 con Fanpage.it, curando le rubriche "Le uova nel paniere" e "L'eroe del giorno" e realizzando il format video "RadioMafiopoli". Quando alcuni mafiosi mi hanno dato dello “scassaminchia” ho deciso di aggiungerlo alle referenze.
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